Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33033 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 16/12/2019, (ud. 22/01/2019, dep. 16/12/2019), n.33033

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 20780 del ruolo generale dell’anno 2013

proposto da:

Centro Assistenza Doganale – CAD – Alto Tirreno s.r.l., in persona

del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, per

procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Filippo Bruno e

Anselmo Carlevaro, elettivamente domiciliata in Roma, via Gian

Giacomo Porro, n. 8, presso lo studio di quest’ultimo difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, in persona del direttore generale pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

i cui Uffici in Roma, via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Liguria n. 11/7/2013, depositata in data 28 gennaio

2013;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 22 gennaio 2019

dal Consigliere Giancarlo Triscari;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore

generale Dott.ssa Kate Tassone, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del terzo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, in

subordine, l’inammissibilità del quinto, nono, decimo motivo e

l’infondatezza del primo, secondo, sesto, undicesimo e tredicesimo

motivo, assorbiti i restanti;

uditi per l’Agenzia gli Avvocati dello Stato Giulio Bacosi e

Francesca Subrani.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Dalla esposizione in fatto contenuto nel ricorso e negli atti difensivi delle parti si evince che: l’Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti del Centro Assistenza Doganale – CAD – Alto Tirreno s.r.l. (di seguito: CAD Alto Tirreno s.r.l.), nella qualità di spedizioniere, tre avvisi di rettifica dell’accertamento con i quali era stato richiesto il pagamento di maggiori dazi doganali, avendo rilevato che nei documenti allegati alle importazioni la quantità di metri lineari dei tessuti era stata riportata in misura inferiore rispetto a quella reale; avverso i suddetti atti impositivi CAD Alto Tirreno s.r.l. aveva proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Genova che lo aveva rigettato; avverso la pronuncia del giudice di primo grado CAD Alto Tirreno s.r.l. aveva proposto appello, nel contraddittorio con l’Agenzia delle dogane, che era stato rigettato dalla Commissione tributaria regionale della Liguria.

In particolare, il giudice del gravame ha ritenuto che: trovava applicazione la proroga del procedimento di accertamento e di rettifica di cui all’art. 221, CDC, atteso che, a seguito dell’attività ispettiva, era conseguito un procedimento penale; la determinazione della quantità della merce importata era stata correttamente eseguita secondo un criterio analitico, non contestato nel dettaglio dalla contribuente; sussistevano i presupposti per configurare la responsabilità solidale della contribuente, atteso che la stessa aveva operato in rappresentanza indiretta; non sussistevano i presupposti di pregiudizialità necessaria per la sospensione del giudizio in conseguenza della proposizione della querela di falso da parte della società importatrice.

Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la società contribuente affidato a quattordici motivi di censura, cui ha resistito l’Agenzia delle dogane con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per difetto di motivazione, essendosi la CTR limitata ad aderire acriticamente alle argomentazioni difensive dell’Agenzia delle dogane in ordine alla questione della sussistenza della responsabilità solidale dello spedizioniere che operi in regime di procedura domiciliata e non avendo argomentato sugli elementi di fatti e di diritto posti a fondamento della decisione circa la correttezza dell’operato dell’ufficio doganale nella determinazione del valore delle merci importate.

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4), in quanto non reca la succinta esposizione dei motivi in fatto ed in diritto e non risultano gli elementi concreti di valutazione seguiti ai fini della decisione.

I motivi, che possono essere esaminati unitamente, atteso che attengono alla medesima questione del difetto di motivazione della sentenza, sono fondati.

La questione di fondo che il giudice del gravame era chiamato a definire riguardava sia la individuazione della responsabilità solidale della contribuente che la rideterminazione del valore delle merci importate.

Con riferimento al primo profilo, la pronuncia impugnata in esame ha espressamente evidenziato che il fondamento normativo era da rinvenirsi nella previsione di cui all’art. 76 CDC, avendo la contribuente agito in rappresentanza indiretta.

Da quanto sopra esposto, si evince che la pronuncia ha preso in considerazione la questione in esame, ed ha motivato, secondo quanto riportato, sulla ragione per la quale la tesi difensiva di parte ricorrente non poteva trovare accoglimento.

