Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33026 del 14/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 14/12/2019, (ud. 19/09/2019, dep. 14/12/2019), n.33026

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al numero 25712 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

Bindella s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore

C.G. rappresentata e difesa, giusta procura speciale a

margine del ricorso, dall’avv.to Prof. Giuseppe Greco e dall’avv.to

B.N., elettivamente domiciliata presso lo studio dei

difensori, in Roma alla Via Santa Caterina da Siena n. 46;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

Ministero dell’economia e delle finanze, in persona del Ministro pro

tempore;

– intimato –

e contro

Agenzia delle entrate- Direzione provinciale di Siena-in persona del

Direttore pro tempore;

– intimata –

e contro

Agenzia delle entrate- Ufficio Territoriale di Montepulciano-in

persona del Direttore pro tempore;

– intimata –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Toscana n. 100/31/2012, depositata il 29 ottobre

2012, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19 settembre 2019 dal Relatore Consigliere Dott.ssa Putaturo Donati

Viscido di Nocera Maria Giulia.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza n. 100/31/2012, depositata il 29 ottobre 2012, la Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l’appello proposto da Bindella s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Siena n. 13/05/10, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS), n. (OMISSIS), n. (OMISSIS) con i quali l’Ufficio aveva recuperato a tassazione nei confronti di quest’ultima, per gli anni 2004-2006, ai fini Ires, Irap e Iva, costi relativi all’acquisto di arredi destinati ad attrezzature di locali di ristorazione gestiti dalla società consociata “Bindella Terra Vite Vita s.a., con sede in Svizzera;

– in punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha affermato che: 1) la mancata esibizione dell’autorizzazione del capo dell’ufficio di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 – peraltro non contestata dalla contribuente nei termini e forme della L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 7 – non comportava l’illegittimità dell’avviso di accertamento in questione, prescrivendone la legge l’esistenza- nella specie confermata dalla produzione del documento autorizzatorio da parte dell’Ufficio- e non anche la relativa esibizione; 2) i costi sostenuti per l’acquisto di mobili di arredamento poi venduti alla consociata Bindella Terra Vite Vita s.a.s. con oggetto istituzionale di “gestione di strutture di ristorazione e alberghiere”, non erano inerenti all’attività istituzionale prevista nell’oggetto sociale della contribuente riconducibile alla “produzione e commercio di prodotti agricoli”, essendo necessario “un collegamento diretto” degli acquisti con la specifica attività propria della medesima; 3) i ricavi diretti (correlati al ricarico) e indiretti (come aspettativa di un futuro incremento delle vendite dei prodotti agricoli della contribuente) non valevano a qualificare l’inerenza dei costi;

– avverso la sentenza della CTR, Bindella s.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate; il Ministero dell’economia e delle finanze, l’Agenzia delle entrate-Direzione provinciale di Siena e l’Agenzia delle entrate- Ufficio territoriale di Montepulciano- sono rimasti intimati;

– la società contribuente ha depositato memoria ex art. 380-bis 1. c.p.c. insistendo per l’accoglimento del ricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2, e dell’art. 380-bis.1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

– va preliminarmente dichiarato inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze – rimasto intimato- in quanto privo di legittimazione passiva, per essere stato il giudizio d’appello azionato dopo il primo gennaio 2001, spettando, in tema di contenzioso tributario, la legittimazione “ad causam” e ad “processum”, esclusivamente all’Agenzia delle entrate con riferimento ai procedimenti introdotti successivamente al 1 gennaio 2001 (ex multis, Cass. Sez. 5, Ord. n. 29183 del 06/12/2017);

-con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, del D.P.R. n. 633 del 1972, comma 1, secondo periodo, per avere la CTR ritenuto: 1) preclusa alla contribuente, quale effetto dell’inutile decorso del termine citata L. n. 212 del 2000, ex art. 12, comma 7, la deduzione, in sede di giudizio, del vizio dell’attività di verifica fiscale per omessa esibizione dell’autorizzazione del capo dell’ufficio agli accessi ispettivi citato D.P.R. n. 633 del 1972,ex art. 52, comma 1,; 2) non comportare l’illegittimità dell’avviso di accertamento in questione, la mancata esibizione dell’autorizzazione citato D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 52, comma 1, ancorchè la contribuente avesse diritto, tramite la motivazione della stessa, di verificare la sussistenza dei presupposti giustificanti l’accesso nei luoghi di esercizio dell’impresa;

– il motivo è infondato;

