Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33015 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. un., 20/12/2018, (ud. 20/11/2018, dep. 20/12/2018), n.33015

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Primo Presidente f.f. –

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente di sez. –

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente di sez. –

Dott. DI VIRGILIO Maria Rosa – Consigliere –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10874-2017 proposto da:

PARATI INVESTMENTS S.AR.L., società a responsabilità limitata, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato

ORLANDO SIVIERI, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ALBERTO ARRIGO GIANOLIO;

– ricorrente –

contro

AUTORITA’ DI BACINO LAGHI GARDA E IDRO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

APPIA NUOVA 96, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ROLFO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURO BALLERINI;

AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

REGIONE LOMBARDIA, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PORPORA 16, presso lo studio

dell’avvocato EMANUELA QUICI, rappresentata e difesa dall’avvocato

MARIA LUCIA TAMBORINO;

– controricorrenti –

e contro

R.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 342/2016 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 19/12/2016;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/11/2018 dal Consigliere ROBERTO GIOVANNI CONTI;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale

FINOCCHI GHERSI RENATO, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati Orlando Sivieri, Alberto Arrigo Gianolio, Paolo

Rolfo, Alfonso Peluso per l’Avvocatura Generale dello Stato ed

Emanuela Quici per delega dell’avvocato Maria Lucia Tamborino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La s.r.l. San Marco, proprietaria del complesso immobiliare denominato (OMISSIS) sito in Comune di (OMISSIS), convenne innanzi al Tribunale regionale delle acque pubbliche di Milano l’Agenzia del demanio, la Regione Lombardia ed il Consorzio dei comuni della sponda bresciana del lago di Garda e del lago d’Idro e chiese che fosse accertata la sua proprietà su una porzione di area sita a ridosso del lago di Garda, sostenendone l’estraneità rispetto al demanio lacuale.

2. Il Tribunale regionale adito, nel contraddittorio tra le parti convenute costituite e l’interveniente volontario R.A., quale cedente le quote della società attrice alla s.r.l. Parati, rigettò la domanda, ritenendo che sulla base della documentazione in atti doveva escludersi la natura privata delle aree, non risultando nemmeno necessario disporre la consulenza tecnica d’ufficio richiesta. Secondo il Tribunale le aree dì cui ai mappali (OMISSIS) erano state oggetto di richiesta di concessione da parte di B.G. nell’anno 1963, avente causa dell’originaria proprietaria, il quale aveva richiesto il rinnovo della concessione di spiaggia per l’area di cui ai mappali (OMISSIS) nell’anno 1965. Aggiunse che il B. aveva quindi venduto il compendio alla società attrice e si era in quel contesto impegnato alla voltura della concessione, non potendosi perciò disconoscere la natura demaniale dei terreni oggetto di concessione, a nulla rilevando che nell’atto di vendita fosse stata annotata l’espressione possesso contestato.

3. Aggiunse, ancora, il giudice di primo grado che lo spazio antistante la (OMISSIS) risultava occupato da un fitto canneto che impediva l’accesso e l’attracco alle imbarcazioni, sicchè tale assetto del territorio, costituito da un biotipo di alta valenza naturalistica, confermava la natura demaniale dell’area. Rappresentò, infine, che rientrava nel demanio lacuale l’alveo del lago, fino alla quota di metri 65,05 sul livello del mare, nonchè la spiaggia e le fasce di terreno che, in relazione alle caratteristiche del paesaggio, costituiscono un inscindibile contorno rivierasco da non sottrarre alla destinazione pubblica, comprendendo dunque quei terreni contigui lasciati scoperti dalle acque nel loro volume ordinario e destinati ad un uso per natura generale, indistinto e pubblico. Elementi, questi ultimi che consentivano di qualificare come demanio lacuale i terreni in contestazione.

4. La sentenza del Tribunale regionale venne confermata dal Tribunale superiore delle acque che, con la sentenza n. 342/2016, pubblicata il 19 dicembre 2016, rigettava l’impugnazione proposta dalla Parati Investments s.a.r.l., già San Marco s.r.l.

4.1 Il TSAP, dopo avere ricordato la giurisprudenza di queste Sezioni unite sulla determinazione del demanio lacuale, ha parimenti rammentato l’indirizzo giurisprudenziale che esclude la sdemanializzazione tacita dei beni del demanio idrico, occorrendo, per fare cessare la demanialità, atti e fatti idonei ad evidenziare inequivocabilmente la volontà della P.A. di sottrarre il bene demaniale alla sua destinazione, non spiegando alcun effetto la situazione di mera inerzia o tolleranza.

4.2. Sulla base di queste premesse il Tribunale superiore richiamò quanto affermato dal giudice di primo grado in ordine alla consistenza delle aree in contestazione, osservando che nè gli atti di provenienza relativi al compendio immobiliare, nè il riferimento alla dizione possesso contestato contenuta nell’atto di compravendita del 1987 nè, ancora, la presenza del canneto, erano in grado di confermare la natura privata delle aree in contestazione. Nè poteva avere rilievo la contestazione circa il fatto che l’area relativa al canneto coincidesse con una superficie privata diversa da quelle in contestazione, poichè il TRAP aveva già affrontato la questione, evidenziando che le aree ricadenti nella proprietà contestata andavano ad inserirsi ìn un contesto paesaggistico ed ambientale di particolare valore, costituendo indice ulteriore della demanialità delle medesime.