Diversamente deve dirsi per quanto concerne la questione della corretta determinazione della misura della merce importata rispetto a quella dichiarata, in ordine alla quale la pronuncia si è limitata ad affermare che il calcolo della merce effettivamente importata, rispetto a quella dichiarata, è stato ricostruito in modo analitico dagli organi ispettivi, senza che, di converso, la ricorrente abbia nel dettaglio contestato le operazioni di revisione.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ., 21 marzo 2018, n. 70161) il vizio di nullità della sentenza, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4), e dell’art. 132 c.p.c., commi 2 e 4, commi 2, 4), è ravvisabile nell’ipotesi in cui la motivazione sia del tutto assente, ovvero abbia natura meramente apparente in quanto intrinsecamente inidonea a rendere intellegibili le ragioni della decisione.

La pronuncia impugnata si limita a fare riferimento alla ricostruzione analitica compiuta dagli organi ispettivi, senza tuttavia esplicitare l’iter logico-argomentativo afferente la questione in esame, sicchè tale omissione si traduce nella mancanza di motivazione in parte qua ovvero nella radicale inidoneità della stessa ad esprimere la ratio decidendi in ordine alle questione della corretta ricostruzione della misura della merce importata così da determinare la nullità della sentenza per carenza assoluta di un requisito essenziale.

3. Con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo la CTR pronunciato sulle questioni relative alla carenza di legittimazione ed alla violazione del principio del contraddittorio preventivo.

Il motivo è inammissibile.

Lo stesso, invero, denuncia la mancata pronuncia del giudice del gravame sulla questione del difetto di legittimazione passiva della contribuente e del mancato rispetto del contraddittorio.

La prospettazione del vizio, tuttavia, è stata formulata in difetto del principio di specificità, non avendo parte ricorrente allegato e riprodotto gli atti difensivi da cui evincere che le questioni erano state poste all’attenzione del giudice del gravame e che, quindi, questi ha omesso di pronunciare, non consentendo, in tal modo, a questa Corte, di verificare la fondatezza della ragione di doglianza. Ed invero questa Corte, (Cass. civ. 24 febbraio 2016, n. 3610) ha più volte precisato che affinchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia – è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un’eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall’altro, che tali domande o eccezioni siano state riprodotte puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell’autosufficienza, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte. Tanto al fine di consentire al giudice di legittimità di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività, sulla base del solo ricorso proposto (Cass. civ., 24 febbraio 2016, n. 3610; Cass. S.U. 15781/2005; Cass. 1732/2006).

4. Con il quarto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, per non avere la CTR ritenuto che, nella fattispecie, l’atto impositivo era illegittimo per inosservanza dell’obbligo del contraddittorio preventivo.

L’esame del presente motivo di ricorso è assorbito dalla conclusione relativa al precedente terzo motivo.

5. Con il quinto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per violazione e falsa applicazione del Reg. Cee n. 2913 del 1992, art. 221, e del D.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, art. 84, per avere ritenuto applicabile la proroga del termine di prescrizione per l’esercizio della pretesa impositiva, tenuto conto che gli avvisi di accertamento erano stati notificati solo nel marzo 2009 e che le operazioni di importazione erano avvenute nell’ottobre 2005 e febbraio 2006.

6. Con il sesto motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del Reg. cee n. 2913 del 1992, art. 221, e del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, per non avere la CTR valutato se la notitia criminis era intervenuta nell’arco del triennio di prescrizione del diritto all’accertamento e per non avere tenuto conto del fatto che, laddove sia iniziata un’azione penale, l’attività di riscossione della dogana deve attendere l’esito dell’accertamento penale.

I motivi, che possono essere esaminati unitamente, sono fondati.

Il giudice del gravame, sulla questione relativa alla applicabilità al caso di specie della proroga triennale di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, art. 84, si è limitato a osservare che dall’attività ispettiva di revisione della merce importata era derivato un procedimento penale e da tale sola circostanza ha fatto derivare la considerazione dell’applicabilità del suddetto regime di proroga.

