Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33040 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 16/12/2019, (ud. 06/11/2019, dep. 16/12/2019), n.33040

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 4466/2016 R.G. proposto da:

Associazione Sportiva Roma s.p.a., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

Sicilia n. 66 n. 51, presso lo studio degli avv.ti Augusto Fantozzi

e Francesco Giuliani, che la rappresentano e difendono giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4182/37/15 della Commissione tributaria

regionale del Lazio in Roma, depositata in data 16 luglio 2015;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Paola Mastroberardino che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

udito l’avv. Francesco Giuliani per la ricorrente;

udito l’avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per la

controricorrente;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 novembre

2019 dal Consigliere Paolo Fraulini.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale per il Lazio ha confermato la sentenza di primo grado che aveva respinto l’impugnazione proposta dalla Associazione Sportiva Roma s.p.a. avverso l’avviso di accertamento n. (OMISSIS) avente a oggetto la rettifica ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, della dichiarazione IVA presentata dalla società per l’anno 2000, con conseguente determinazione di un debito di imposta pari a Lit. 3.990.902.000 oltre alle previste sanzioni.

2. Ha rilevato il giudice di appello: a) con riferimento all’indebita detrazione di imposta per servizi non inerenti all’attività, che non vi era in atti alcuna dimostrazione dell’effettivo svolgimento da parte della società che aveva emesso la fattura della prestazione di consulenza oggetto della generica lettera di accordo con la contribuente datata 15 gennaio 2000, a nulla rilevando che la consulenza potesse essere richiesta in forma verbale oltre che con atto scritto; b) con riferimento all’omessa fatturazione di operazioni imponibili relative a somme erogate ad altre società di calcio per la partecipazione della propria rappresentativa a partite disputate fuori Roma, che non sussisteva alcuno scopo mutualistico nella predetta operazione, che derivava invece dal rapporto commutativo inerente la prestazione dell’attività calcistica tra le due società partecipanti alla gara; c) con riferimento all’indebita detrazione di imposta per servizi resi da procuratori sportivi, che alcuna doglianza in appello era stata mossa alla motivazione della sentenza di primo grado, che in ogni caso, in base alle prove in atti, aveva correttamente negato sussistere in atti la prova, di cui era onerata la contribuente, dell’inerenza di ciascuna prestazione resa dai procuratori sportivi agli interessi della società contribuente.

3. Per la cassazione della citata sentenza la Associazione Sportiva Roma s.p.a. ricorre con sette motivi; l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

4. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso lamenta:

a) Primo motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, lett. a), e art. 3, comma 1, e della Dir. 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, art. 2, n. 1, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3),” per avere la CTR erroneamente negato la natura esclusivamente interna all’associazione del versamento alla squadra ospitata da parte della società ospitante di una quota percentuale del denaro incassato per l’evento sportivo, affermandone apoditticamente la natura imponibile a fini IVA.

b) Secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1322,1325,1362,1363 e 1375 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3),” per avere la CTR erroneamente interpretato dal Reg., art. 30, comma 2, emanato dalla Lega Nazionale Professionisti, la cuì correttezza esegesi avrebbe condotto a ritenere evidente la finalità associativa del trasferimento di denaro per cui è controversia, con assoluta esclusione di qualsivoglia corrispettività ai fini della invece ritenuta assoggettabilità ad IVA;

c) Terzo motivo: “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5),” per avere la CTR errato affermato la natura commutativa della partecipazione della società alla gara della società ospite;

d) Quarto motivo: “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21, e dell’art. 2697 c.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3),” per avere la CTR erroneamente interpretato i principi dell’onere della prova sul tema dell’effettività delle prestazioni fatturate alla contribuente, posto che incombeva all’Amministrazione finanziaria provare l’inesistenza delle prestazioni e non già alla contribuente provarne l’effettivo svolgimento.

e) Quinto motivo (indicato come 4.1 nel ricorso): “Nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3),” per avere la CTR reso una motivazione del tutto apparente nell’affermare che la genericità dell’accordo del 2000 ridondasse in genericità delle prestazioni fornite in adempimento del medesimo e per aver trascurato di considerare che il detto accordo era tutt’altro che generico, sostanziandosi nell’affidamento alla società Maral Ltd dell’incarico di eseguire nel territorio internazionale ricerche di mercato finalizzate a individuare un canale di sviluppo dell’attività di merchandising della contribuente.

