Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33020 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 20/12/2018, (ud. 10/05/2018, dep. 20/12/2018), n.33020

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28113/2017 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, C.F. (OMISSIS), in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI

12;

– ricorrente –

contro

L.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO

ANTONELLI 10, presso lo studio dell’avvocato ANDREA COSTANZO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMILIANO MARINELLI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 824/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 25/09/2017 R.G.N. 477/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2018 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato GIUSTINA NOVIELLO;

udito l’Avvocato MASSIMILIANO MARINELLI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 824 del 2017, dichiarava nullo il licenziamento irrogato nei confronti di L.M.A., dirigente amministrativa di seconda fascia del Ministero, all’epoca dei fatti in servizio presso la Procura della Repubblica di Marsala, dal Ministero della Giustizia con nota del 21 maggio 2015, e condannava il Ministero medesimo a reintegrare la lavoratrice nel posto di lavoro e a pagarle un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, oltre interessi legali come per legge, nonchè al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali per il medesimo periodo.

2. Il Tribunale di Trapani aveva respinto l’opposizione della L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 51, proposta dalla lavoratrice avverso l’ordinanza con cui il medesimo Tribunale aveva respinto l’impugnazione del licenziamento per giusta causa intimato alla lavoratrice.

3. La Corte d’Appello adita in sede di reclamo dalla lavoratrice accoglieva lo stesso in ragione delle seguenti statuizioni.

Il Presidente del Tribunale di Trapani non era soggetto al quale legittimamente delegare la fase istruttoria del procedimento disciplinare, in quanto la delega dell’attività istruttoria deve avvenire nell’ambito del medesimo ufficio individuato dalla PA per i procedimenti disciplinari; il Presidente del Tribunale era soggetto estraneo alla direzione del Ministero di cui faceva parte la lavoratrice, struttura titolare in via esclusiva del potere disciplinare.

La compartecipazione del Presidente del Tribunale al procedimento disciplinare, lungi dall’avere determinato una compartecipazione meramente additiva del soggetto estraneo all’adozione del provvedimento, aveva realizzato una compartecipazione sostitutiva del soggetto titolare del potere, con conseguenza inammissibile sostanziale trasferimento della competenza dall’organo competente ad un diverso organo, sicuramente non competente.

Ed infatti, il Presidente, non solo aveva sentito a discolpa la lavoratrice, ma aveva poi valutato la non necessità di ulteriori atti istruttori, rimandando con questa espressa motivazione gli atti al soggetto delegante per le sue determinazioni (come di evinceva dalla nota di accompagnamento del verbale di audizione).

Quindi, il Presidente del Tribunale aveva interferito in maniera “sostanziale” nell’attività che la legge riserva in via esclusiva al titolare del potere disciplinare, deliberando la chiusura di ogni ulteriore accertamento e compartecipando, quindi, all’adozione dell’atto finale. Alla luce della nuova disciplina della dirigenza degli uffici giudiziari, invece, doveva rilevarsi l’estraneità del Presidente del Tribunale agli organi titolari del potere disciplinare nei confronti della lavoratrice, non sanata dalla delega conferita, illegittima per violazione di legge.

2. Per la cassazione della sentenza emessa dalla Corte d’Appello in sede di reclamo ricorre il Ministero della Giustizia, prospettando due motivi di ricorso.

3. Resiste con controricorso la lavoratrice.

4. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, commi 6 e art. 17, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 240 del 2006, artt. 1,2 e 3; dell’art. 100, Cost. (art. 360 c.p.c., n. 3).

E’ censurata la statuizione con cui si è ritenuta illegittima la delega dell’attività istruttoria al Presidente del Tribunale nel corso del procedimento disciplinare promosso nei confronti di un dipendente amministrativo.

Assume la difesa dello Stato che la Corte d’appello ha ritenuto la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, sia perchè la delega istruttoria era stata rilasciata dall’UPD nei confronti di soggetto non legittimato (il magistrato capo dell’ufficio) sia perchè l’attività svolta dal delegato avrebbe esorbitato dai limiti della delega, integrando una interferenza decisionale.

Tale decisione, prospetta il Ministero, viola ed applica erroneamente del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, sotto un duplice profilo.