Questa Corte (Cass. civ., 12 gennaio 2018, n. 615) ha precisato che in tema di tributi doganali, ove il mancato pagamento derivi da un reato, sia il termine di prescrizione dell’azione di recupero dei dazi all’importazione, che quello di decadenza per la revisione dell’accertamento del D.Lgs. n. 374 del 1990, ex art. 11, sono prorogati sino ai tre anni successivi alla data d’irrevocabilità della decisione penale, a condizione che, nel triennio decorrente dall’insorgenza dell’obbligazione doganale, l’Amministrazione emetta un atto nel quale venga formulata una “notitia criminis” ovvero lo stesso sia ricevuto dall’Autorità giudiziaria o da ufficiali di polizia giudiziaria, come i funzionari doganali.

La pronuncia in esame ha solo tenuto conto della sussistenza del procedimento penale, ma non ha, invero, verificato se, entro il termine di tre anni dal sorgere dell’obbligazione doganale, era stato emesso dall’amministrazione doganale un atto contenente la notitia criminis idoneo, in quanto tale, ad interrompere la decorrenza del termine di prescrizione e ad attivare il regime di proroga.

7. Con il settimo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del Reg. Cee n. 2913 del 1992, artt. 29, 30 e 31, per avere la CTR ritenuto che la ricostruzione analitica compiuta dall’ufficio doganale era attendibile e conforme ai criteri di rideterminazione del valore doganale dettati dal codice doganale comunitario.

8. Con l’ottavo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per violazione e falsa applicazione del Reg. Cee, artt. 29, 30 e 31, non avendo la CTR valutato elementi decisivi, quali l’inattendibilità della tabella di conversione peso/metro lineare e il riconoscimento dell’errore di valutazione (sciupio delle stoffe) e della circostanza, infine, che, in sede di accertamento con adesione l’ufficio doganale aveva ridotto la pretesa.

9. Con il nono motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per difetto di motivazione, non avendo la CTR tenuto conto, nell’affermare che la contribuente non aveva contestato nel dettaglio le operazioni di revisione, della documentazione dalla stessa prodotta.

10. Con il decimo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per difetto di motivazione, avendo la CTR omesso l’esame di una circostanza di fatto relativa al calcolo del valore doganale decisiva per il giudizio, in particolare che l’applicazione di un prezzo medio delle materie prime, componenti i tessuti in esame, non può condurre a determinare il valore reale dei prodotti importati.

I motivi, attenendo al merito della pretesa, sono assorbiti dalle conclusioni espresse relativamente ai precedenti motivi di ricorso.

11. Con l’undicesimo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione degli artt. 64 e 76 CDC, in quanto ha erroneamente ritenuto che l’utilizzo della procedura domiciliata implica necessariamente l’uso della rappresentanza indiretta, con conseguente responsabilità solidale della contribuente la quale, peraltro, ha operato in rappresentanza indiretta a seguito di una “imposizione” dell’Agenzia delle dogane.

Il motivo è inammissibile.

La pronuncia censurata ha precisato che la contribuente ha operato quale CAD e in rappresentanza indiretta e, da tali elementi, ha fatto discendere la responsabilità solidale della medesima.

Parte ricorrente non esclude entrambe le circostanze nè deduce elementi concreti che consentano di verificare che, nella fattispecie, la stessa non avesse operato secondo la speciale procedura domiciliata e in rappresentanza diretta, anzi, implicitamente ammette tale circostanza, laddove afferma che l’uso della rappresentanza indiretta non è stato frutto di una scelta dell’operatore, bensì di una prassi distorta e imposta dall’Agenzia delle dogane di La Spezia (vd. pag. 43 del ricorso).

In questo quadro fattuale, la questione relativa alla eventuale “imposizione” da parte dell’Agenzia delle dogane del necessario utilizzo della rappresentanza indiretta risulta prospettata in violazione del principio di specificità, non risultando esaminata dalla sentenza impugnata nè avendo parte ricorrente specificato se, e in quali termini, la stessa era stata devoluta all’esame del giudice del gravame.