f) Sesto motivo (indicato come 5 nel ricorso): “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1993, art. 53, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3),” per avere la CTR negato che le affermazioni della sentenza di primo grado – relative alla pretesa mancata inerenza con l’attività d’impresa delle consulenze dei procuratori sportivi – fossero state espressamente censurate con l’atto di appello;

g) Settimo motivo (indicato come 6 nel ricorso):

“Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15, della L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 133, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3),” per avere la CTR omesso di ridurre la sanzione complessiva al 90% della maggiore imposta accertata, come previsto retroattivamente dalla normativa indicata come violata.

2. La controricorrente argomenta l’inammissibilità e comunque l’infondatezza del ricorso.

3. Il ricorso va accolto, nei limiti e per le considerazioni che seguono.

4. I primi due motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, non sono fondati. La sentenza impugnata fonda il proprio convincimento sull’imponibilità dell’operazione di versamento di parte dell’incasso ottenuto dalla società ospitante a quella ospitata argomentando la natura commutativa della prestazione e negando che sia rinvenibile nella fattispecie uno scopo mutualistico. L’affermazione è corretta anche se la motivazione resa sul punto va necessariamente integrata.

5. Rileva, invero, la Corte che le società sportive costituite in forma di società di capitali sono anche associate agli organi sportivi esponenziali di settore (le Federazioni) che, quale emanazione del Comitato Olimpico nazionale italiano, si occupano di gestire, sia a livello amministrativo che più propriamente sportivo, lo svolgimento dell’attività nei singoli settori di appartenenza.

6. Nella specie, la ricorrente è una società di capitali quotata, ma al contempo, al fine di partecipare all’attività sportiva calcistica, è anche associata alla Federazione Italiano Gioco Calcio e alla Lega Nazionale Professionisti. La natura associativa di tali organismi comporta che la società associata debba rispettare le norme regolamentari emanate dalle associazioni sportive di appartenenza, pena la sottoposizione alle sanzioni imposte dalla giustizia domestica istituita da ogni federazione, di fonte volontaria e giurisdizionalmente arbitrale.

7. Può, dunque, accadere che la normativa associativa di fonte privatistica preveda obblighi per gli associati che interferiscono anche con norme statali. Ciò si verifica nel caso di specie, laddove si è in presenza di una normativa associativa che prevede una specifica destinazione di parte della somma di denaro raccolta in occasione della manifestazione sportiva che interferisce con la normativa tributaria statale. Più in dettaglio, la questione riguarda la natura imponibile del compenso che la squadra calcistica ospite, in virtù della previsione associativa, percepisce dalla squadra ospitante in occasione dell’evento. La provvista in denaro oggetto di transazione è costituita, sempre per effetto della normativa di fonte privatistica, dall’ammontare dell’incasso che la squadra ospitante raccoglie per effetto del prezzo dei titoli di legittimazione che vengono offerti al pubblico degli spettatori (abbonamenti, biglietti di ingresso e similari). In tale contesto, occorre stabilire se tale denaro, nel momento in cui viene trasferito dalla squadra ospitante a quella ospite, in adempimento dell’obbligo associativo, costituisca, o meno, un’operazione rilevante anche per la normativa tributaria statale e pertanto obblighi, o meno, la squadra ospite a fatturare la percentuale dell’incasso ricevuta.

8. A tale domanda va data risposta positiva.

9. La tesi sostenuta dalla contribuente per escludere un siffatto esito è che la fonte del trasferimento di denaro non si rinvenga in una “prestazione”, di natura sinallagmatica e come tale imponibile, bensì trovi ragione nella finalità mutualistica cui mira l’associazione delle squadre calcistiche alle relative federazioni. Con l’effetto, ulteriore, anche alcuni obblighi di fonte associativa, tra cui quello in esame, come del pari accade per i “premi di preparazione” dei giocatori, non sarebbero imponibili, giacchè sarebbero finalizzati a realizzare quel comune interesse alla promozione dell’attività calcistica che costituisce lo scopo comune di tutte le associate, in disparte la forma giuridica che esse abbiano deciso di adottare.