4.3. Aggiunse, ancora, il TSAP che nessun rilevo poteva avere la circostanza che le aree contestate si trovassero a una quota più elevata rispetto a quella dell’alveo del lago di Garda, posto a metri 65,05 sul livello del mare, poichè il giudice di primo grado aveva già riconosciuto, con affermazione non validamente contestata dall’appellante, la demanialità delle aree in relazione alla fissazione della quota altimetrica necessaria per limitare l’area demaniale, di per sè sufficiente ad includere in essa tutti i terreni spondali in essa ricompresi e non già ad escludere dal suo ambito le aree circostanti, che costituivano la soprastante fascia di terreno/spiaggia contigua al corpo idrico dell’invaso.

4.4. Era dunque stata la valutazione globale del quadro probatorio a consentire, secondo il TSAP, la valutazione in termini di demanialità delle aree, a prescindere dalla collocazione delle superfici al di sopra o al di sotto della quota delle piene ordinarie.

La s.a.r.l. Parati Investments ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 200affidato a due motivi, al quale hanno resistito con controricorso la Regione Lombardia e l’Agenzia del demanio, nonchè l’Autorità di Bacino Laghi di Garda e Idro. La ricorrente ha depositato memoria.

5. La causa è stata chiamata all’udienza del 20 novembre 2018 e posta in decisione.

6. Il Procuratore generale ha concluso per l’inammissibilità o in subordine il rigetto del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con la prima complessa censura la ricorrente, sotto la rubrica “Carenza assoluta di motivazione in ordine ad un punto decisivo per il giudizio”, rilevando che alla sentenza impugnata era ratione temporis applicabile il D.Lgs. n. 40 del 2006 e che, pertanto, poteva prospettarsi il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si duole del fatto che il TSAP avrebbe ritenuto la demanialità delle aree senza considerare che dagli atti di provenienza dell’immobile risultava inequivocabilmente che il B. era il proprietario delle stesse e che le aree erano sempre state di proprietà privata, tanto risultando dagli atti di compravendita che si erano succeduti e dalla relazione notarile del Notaio M. di Brescia. Atto, quest’ultimo, che il Tsap avrebbe omesso di esaminare, senza spiegare le ragioni che lo avevano condotto ad attribuire rilevanza assorbente alla richiesta di rilascio della concessione demaniale. Evidenzia, ancora, che la motivazione della sentenza impugnata sul punto era del tutto carente ed erronea, avendo il TSAP affermato che l’unico dato positivo e indiscusso era rappresentato dalla presentazione delle domande di concessione, senza invece considerare che l’area oggetto della concessione era pervenuta in proprietà al B. ed era sempre stata di proprietà privata a far data dal 1915.

2. La complessa censura è inammissibile.

2.1 Occorre premettere che nel giudizio di cassazione per il quale si applica ratione temporis l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella versione introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, conv. nella L. n. 134 del 2012 – qual è quello per cui è processo, risultando la sentenza del TSAP pubblicata in epoca successiva all’11.9.2012 (v. D.l. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3,) – non è più possibile dedurre il vizio di carenza di motivazione, residuando unicamente la censura con la quale si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

2.2. Ed invero, queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di precisare che il vizio di omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio nel quale è stato oggetto di discussione, in relazione a quanto previsto dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non consente il riesame di una motivazione insufficiente o illogica, a meno che essa risulti totalmente carente degli elementi minimi che consentono di comprendere il ragionamento logico seguito dal giudice di merito – Cass.S.U. n.8053/2014 -.

2.3. Pertanto non risultano più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al dì fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia – cfr. Cass. n. 23940/2017, Cass. n. 22598/2018 -.

2.4. Orbene, facendo applicazione dei superiori principi, va per un verso escluso che ricorra, nel caso di specie, il vizio di motivazione apparente – ove in tali termini possa interpretarsi la censura della ricorrente. Ed infatti, la sentenza del TSAP risulta pienamente il linea con i criteri ermeneutici sopra ricordati quanto all’esistenza di una motivazione ampiamente idonea a giustificare le ragioni della decisione, essendo sufficiente rinviare all’esposizione del contenuto di tale pronunzia riportata sinteticamente ai punti nn. 4.1., 4.2., 4.3. e 4.4. dell’esposizione in fatto.

2.5. Per altro verso, la censura è inammissibile allorchè prospetta il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Ed invero, nell’ipotesi di c.d. “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, (nel testo riformulato dal D.L. n. 83, art. 54, comma 3, cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse – Cass. n. 26674/2016 -.