12. Con il dodicesimo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione dell’art. 202 CDC, avendo attribuito alla ricorrente la responsabilità solidale senza procedere alla verifica del profilo della colpevolezza.

Il motivo è infondato.

Va precisato che i CAD (Centri di Assistenza Doganali), quale è parte ricorrente, istituiti con D.M. Finanze n. 549 del 1992, sono società costituite tra spedizionieri doganali, abilitate ad emettere dichiarazioni doganali, in rappresentanza sia diretta che indiretta, previa l’acquisizione ed il controllo formale della documentazione fornita dal proprietario delle merci.

Successivamente, in attuazione della L. n. 213 del 2000, con decreto del 7 dicembre 2000, sono state disciplinate le procedure autorizzatorie e le modalità di esercizio delle procedure semplificate di cui al Reg. CEE n. 2913 del 1992, art. 76, nonchè il rilascio delle medesime ai CAD.

Nel caso di specie, stante la natura di CAD della ricorrente e non risultando che la stessa non abbia operato in procedura domiciliata, avendo quindi agito in regime di rappresentanza indiretta, la stessa deve essere considerata dichiarante, ai sensi dell’art. 76 sopra citato, sicchè risponde in solido con l’importatore di tutte le obbligazioni tributarie che scaturiscono dalle operazioni doganali.

In particolare, va osservato che secondo il Reg. CE n. 2913 del 1992, art. 64, par. 2, la dichiarazione in dogana deve essere presentata direttamente dal soggetto o per suo conto; è poi il Reg. CE ult. cit., art. 5, a prevedere che la rappresentanza alla quale fa riferimento il ricordato art. 64, può essere diretta, quando il rappresentante agisce in nome e per conto di terzi oppure indiretta, quando il rappresentante agisce in nome proprio, ma per conto di terzi.

Viene poi nel caso di specie in considerazione la procedura di domiciliazione, in ordine alla quale nessun elemento concreto che possa condurre ad una diversa valutazione è stata prospettata dalla ricorrente.

Detta procedura è regolata dal Reg. ult. cit., art. 76, a cui tenore “Per semplificare, per quanto possibile, nel rispetto della regolarità delle operazioni, l’espletamento delle formalità e delle procedure, l’autorità doganale consente, alle condizioni da stabilirsi con la procedura del comitato: a) che nella dichiarazione di cui all’art. 62, non figurino talune indicazioni di cui al predetto art., paragrafo 1, o che alla dichiarazione non siano allegati alcuni dei documenti di cui al medesimo art., paragrafo 2; b) che in luogo e vece della dichiarazione di cui all’art. 62, venga presentato un documento commerciale o amministrativo accompagnato da una domanda di vincolo delle merci al regime considerato; c) che la dichiarazione delle merci al regime considerato avvenga con l’iscrizione delle merci nelle scritture contabili; in tal caso, l’autorità doganale può dispensare il dichiarante dal presentare le merci in dogana. La dichiarazione semplificata, il documento commerciale o amministrativo o l’iscrizione nelle scritture contabili devono contenere per lo meno le indicazioni necessarie all’identificazione delle merci. L’iscrizione nelle scritture deve essere datata.

2. Fatti salvi i casi che saranno determinati secondo la procedura del comitato, il dichiarante è tenuto a fornire una dichiarazione complementare, che può avere carattere globale, periodico o riepilogativo.

3. Le dichiarazioni complementari sono considerate costituire con le dichiarazioni semplificate di cui al paragrafo 1, lett. a), b) o c), un atto unico ed indivisibile che è efficace alla data di accettazione delle dichiarazioni semplificate; nei casi di cui al paragrafo 1, lett. c), l’iscrizione nelle scritture ha lo stesso valore giuridico dell’accettazione della dichiarazione di cui all’art. 62”.