3.1. Con una prima cesura si espone che la delega è possibile non solo in favore del dirigente amministrativo, ma anche del magistrato capo dell’ufficio, atteso che la norma nel testo applicabile ratione temporis, non richiede che il soggetto delegato debba essere un altro dirigente amministrativo dell’ufficio

competente per i procedimenti disciplinari, quanto che siano delegati non la competenza sanzionatoria, ma specifici adempimenti istruttori. Andava, altresì considerato, in ragione della normativa di settore, che negli Uffici giudiziari le funzioni dirigenziali in caso di assenza del dirigente sono svolte dal capo dell’ufficio, nella specie il Presidente del Tribunale.

Dunque la delega istruttoria al capo dell’ufficio non aveva inficiato in alcun modo il procedimento ai sensi e per gli effetti del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55.bis, atteso che la potestà disciplinare e il relativo potere decisionale erano rimasti in capo alla Direzione generale dell’amministrazione centrale, la quale attraverso la delega dell’attività istruttoria si è limitata a demandare non la competenza sanzionatoria, bensì solo specifici adempimenti istruttori da compiersi secondo l’iter procedimentale definito da disposizioni contrattuale e normative. All’esito dell’attività espletata, il Presidente del Tribunale aveva rimesso tutti gli atti istruttori all’amministrazione centrale, consentendo all’UPD di compiere le proprie valutazioni per concludere il procedimento ed esercitare l’esclusiva potestà disciplinare attribuitagli dalla legge.

3.2. Con una seconda censura, la sentenza è impugnata per avere ritenuto che integri attività decisoria l’espressione da parte dell’organo delegato dell’istruttoria di una valutazione circa la conclusione della fase istruttorie e circa il fatto che la questione disciplinare fosse matura per la decisione, atteso che invece si trattava di compartecipazione additiva e non sostitutiva. Il Presidente del Tribunale procedeva alla sola audizione della lavoratrice, cui faceva seguito l’inoltro all’UPD del verbale e della memoria difensiva con nota di accompagnamento in cui si leggeva: “(…) trasmetto verbale di audizione della stessa in data 16 novembre 2015 e memoria difensiva (con relativi allegati) depositati in tale sede. Non rilevo la necessità di ulteriori accertamenti non apparendo utile l’acquisizione di altri elementi alla luce delle giustificazioni addotte dall’incolpata”.

Il Ministero censura quindi che la restituzione degli atti istruttori delegati all’UPD, soggetto delegante, con l’affermazione sopra riportata, integri una interferenza sostanziale nell’attività che la legge riserva al titolare del procedimento disciplinare.

4. Con il terzo motivo di ricorso è dedotto il vizio di omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Assume il ricorrente che nulla veniva argomentato in sentenza rispetto a quanto dedotto dalla difesa erariale per contrastare la tesi di controparte e in particolare rispetto all’osservazione, svolta nella memoria dinanzi alla Corte d’Appello, che la dirigente amministrativa dell’Ufficio, rispetto alla quale si assumeva la delegabilità dell’istruttoria, era la diretta interessata del procedimento disciplinare, sospesa dal servizio all’epoca dei fatti.

5. I suddetti motivi di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

6. Gli stessi sono fondati per quanto in motivazione.

7. Occorre precisare che la Corte d’Appello, nel decidere il reclamo ha affermato che la delega può riguardare solo atti istruttori e non anche atti che implicano un’attività valutativa e decisoria.

In relazione a tale principio il giudice di secondo grado ha affermato che la valutazione di completezza dell’istruttoria stessa, effettuata dal delegato Presidente del Tribunale con la nota di accompagnamento all’UPD, costituiva una illegittima interferenza sostanziale nell’attività riservata a quest’ultimo, titolare del potere disciplinare.

8. Questa Corte ha già avuto modo di esaminare la questione della delega nel procedimento disciplinare (cfr., Cass., n. 14200 del 2018, decisa nella Camera di consiglio del 6 febbraio 2018), affermando, nel richiamare la giurisprudenza della Corte, i principi di seguito riportati a cui si intende dare continuità.