2.6. Ora non può dubitarsi che al presente giudizio si applica l’art. 348 ter c.p.c.. In questa direzione depone il fatto che l’appello avverso la sentenza di primo grado del TRAP del 22 gennaio 2013 è stato proposto dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 83 del 2012, e che non può disconoscersi l’applicabilità della detta previsione rispetto alle sentenze rese dal Tribunale superiore delle acque pubbliche – per come ritenuto, in modo articolato, da Cass. S.U. n. 22430/2018 -.

2.7. Orbene, nel caso di specie emerge dalla stessa pronunzia gravata dal ricorso per Cassazione che le ragioni di fatto poste a base della sentenza di primo grado sono sovrapponibili a quelle ritenute dal TSAP, il quale ha fondato il rigetto della domanda attorea in ragione della ritenuta demanialità delle aree in contestazione desunta dalla medesima ricostruzione in fatto operata dal TRAP e, segnatamente, dall’esistenza di rapporti concessori richiesti dai proprietario del complesso immobiliare protrattisi nel tempo, nonchè dalla strumentalità delle aree stesse rispetto al demanio lacuale.

2.8. Tanto è sufficiente per escludere l’ammissibilità della censura.

2.9. In ogni caso, giova ricordare che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a seguito delle modifiche introdotte nel 2012 dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in . 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento “un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, poichè, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia”.

2.10. Ne consegue che, in tema di ricorso per cassazione, nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, “il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 19987 del 10/08/2017).

2.11. Orbene, nel caso di specie risulta dalla stessa esposizione del ricorso per cassazione che gli atti di compravendita richiamati dalla ricorrente furono presi in considerazioni dal TSAP, che non ritenne gli stessi rilevanti per desumerne la demanialità delle aree. Pertanto, anche sotto tale profilo la censura risulta inammissibile.

3. Passando all’esame del secondo motivo, con esso si prospetta l’assoluta carenza di motivazione in ordine ad un ulteriore punto decisivo per il giudizio, laddove il TSAP avrebbe ritenuto di non procedere all’accertamento delle caratteristiche intrinseche delle aree in relazione a quanto disposto dall’art. 943 c.c., tralasciando di compiere alcuna operazione ermeneutica con riguardo agli atti di proprietà, benchè dai medesimi risulterebbe la proprietà privata delle aree. La valutazione operata dal TSAP non potrebbe, quindi, ritenersi frutto di una ponderazione globale del quadro probatorio e si porrebbe, altresì, in violazione dell’art. 943 c.c., a tenore del quale l’alveo del lago si estenderebbe al terreno coperto dalle acque nelle piene ordinarie. Secondo la ricorrente, infatti, non potrebbe disconoscersi che le superfici in contestazione si troverebbero ad una quota di m. 66,60, risultante dalla relazione del Geom. P. presa in esame dal Prof. F. nella sua relazione del 19.1.2009. Nè la demanialità potrebbe desumersi dalla presenza del canneto, come avevano ritenuto il TRAP e il TSAP, questo ricadendo all’interno della proprietà. Circostanza non considerata dal Tribunale superiore, che avrebbe, invece, considerato il canneto di proprietà pubblica, desumendone sulla base di tale erroneo convincimento la proprietà demaniale delle aree retrostanti.

3.1. Anche tale censura è per più versi inammissibile.

3.2. Ed infatti, anche rispetto al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 valgono le considerazioni espresse con riguardo al primo motivo ed al rilievo dell’infondatezza della censura quanto al vizio di motivazione apparente ed all’inammissibilità della censura di violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c. – v. punti 2.3., 2.5. e 2.7.-.

3.3. Nè può disconoscersi che, anche con riguardo alla prima parte della censura, il TSAP ha pienamente esaminato gli atti privati di compravendita, ritenendoli non decisivi, dovendo perciò escludersi l’ammissibilità stessa della censura ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5.

3.4. Quanto alla prospettata violazione in diritto, la censura, in realtà attinge l’apprezzamento operato dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in ordine alle risultanze istruttorie e, specialmente, alla natura demaniale desunta dalla posizione strumentale e servente delle aree in contestazione rispetto al demanio lacuale costituito, nel caso di specie, dal Lago di Garda.

3.5. Le doglianze esposte dalla ricorrente, pertanto, non sono idonee a giustificare il vizio di violazione di legge che avrebbe dovuto essere, per converso, prospettato specificando quale regola di diritto esplicitamente enunciata – o anche soltanto implicitamente applicata – nella sentenza impugnata sarebbe risultata distonica rispetto alla disposizione della quale si denuncia la violazione e in cosa detto contrasto si sostanzierebbe (cfr. Cass. S.U. n. 22430/2018, cit., Cass. n. 24298/16, Cass. n. 5353/07).

4.Pertanto, il ricorso va rigettato in relazione ad entrambi i motivi.

5. Le spese seguono la soccombenza.

6. Deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente a rifondere ai controricorrenti, Regione Lombardia, Agenzia del demanio e Autorità di bacino Laghi di Garda e Idro le spese del giudizio di legittimità, che liquida per ciascuno in Euro 8.000,00, oltre spese prenotate a debito in favore dell’Agenzia del demanio ed oltre Euro 200,00 per esborsi in favore degli altri controricorrenti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 20 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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