Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3301 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/02/2020, (ud. 17/10/2019, dep. 11/02/2020), n.3301

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5445-2018 proposto da:

E.L. nella qualità di Procuratore speciale di L.E.,

L.N., L.H.M., L.A., L.D.,

L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA GIULIANA 70,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO MASSATANI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, in persona dei Procuratori pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 71, presso lo

studio dell’avvocato ANDREA DEL VECCHIO, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FRANCO TASSONI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7490/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 28/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ENZO

VINCENTI.

Fatto

RITENUTO

Che:

con ricorso affidato a due motivi, E.L., in qualità di procuratore speciale di L.E., L.N., L.H.M., L.A., L.D. e L.G., ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Roma, resa pubblica in data 28 novembre 2017, che (nella controversia di opposizione all’esecuzione della condanna al risarcimento del danno pronunciata, in favore dei Luca, dalla Corte di appello di Roma con la sentenza n. 2484/2012) ne respingeva il gravame avverso la decisione del Tribunale della medesima Città – il quale, a sua volta, avendo dichiarato l’inefficacia dei precetti notificati l’8/10/2012 (salvo l’importo di Euro 144.803,10) ed il 9/10/2013, condannava il convenuto al pagamento delle spese di lite pari ad Euro 27.803,10 – condannando, così, l’appellante al pagamento della somma pari ad Euro 18.334,00 per lite temeraria, oltre le spese di lite;

che la Corte d’appello di Roma, nel respingere il gravame e per quanto in questa sede ancora rileva, osservava: 1) che la sentenza n. 2484/2012 della Corte di appello di Roma aveva effetto sostitutivo e non aggiuntivo della sentenza di primo grado; 2) era corretta la determinazione delle spese di lite effettuata dal giudice di primo grado in quanto: a) lo scaglione di riferimento in relazione al valore della causa era quello da 1.000.000,00 a 2.000.000,00; b) doveva essere liquidata la fase di trattazione quale conseguenza diretta dell’assegnazione e della redazione di memorie ex art. 183 c.p.c.; c) non trovava applicazione il tariffario minimo, essendo avvenuta la riunione dei giudizi solo in fase di precisazione delle conclusioni; 3) la censura di mancata compensazione delle spese di lite per la “pretesa equivocità del dictum del titolo esecutivo ” era infondata, giacchè la “sentenza della Corte è del tutto esauriente ed intelligibile”; 4) sussistevano i presupposti della responsabilità per lite temeraria perchè l’appellante non aveva valutato l’evidente infondatezza dell’impugnativa;

che resiste con controricorso Generali Italia S.p.A.;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380- bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale parte controricorrente ha depositato memoria;

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione in forma semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

a) con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 116 c.p.c., ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, perchè la Corte capitolina, “con motivazione apparente, graficamente data, ma logicamente insussistente”, ha mancato di ridurre le spese di primo grado in quanto eccessivamente liquidate rispetto alla misura minima di cui al D.M. n. 55 del 2014, e non ha disposto la compensazione di dette spese processuali. E’, altresì, denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del principio di non contestazione, “posto che in nessun atto la difesa di Generali ha mai contestato… di avere corrisposto le somme di cui alla sentenza di primo grado, all’esito dell’inibitoria, così come ivi ridotte e di aver reso edotta la Corte territoriale di tale circostanza”.

a.1.) – Il motivo è inammissibile sotto tutti i profili.

Lo è anzitutto per ciò che concerne la censura di violazione del principio di non contestazione in quanto, in disparte la assoluta genericità e poca chiarezza della stessa, non investe la questione -unicamente oggetto del motivo di ricorso in esame – inerente alla liquidazione delle spese processuali di primo grado, confermata in appello.

Lo è (inammissibile) anche per gli ulteriori profili di censura.

Anzitutto, tutt’altro che incomprensibile e insanabilmente contraddittoria è la motivazione della sentenza impugnata (cfr. sintesi innanzi riportata), dalla cui lettura appare chiaro l’iter argomentativo dalla stessa seguito.

Inoltre, le singole censure sono inammissibili anche ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, in quanto: 1) non è censurabile in sede di legittimità una liquidazione compresa nei limiti dei criteri fissati dalla legge (v. Cass., n. 2028972015: “in tema di liquidazione delle spese processuali che la parte soccombente deve rimborsare a quella vittoriosa, la determinazione degli onorari di avvocati e degli onorari e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo e il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione nè può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità”) e, nella specie, la Corte territoriale ha coerentemente collocato la causa, contrariamente da quanto esposto da parte ricorrente nell’atto di citazione in appello, nello scaglione da 1.000.000,00 a 2.000.000,00 e pertanto ha ritenuto corretta la determinazione effettuata dal giudice di primo grado in quanto rientrante nei minimi e nei massimi della tariffa, anche volendo applicare lo scaglione inferiore come dedotto da parte ricorrente; 2) in relazione alla non doverosità dei compensi previsti dal D.M. n. 55 del 2014, per la fase istruttoria in assenza di escussione testi o di c.t.u., la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui: “in materia di spese di giustizia, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore per la fase istruttoria, rilevano non solo l’espletamento di prove orali e di c.t.u., ma anche le ulteriori attività difensive che il D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 5, lett. c), include in detta fase, tra cui pure le richieste di prova e le memorie illustrative o di precisazione o integrazione delle domande già proposte” (Cass., n. 4698/2019); 3) la censura volta ad evidenziare la mancata compensazione tra le parti delle spese processuali, oltre a risultare infondata in quanto dagli atti emerge non un parziale accoglimento dell’opposizione al precetto, ma un totale accoglimento, avendo la stessa Compagnia nel proprio atto di opposizione richiesto l’inefficacia dei precetti “salvo l’importo di Euro 144.803.84”, è inammissibile giacchè, “con riferimento al regolamento delle spese del giudizio il sindacato della Corte di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa. Deriva da quanto precede, pertanto, che esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nella ipotesi di soccombenza reciproca sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi.” (Cass., n. 8701/2015);

b) con il secondo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4, nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 96 c.p.c., per aver erroneamente la Corte territoriale, mediante una motivazione tautologica, condannato l’odierno ricorrente al pagamento in favore dell’Assicurazione delle spese per lite temeraria;

b.1.) – il motivo è inammissibile, giacchè propone doglianze generiche e che sono ben lungi dal veicolare errores in iudicando, palesandosi non congruenti a fronte di una motivazione della sentenza impugnata tutt’altro che “apparente”, con la quale sono declinate in modo chiaro le ragioni delle infondatezza della impugnazione con le argomentazioni che sostengono il rigetto del motivo di gravame sulla denunciata eccessività delle spese processuali liquidate in primo grado e sulla mancata compensazione di tali spese.

Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile e parte ricorrente condannata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente n. q., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della VI-3 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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