Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33036 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 20/12/2018, (ud. 20/09/2018, dep. 20/12/2018), n.33036

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso ricorso 18496-2017 proposto da:

S.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.G.BELLI 39,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO LEMBO, che la rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MABAD SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 12, presso

lo studio dell’avvocato ALESSANDRO PALLOTTINO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANDREA BOTTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 154/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 13 gennaio 2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20 settembre 2018 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

S.E. ha proposto ricorso articolato in due motivi per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Roma n. 154/2017 depositata il 13 gennaio 2017, la quale aveva rigettato il gravame sollevato dalla stessa avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 22094/2008 e così confermato la declaratoria di inammissibilità e infondatezza delle domande attoree in primo grado, condannando l’appellante al pagamento delle spese processuali.

Resiste con controricorso la Mabad s.r.l.

Il giudizio ebbe inizio con ricorso per reintegrazione nel possesso ex art. 1168 c.c. depositato da Sc.Et. il 17 giugno 2004, con cui l’attore espose di essere proprietario di due unità immobiliari nel fabbricato condominiale sito in (OMISSIS), e chiese che il Tribunale adito ordinasse alla Mabad s.r.l. l’immediata rimozione di due canne fumarie realizzate nel locale contatori posto al piano seminterrato, avente accesso dall’ingresso del viale suddetto, in quanto lesive del suo diritto di compossessore. A seguito della pronuncia di inammissibilità e infondatezza della domanda resa dal Tribunale di Roma, propose appello S.E., quale erede di Sc.Et.. La Corte di Appello di Roma, con sentenza del 13 gennaio 2017, n. 154/2017, confermò la tardività del ricorso possessorio, giacchè proposto due anni dopo rispetto la collocazione delle canne fumarie, in violazione dell’art. 1168 c.c.; inoltre constatò come nel corso del giudizio fosse emerso, dalle prove testimoniali, che le canne fumarie erano state installate su disposizione del proprietario o gestore del sottostante locale pizzeria e ritenne non sussistente l’animus spoliandi nel comportamento del personale della società.

Il primo motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1168 c.c., circa la tardività del ricorso possessorio e la necessità di considerare anche la Mabad s.r.l. autore del lamentato spoglio.

Il secondo motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 1168 c.c. La Corte di Appello avrebbe errato nell’escludere la sussistenza dell’animus spoliandi in capo al personale della società.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

La controricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

1. In via pregiudiziale va evidenziato come la controricorrente Mabad s.r.l. abbia eccepito l’inammissibilità del ricorso per sua tardività.

Tale eccezione è fondata nei termini di seguito indicati.

La ricorrente non ha allegato in ricorso che la sentenza impugnata le era stata notificata. E’ però dimostrato, alla stregua dell’eccezione della controricorrente, che copia della sentenza della Corte di Appello di Roma n. 154/2017 è stata notificata al difensore della ricorrente, a mezzo PEC (avvocato Alessandro Lembo, costituitosi con memoria del 3 marzo 2014, in aggiunta all’avvocato Emilio Rinaldi, che già rappresentava l’appellante S.E.) già in data 26 gennaio 2017, come risulta dalla relazione di notificazione e dalle ricevute di accettazione e consegna del relativo messaggio PEC depositate. Va quindi esclusa la possibilità di applicare la sanzione della improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, in quanto la relata di notifica – pur non depositata dalla ricorrente unitamente al ricorso entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c., comma 1 – è in ogni caso entrata nella disponibilità della Corte, perchè prodotta appunto dalla parte controricorrente (cfr. Cass. Sez. U., 02/05/2017, n. 10648).

Questa Corte ha peraltro chiarito come, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della decisione con la relazione di notificazione, il difensore della parte, destinataria della suddetta notifica, deve, appunto, estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato), attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter e depositare nei termini quest’ultima presso la cancelleria della S.C., adempimenti cui ha provveduto la controricorrente (Cass. Sez. 6-2, 22/12/2017, n. 30765; si veda anche Cass. Sez. U, 27/04/2018, n. 10266).

Si deve quindi procedere al riscontro della tempestività del rispetto del termine breve di impugnazione ex art. 325 c.p.c., comma 2. A fronte dei documenti prodotti dalla controricorrente, da cui si rileva che la notifica della sentenza impugnata è stata eseguita al difensore della ricorrente il giorno 26 gennaio 2017, va concluso che il termine entro cui il ricorso andava notificato era il 27 marzo 2017, laddove, invece, tale notifica è avvenuta soltanto il 12 luglio 2017.

Ne consegue l’inammissibilità del ricorso per violazione dei termini ex art. 325 c.p.c., comma 2 e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, in favore della controricorrente Mabad s.r.l.

E’ inammissibile la domanda di condanna al risarcimento dei danni per responsabilità processuale aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., proposta dalla controricorrente nella memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 3, dovendo tale domanda essere formulata con il controricorso (Cass. Sez. 6 – 1, 11/10/2011, n. 20914).

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 del testo unico, il comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione dichiarata inammissibile.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 20 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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