– questa Corte ha affermato il condivisibile principio secondo cui: “In tema di accertamento dell’IVA, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 52 prevede, al comma 1, l’accesso degli impiegati dell’Amministrazione finanziaria presso i locali adibiti all’esercizio dell’attività commerciale, agricola, artistica o professionale, ovvero presso i locali adibiti ad uso promiscuo (e, dunque, anche abitativo) e, al comma 2, l’accesso presso i locali adibiti ad uso diverso e, dunque, esclusivamente abitativo: nel primo caso, è richiesta la semplice autorizzazione del capo dell’ufficio e del procuratore della Repubblica, senza l’indicazione di specifici presupposti, ponendosi tali autorizzazioni come meri adempimenti procedimentali, legati alla necessità che la perquisizione sia avallata da un’autorità gerarchicamente o funzionalmente sovraordinata; nel secondo caso, invece, l’autorizzazione del procuratore della Repubblica presuppone la sussistenza di gravi indizi di violazione tributaria, trovando il suo fondamento nell’inviolabilità del domicilio di cui all’art. 14 Cost.. Ne consegue che, in tale ultima ipotesi, l’effettiva sussistenza dei gravi indizi di violazione tributaria è soggetta alla verifica della legittimità formale e sostanziale della pretesa impositiva, che coinvolge la legittimità del procedimento accertativo su cui la stessa si fonda”(Cass. Sez. 5, n. 26829 del 18/12/2014; v. da ultimo, Cass. n. 275 del 2019);

– nella specie, la CTR si è attenuta al suddetto principio, avendo affermato che la mancata esibizione, in sede di accesso nei locali adibiti all’esercizio dell’attività commerciale, del provvedimento autorizzatorio del capo dell’ufficio, non era idonea ad incidere sulla legittimità del conseguente avviso di accertamento in questione, prevedendone, peraltro, il legislatore proceduralmente la necessaria esistenza- nel caso concreto confermata dalla produzione del documento autorizzatorio da parte dell’Ufficio- e non già l’esibizione;

– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, comma 1, per avere la CTR escluso erroneamente la deducibilità, ai fini delle imposte dirette, e la detraibilità, ai fini Iva, dei costi sostenuti dalla contribuente per l’acquisto di beni mobili di arredo in quanto ritenuti non inerenti all’esercizio dell’attività di impresa afferente all’oggetto sociale, senza considerare che detti beni erano stati alienati ad un’altra società consociata che gestiva un’impresa di ristorazione verso corrispettivo con congruo ricarico, e, dunque, con produzione di reddito di impresa oltre che di incremento reddituale potenzialmente derivante dall’incremento di vendita di prodotti agricoli e alimentari alla società consociata medesima e dalla capacità di distribuzione sul mercato di prodotti alimentari da parte del gruppo societario del quale faceva parte la medesima contribuente;

– il motivo è fondato per le ragioni di seguito indicate;

– questa Corte ha affermato il condivisibile principio di diritto secondo cui “In tema di imposta sui redditi d’impresa, il principio dell’inerenza esprime la riferibilità dei costi sostenuti all’attività d’impresa, anche in via indiretta, potenziale o in proiezione futura, escludendo i costi che si collocano in una sfera ad essa estranea, e, infatti, quale vincolo alla deducibilità dei costi, non discende dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, comma 5 (attuale art. 109, comma 5), che concerne il diverso principio dell’indeducibilità dei costi relativi a ricavi esenti (ferma l’inerenza), cioè la correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili. Da ciò consegue che l’inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro dai riferimenti ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti ad un giudizio quantitativo, e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo, anche se l’antieconomicità e l’incongruità della spesa possono essere indici rivelatori del difetto di inerenza” (Cass., sez. 5, n. 27786 del 2018; n. 13882 del 2018; Cass., sez. 5, ord. n. 450 del 2018);

-nella specie, la CTR non si è attenuta al suddetto principio, avendo escluso il requisito dell’inerenza- ai fini della deducibilità delle imposte dirette e della detraibilità Iva- dei costi sostenuti dalla contribuente per l’acquisto di beni mobili di arredo in base ad un operato giudizio non conforme ai criteri elaborati al riguardo dal condivisibile orientamento giurisprudenziale sopra richiamato;

– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in via subordinata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel testo anteriore alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito dalla L. n. 134 del 2012, asseritamente non applicabile al processo tributario- l’omessa, insufficiente motivazione della sentenza impugnata per avere la CTR escluso l’inerenza dei costi in questione, non essendo direttamente riconducibili all’attività di impresa di cui all’oggetto sociale della contribuente, senza argomentare in ordine alla successiva alienazione degli arredi ad altra società consociata- esercente attività di ristorazione- finalizzata ad incrementare l’attività di fornitura di vino e olio nei confronti della consociata medesima nonchè la capacità di commercializzazione dei prodotti agricoli da parte del gruppo societario del quale faceva parte anche la contribuente;

– l’accoglimento del secondo motivo rende inutile la trattazione del terzo, peraltro, proposto in via subordinata, con assorbimento del medesimo;

– in conclusione, va accolto il secondo motivo, infondato il primo, assorbito il terzo, con cassazione della sentenza impugnata- in relazione al motivo accolto- e rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla CTR della Toscana, in diversa composizione, per un nuovo esame della vicenda di merito alla luce dei sopra richiamati principi.

P.Q.M.

la Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze;

accoglie il secondo motivo di ricorso; infondato il primo; assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata- in relazione al motivo accolto- e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2019.

Depositato in cancelleria il 14 dicembre 2019

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