Il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 55-bis, come modificato dal D.Lgs. n. 150 del 2009, nel disporre che l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari “contesta l’addebito al dipendente, lo convoca per il contraddittorio a sua difesa, istruisce e conclude il procedimento”, non obbliga il soggetto titolare del potere a procedere direttamente a tutti gli atti istruttori necessari, perchè ciò che rileva, ai fini della validità della sanzione inflitta, è che i risultati dell’attività svolta dagli ausiliari vengano fatti propri dal dirigente che ricopre l’ufficio, il quale deve provvedere alla contestazione dell’addebito, all’esame dell’istruttoria compiuta, all’irrogazione della sanzione (Cass., n. 5317 del 2017).

La delega degli atti istruttori è stata, quindi, ritenuta ammissibile in fattispecie nelle quali l’atto era stato delegato a dipendenti assegnati alla struttura amministrativa dell’ufficio per i procedimenti (Cass., n. 5317/2017 cit.), ad altri dirigenti (Cass. n. 24828 del 2015), nonchè ai singoli componenti dell’ufficio a composizione collegiale, giacchè in tal caso la necessaria collegialità resta circoscritta alle attività valutative e deliberative vere e proprie e non si estende “a quelle preparatorie, istruttorie o strumentali, verificabili a posteriori dall’intero consesso” (Cass., n. 8245 del 2016). Più in generale questa Corte ha affermato che le norme sulla competenza non vanno confuse con le regole del procedimento per cui, ove risulti che quest’ultimo sia stato comunque gestito dal soggetto titolare del potere, non ogni difformità rispetto alla previsione normativa produce la nullità della sanzione, configurabile solo qualora l’interferenza di organi esterni all’U.P.D. “abbia determinato decisiva – nel senso di sostitutiva e non meramente additiva compartecipazione del soggetto estraneo all’adozione del provvedimento, con conseguente inammissibile sostanziale trasferimento della competenza dall’organo competente ad un diverso organo, sicuramente non competente” (Cass. n. 11632 del 2016).

In quest’ottica (citata Cass., n. 14200 del 2018), si deve ritenere che, mentre non è ammissibile la delega rispetto ad atti che implicano un’attività valutativa e decisoria, non altrettanto può dirsi per quelli meramente istruttori, che vengano compiuti su indicazione dell’ufficio delegante ed i cui esiti siano sottoposti a verifica da parte di quest’ultimo. In tal caso, infatti, non subisce alcuna lesione il diritto di difesa del dipendente incolpato nè viene meno la garanzia di terzietà, da intendersi nei termini indicati da Cass. n. 5317 del 2017, perchè l’atto è comunque riferibile al soggetto delegante, il quale resta dominus dell’istruttoria ed è chiamato a valutarne all’esito i risultati, quanto alla completezza degli atti assunti ed all’idoneità degli stessi a sorreggere l’accusa disciplinare.

8.1. Dunque, l’eventuale difformità della delega rispetto alla previsione normativa produce la nullità della sanzione solo qualora l’interferenza di organi esterni all’UPD abbia dato luogo a decisiva, sostitutiva compartecipazione del soggetto estraneo all’adozione del provvedimento.

Nella specie, come prospetta il Ministero, tale evenienza non si è verificata. Nella nota di accompagnamento si leggeva: “(.) trasmetto verbale di audizione (.) in data 16 novembre 2015 e memoria difensiva (con relativi allegati) depositati in tale sede. Non rilevo la necessità di ulteriori accertamenti non apparendo utile l’acquisizione di altri elementi alla luce delle giustificazioni addotte

Il delegato con tale affermazione non svolgeva valutazioni decisorie sul contenuto degli atti istruttori, ma si limitava ad esprimere un’opinione personale che non impediva o escludeva che l’UPD, titolare del potere disciplinare, potesse disporre ulteriori atti istruttori, oltre che valutare quelli compiuti dal delegato.

8.2. Il mero carattere istruttorio e non valutativo dell’attività svolta dal delegato Presidente del Tribunale, quindi, rende irrilevanti, in ragione dei principi enunciati, l’esame delle ulteriori censure svolte dall’Amministrazione, poichè solo se la stessa avesse sostituito l’attività decisoria dell’UPD, poteva assumere rilievo la corretta declinazione delle relazioni funzionali oggetto dell’ulteriore ratio decidendi della sentenza (che afferma la non delegabilità, nella specie, dell’istruttoria al Presidente del Tribunale).

9. Il ricorso deve essere accolto e la sentenza deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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