10. Tale te condivisibile.

11. In primo luogo, va rilevato che, dopo la Riforma del diritto societario del 2004, la natura mutualistica non è più sinonimo di neutralità fiscale. Invero, con la Riforma, come è noto, le società cooperative, che hanno sempre costituito l’archetipo della mutualità, essendo essa la causa associativa immanente in tale forma di organizzazione, sono state distinte, proprio a fini fiscali, in cooperative a mutualità prevalente e cooperative a mutualità non prevalente. E il discrimine tra le due tipologie è stato rinvenuto dal Legislatore proprio nella circostanza che l’attività d’impresa esercitata dalla cooperativa rientrasse appieno, o meno, nel perseguimento dello scopo mutualistico che l’organizzazione aveva statutariamente prescelto. Ne deriva che, dal 2004 in poi, esistono cooperative che, pur potendo continuare a definirsi tali, perdono la prevalenza dello scopo mutualistico (art. 2545-octies c.c.). In tale eventualità, oltre agli obblighi civilistici, previsti dalla citata norma, conseguono anche effetti sul trattamento fiscale. Invero, la L. n. 311 del 2004, e successive modificazioni, è intervenuta prevedendo che gli utili realizzati dalla cooperativa a mutualità non prevalente vengano tassati nella misura del 77% (laddove ad esempio le cooperative sociali sono esenti da tassazione sugli utili), abbiano un carico fiscale minimo figurativo dell’80% del valore netto della produzione e vedano ridotto l’utile detassato al 20% del totale dichiarato.

12. In linea di principio, quindi, argomentare la natura mutualistica di un’organizzazione per inferirne l’esonero da tassazione di ogni transazione che la riguardi per effetto di tale natura è in via di principio errato, giacchè la vigente legislazione dimostra che esistono fattispecie in cui, pur perseguendo una finalità mutualistica, la corporazione è assoggettata a un trattamento fiscale speciale nell’ipotesi che non si rispettino i parametri previsti dalla legge per il riconoscimento del carattere di mutualità.

13. In ogni caso, scendendo all’esame della fattispecie, va negato altresì che la transazione oggetto di lite possa astrattamente iscriversi nella solidarietà mutualistica che abbraccia le finalità associative delle squadre di calcio professionistiche.

14. Come correttamente evidenziata la difesa erariale, nella specie il denaro che transita è raccolto in conseguenza della partecipazione del pubblico all’evento sportivo. Ciò significa che il denaro incassato dalla società ospitante è il corrispettivo di un servizio (lo spettacolo calcistico), che essa offre al pubblico, il quale paga il prezzo del biglietto per assistere alla prestazione sportiva. Da tanto discende che, nel momento in cui la normativa associativa interviene per disciplinare la sorte di tale somma, imponendone un riversamento parziale alla società ospitata, non vi è alcuna modificazione della natura dell’incasso, che resta sempre e comunque un corrispettivo per la prestazione del servizio che entrambe le squadre rendono al pubblico pagante.

15. L’ipotesi dei premi di preparazione, invocata dalla contribuente e dimostrazione dell’equiparabilità delle fattispecie, non è in realtà in alcun modo assimilabile a quella che ne occupa. Invero, nel caso dei premi di preparazione, la somma di denaro che la società che detiene il cartellino del giocatore corrisponde a quelle che hanno precedentemente tesserato lo sportivo – e pertanto contribuito a preparare per la sua crescita professionale nelle categorie superiori – non proviene dalla vendita dei biglietti a terzi, ma deve essere corrisposta dalla società di categoria superiore con un prelievo diretto dal proprio patrimonio, seppur sempre nella misura anch’essa stabilita dalla normativa secondaria federale (con un criterio di aumento proporzionale a seconda della categoria di appartenenza del giocatore debuttante).

16. Da tanto deriva l’evidente non comparabilità delle due ipotesi. Altro è imporre un contributo economico alla società di categoria superiore per compensare quelle inferiori per il contributo formativo alla preparazione del calciatore, che potrebbe corrispondere a una finalità di mutualità calcistica – atteso che il trasferimento patrimoniale è destinato a compensare altre società affiliate alla federazione, altro è percepire una quota in denaro di un incasso ricavata dell’esborso fatto da terzi per ottenere la legittimazione ad assistere alla prestazione sportiva di entrambe le squadre, che è qualificabile come “ricavo tipico”, come risulta anche dalle stesse Raccomandazioni contabili della FIGC, come rileva la difesa erariale nel controricorso, in assenza di prova (nemmeno dedotta in lite) che l’intera somma percepita a tale titolo sia stata riversata per finalità mutualistiche a favore di altri e non invece utilizzata, in tutto o in parte, per finalità proprie della società percipiente. Ne consegue che per l’incasso di tale importo vi sia obbligo di fatturazione, al pari di ogni altro derivante da servizi resi a terzi.