Va sul punto ricordato che l’autorizzazione ad utilizzare la procedura di domiciliazione, proprio per le forme semplificate che la caratterizzano e per la mancata presentazione materiale della merce, è specificamente accordata solo secondo le modalità e condizioni analiticamente indicate nel Reg. CE n. 2454 del 1993, artt. 264, 265 e 266. Inoltre, ai sensi del Reg. CE n. 2913 del 1992, art. 76, p. 2, lett. c), il beneficiario di un’autorizzazione alla procedura di domiciliazione è chiaramente identificato nel “dichiarante”.

Occorre pure ricordare che secondo il Reg. ult. cit., art. 201, il “debitore” dell’obbligazione doganale all’importazione è il dichiarante (che il Reg. CE n. 2913 del 1992, art. 4, par. 18, indica come “la persona che fa in dogana la dichiarazione in nome proprio ovvero la persona in nome della quale è fatta una dichiarazione in dogana) ed anche, in caso di rappresentanza indiretta, la persona per conto della quale è presentata la dichiarazione.

Orbene, il composito quadro normativo di riferimento, al quale si aggiunge, infine, il TULD, art. 38, a cui tenore il vincolo della solidarietà nel pagamento dell’imposta doganale coinvolge chiunque, indicato nella dichiarazione doganale, si trovi in rapporto fisico o giuridico con le cose che attraversano la linea doganale rende evidente, ad onta di quanto diversamente opinato dalla società ricorrente, la responsabilità del soggetto che ha compiuto la procedura semplificata nell’interesse dell’importatore, agendo in nome proprio e nell’interesse dell’importatore.

Tanto è, dunque, sufficiente per ritenere la piena responsabilità ai fini della pretesa fiscale azionata nei confronti della ricorrente, ed è proprio l’esistenza delle particolari cautele che la disciplina comunitaria richiede in tema di procedura semplificata a rendere doveroso che il dichiarante, ove utilizzi la procedura semplificata nell’interesse dell’importatore, compia tale dichiarazione in nome proprio, assumendo direttamente su di sè la responsabilità della procedura semplificata.

Ne consegue che la spendita da parte della ricorrente del proprio nome in qualità di dichiarante, ai sensi dell’art. 201 CDC, comporta la sua responsabilità solidale con quella del mandante (importatore proprietario delle merci).

Infatti, il Reg. Cee 12 ottobre 1992, n. 2913, art. 201, stabilisce la solidarietà passiva dello spedizioniere doganale o di chiunque presenti la merce per conto di altri con il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria quando, come nella fattispecie, agisce nell’ambito della rappresentanza indiretta, diventando lui stesso dichiarante e dunque responsabile solidale con il rappresentato nell’obbligazione doganale.

Sicchè, è del tutto giustificato considerare, nella fattispecie, la contribuente, quale spedizioniere doganale professionale, responsabile in solido con il debitore per il pagamento della pretesa erariale, come già più volte affermato da questa Corte, in quanto “In tema di tributi doganali, lo spedizioniere che abbia presentato merci in dogana per conto terzi, ma in nome proprio, beneficiando dell’ammissione alla procedura semplificata di cui alla L. n. 374 del 1990, art. 12, risponde, ai sensi dell’artt. 12 cit. e del Reg. CEE n. 2913 del 1992, artt. 201 e 202, (Codice doganale comunitario), in via solidale con il soggetto per conto del quale la merce medesima è stata presentata in dogana, di tutti i dazi, le imposte e gli accessori dovuti, a qualsiasi titolo, in relazione all’operazione commerciale, compresi gli interessi relativi, essendo tale figura di rappresentante indiretto, anche per la sua preparazione professionale, in grado di valutare la veridicità dei documenti trasmessigli, e dunque consapevole dell’irregolarità dell’introduzione delle merci nel territorio della Comunità” (Cass. civ., Sez. V, 29 maggio 2013, n. 13306; Cass. civ., Sez. V, 23 aprile 2010, n. 9773).

In definitiva, la responsabilità del rappresentante indiretto dichiarante è logica conseguenza della nozione stessa della rappresentanza indiretta: il rappresentante indiretto, agendo in nome proprio, quantunque nell’altrui interesse, diviene parte sia della fattispecie, sia del regolamento che ad esso si connette, assumendo per conseguenza la veste di obbligato nei confronti dei terzi, compreso l’ufficio doganale.