17. Ciò che trova puntuale riscontro nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 74-quater, che, al comma 1, assoggetta ad IVA tutti gli introiti derivanti da competizioni sportive, compresi gli incassi da biglietti venduti e i proventi da cessione di abbonamenti. E ciò perchè le prestazioni della società calcistica ospite sono soggette a imposizione sul valore aggiunto, essendo realizzate da un soggetto passivo d’imposta (società professionistica) che effettua prestazioni servizi (di spettacolo sportivo) secondo il requisito di territorialità, generando pertanto reddito d’impresa, come riconosciuto dalla storica sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 174 del 1971 e da ultimo ribadito da questa Sezione con la sentenza n. 345 del 09/01/2019.

18. La natura di impresa delle società calcistiche (ad esempio ai fini del diritto della concorrenza) è stata peraltro riconosciuta dalla Commissione UE (Dec. 92/521/CEE del 27 ottobre 1992), la quale ha altresì constatato che la FIFA (associazione delle federazioni calcistiche nazionali) e la stessa FIGC (Cons. di Stato, sez. VI, sent. n. 1050, 30 settembre 1995; Cons. Giust. Amm. Sic., sez. giurisdiz., sent. n. 536, 9 ottobre 1993 TAR Lazio, sez. III, sent. n. 1361, 23 giugno 1994) (sotto l’egida della quale opera la Lega) costituiscono a loro volta imprese (vedi in generale le conclusioni dell’Avvocato Generale Lenz in causa C-415/93, Bosman, del 15 dicembre 1995).

19. Richiamando il precedente di questa Sezione, sentenza n. 24931 del 06/11/2013, è pertanto possibile ribadire il seguente principio di diritto: “L’adozione, da parte di una società sportiva professionistica, della forma della società per azioni ne comporta la soggezione allo statuto proprio di questo tipo sociale, senza che l’oggetto della sua attività possa influire, anche astrattamente, attraverso modifiche o deroghe, sui tratti salienti di quest’ultimo. Resta conseguentemente escluso che i compensi da essa percepiti per la partecipazione agli incassi delle partite giocate in trasferta dalla sua squadra di calcio abbiano natura mutualistica, il cui tratto caratterizzante consiste nell’intento di realizzare non già il profitto, ma l’immediato vantaggio dei soci dell’ente che persegue il suddetto fine.”

20. Resta in conclusione escluso che i compensi percepiti per la partecipazione agli incassi delle partite giocate in trasferta abbiano natura mutualistica, il cui tratto caratterizzante consiste nell’intento di realizzare non già il profitto, ma l’immediato vantaggio dei soci dell’ente che persegue il suddetto fine, dovendosi rilevare che la singolarità della fattispecie, invocata dalla contribuente nella memoria a sostegno delle proprie ragioni, non sembra trovare riscontro nelle allegazioni di causa, laddove si è in presenza di faticose analoga a quanto trattato nei citati precedenti giurisprudenziali.

21. In relazione alla richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, va rilevato che non esiste alcun diritto della parte all’automatico rinvio pregiudiziale ogni qualvolta – come nella specie – la Corte di Cassazione non ne condivida le tesi difensive (Cassazione civile sez. un., 08/07/2016, n. 14042), bastando che le ragioni del diniego siano espresse (Corte EDU, caso Ullens de Schooten & Rezabek vs Belgio) ovvero implicite laddove la questione pregiudiziale sia manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (Corte EDU, caso Wind Telecomunicazioni vs Italia).

22. Il terzo motivo è inammissibile, poichè la presente controversia è regolata dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, essendo la sentenza stata depositata dopo l’11 settembre 2012, e quindi il vizio di motivazione è denunciabile in cassazione ai sensi del citato articolo solo per anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). L’irrilevanza delle risultanze processuali ai fini dell’applicazione del sindacato sulla motivazione è stata ulteriormente precisata nel senso che il vizio denunciabile è limitato all’omesso esame di un fatto storico – da intendere quale specifico accadimento in senso storico-naturalistico (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24035 del 03/10/2018), principale o secondario, rilevante ai fini del decidere e oggetto di discussione tra le parti (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 26305 del 18/10/2018), nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di deduzioni difensive e nemmeno la qualificazione che delle prove acquisite il giudice di merito faccia in adempimento di uno specifico obbligo motivazionale.

23. Il quarto motivo è infondato. Invero, laddove – come nella specie – sorga contestazione tra l’Erario e il contribuente circa l’effettivo svolgimento della prestazione descritta in fattura (tanto sulla questione della specificità descrittiva del documento contabile, quanto dell’effettivo svolgimento di quanto descritto) è sul contribuente che grava l’onere di provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza peraltro che tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati (Cass. Sez. 5, n. 17619 del 05/07/2018; id. n. 27554 del 30/10/2018).

24. Il quinto motivo è inammissibile; invero, per ciò che attiene alla dedotta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, si rileva che oggetto della doglianza non è una domanda o un’eccezione, bensì la spiegazione della conclusione fornita dal giudice in proposito, sicchè va propriamente riferita al vizio motivazionale; in relazione alla pretesa falsa applicazione di legge, la doglianza è inammissibile, poichè ciò che in effetti contesta non è l’astratta utilizzazione dei criteri di valutazione delle prove, bensì l’approdo raggiunto nel caso concreto dal giudice del merito in esito a tale attività valutativa che, si ripete in quanto motivata ben oltre il minimo costituzionale, si sottrae al sindacato di controllo di questa Corte.

25. Il sesto motivo è infondato. La sentenza impugnata, dopo avere svolto le considerazioni inerenti la mancata contestazione in appello delle statuizioni contenute nella sentenza di primo grado, prosegue affermando che, in ogni caso, anche in appello la contribuente ha mancato di fornire prova del puntuale riscontro tra le prestazioni descritte nella fatture dai procuratori sportivi e l’utilità oggettivamente ricavata dalla società sportiva per effetto delle prestazioni in favore dei suoi singoli giocatori; riscontro che è definito mancante, in quanto affidato alla reiterazione del giudizio di utilità “a largo spettro”, giudicato dalla sentenza impugnata come assolutamente inidoneo. Rispetto a tale giudizio, la censura reitera il proprio diverso convincimento, peraltro citando documenti contenuti in una non meglio identificata “memoria illustrativa”, che non soddisfa i canoni di specificità del ricorso previsti dal combinato disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

26. Il settimo motivo va accolto. Questa Corte ha affermato che, in materia di irrogazione di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, nel rispetto del principio del “favor rei”, trova applicazione il trattamento più favorevole di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015, la cui utilizzabilità quale “ius superveniens” è assicurata in pendenza di giudizio dall’art. 32, comma 1, (come modificato dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 133), a condizione che vi sia un processo ancora in corso ed il provvedimento impugnato non sia, quindi, divenuto definitivo (Sez. 5, n. 15978 del 27/06/2017; id. n. 1706 del 24/01/2018). In altre successive pronunce (Sez. 5 n. 15828 del 15/06/2018; n. 17143 del 28/06/2018; n. 31062 del 30/11/2018) si è avuto modo di specificare che lo ius superveniens non ha avuto l’effetto di rendere automaticamente illegale la sanzione applicata, con la conseguenza che la mera pendenza del giudizio non è condizione esclusiva di applicazione della nuova normativa, avendo il contribuente l’onere, oltre che di invocarne l’applicazione, anche di fornire specifiche allegazioni rispetto al caso concreto idonee ad influire sui parametri di commisurazione della sanzione in fase di giudizio di rinvio. L’applicazione di tali condivisibili principi al caso di specie conduce a ritenere che il motivo in esame, sebben in maniera estremamente sintetica, identifichi l’oggetto del futuro ricalcolo, indicando il limite massimo della sanzione nel 90% della maggiore imposta accertata. Tanto consente di ritenere sufficientemente specificata l’istanza e di giustificare la cassazione della sentenza impugnata con rinvio delle parti innanzi alla Commissione tributaria regionale per il Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese del presente grado di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo, il secondo, il terzo e il quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso; accoglie il settimo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia le parti innanzi alla Commissione tributaria regionale per il Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese della presente fase.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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