Ne consegue che la ritenuta natura di soggetto obbligato fa venire meno ogni rilevanza alla necessaria verifica della consapevolezza del rappresentante indiretto.

Pertanto, la sentenza censurata è conforme all’orientamento sopra indicato, avendo ritenuto sussistente la responsabilità della ricorrente nel pagamento dei maggiori dazi doganali non versati.

13. Con il tredicesimo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione dell’art. 112 c.p.c., in merito alla omessa applicazione degli artt. 220 e 239 CDC, per non avere applicato l’esimente della buona fede e per non avere esaminato il profilo della prova della mala fede dell’importatore e del comportamento diligente della contribuente nel compimento delle dichiarazioni doganali.

Il motivo è assorbito dalle considerazioni espresse in ordine al dodicesimo motivo di ricorso.

14. Con il quattordicesimo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per errata interpretazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, non avendo disposto la sospensione del processo a seguito della presentazione, da parte dell’importatore, della querela di falso avverso il processo verbale redatto dall’ufficio doganale.

Il motivo è inammissibile.

Deve premettersi, sul punto, che il giudice tributario è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, a sospendere il giudizio fino al passaggio in giudicato della decisione in ordine alla querela stessa (o fino a quando non si sia altrimenti definito il relativo giudizio), trattandosi di accertamento pregiudiziale riservato ad altra giurisdizione, e di cui egli non può conoscere neppure “incidenter tantum”, ma, in caso di presentazione di detta querela, anche nel processo tributario il relativo giudice non deve semplicemente prenderne atto e sospendere il giudizio ma è tenuto a verificare la pertinenza di tale iniziativa processuale in relazione al documento impugnato e la sua rilevanza ai fini della decisione (Cass. Civ., 30 novembre 2017, n. 28671; Cass. Civ., 7 agosto 2009, n. 18139; Cass. Civ., 28 dicembre 2012, n. 24107).

Tuttavia, per consentire al giudice tributario di valutare la “pertinenza” e la “rilevanza” della iniziativa processuale volta alla presentazione della querela di falso, il richiedente deve depositare presso il giudice tributario la querela di falso già presentata in sede civile o penale.

Pertanto, questa Corte intende aderire al consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità per cui l’esame degli atti del giudizio di merito da parte del giudice di legittimità, ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, sicchè, laddove sia denunciata la violazione dell’obbligo di sospendere il processo tributario, a seguito della proposizione di querela di falso contro le relazioni di notificazione degli atti impositivi impugnati, è necessario che nel ricorso stesso siano riportati, nei loro esatti termini, il testo della querela di falso ed il verbale di udienza relativo al suo deposito davanti al giudice che non ha disposto la sospensione del processo (Cass. Civ., 26 aprile 2017, n. 10272; Cass. Civ., 28 marzo 2012, n. 5036; Cass. Civ., 2011/23420; Cass. Civ., 2006/20405).

Nel motivo di ricorso in esame la contribuente si limita ad affermare che l’importatore aveva proposto querela di falso, ma non si indica nè il testo della querela di falso nè l’udienza in cui sarebbe avvenuto il relativo deposito davanti al giudice tributario. Per completezza va precisato che il documento n. 12, allegato al ricorso, contiene, solo parzialmente un atto di citazione per querela di falso, senza alcuna ulteriore indicazione in ordine all’effettiva notifica del medesimo e di concreta attivazione del giudizio.

15. In conclusione, vanno accolti il primo, secondo, quinto e sesto motivo di ricorso, dichiarati inammissibili il terzo, l’undicesimo e il quattordicesimo, infondato il dodicesimo, assorbiti i restanti, con conseguente cassazione della sentenza per i motivi accolti e rinvio alla Commissione tributaria regionale in diversa composizione anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte:

accoglie il primo, secondo, quinto e sesto motivo di ricorso, dichiara inammissibili il terzo, l’undicesimo e il quattordicesimo, infondato il dodicesimo, assorbiti i restanti, con conseguente cassazione della sentenza per i motivi accolti e rinvio alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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