Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3301 del 05/02/2019

Cassazione civile sez. II, 05/02/2019, (ud. 13/02/2018, dep. 05/02/2019), n.3301

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20826-2016 proposto da:

G.A.M.G., F.S.S.,

elettivamente domiciliate in ROMA, V.LE GIUSEPPE MAZZINI 142, presso

lo studio dell’avvocato VINCENZO ALBERTO PENNISI, rappresentate e

difese dall’avvocato SERGIO ANTONIO MARIA CACOPARDO;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO ECONOMIA FINANZE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2986/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 09/07/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/02/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato Lorenzo ROMANO, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato CACOPARDO Sergio, difensore delle ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato TORTORA Fabio per l’Avvocatura dello Stato,

difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.S.S. e G.A.M.G. proponevano opposizione contro i decreti con i quali ciascuna di esse era stata condannata a pagare la sanzione amministrativa di Euro 10.950, per aver effettuato transazioni finanziarie per complessivi Euro 364.360,34 in contanti, senza il tramite degli intermediari abilitati, così violando il D.L. n. 143 del 1991, art. 1, comma 1 convertito nella L. n. 197 del 1991. Le opponenti anzitutto eccepivano la tardività della contestazione degli addebiti effettuata il 19 febbraio 2004 in relazione a un presunto illecito accertato il (OMISSIS) – e la decadenza dal potere di irrogare la sanzione; nel merito contestavano l’addebito per carenza dell’elemento soggettivo dell’illecito. Si costituiva il Ministero dell’economia e delle finanze osservando che la contestazione era tempestiva perchè l’amministrazione aveva avuto notizia dell’illecito il 15 dicembre 2003. Con sentenza n. 9499/2011 il Tribunale di Milano respingeva l’opposizione.

2. Le ricorrenti hanno instaurato giudizio di appello avverso la sentenza chiedendone l’integrale riforma; il Ministero dell’economia e delle finanze ha resistito al gravame chiedendo la conferma della sentenza impugnata. La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 2986/2015, ha respinto l’appello e confermato la sentenza del Tribunale di Milano.

3. F.S.S. e G.A.M.G. ricorrono per cassazione.

Il Ministero dell’economia e delle finanze resiste con controricorso.

La causa è stata discussa all’udienza del 13 febbraio 2018 ed è stata decisa all’esito della riconvocazione del Collegio avvenuta in data 9 luglio 2018.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è basato su un unico motivo che denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981. La Corte d’appello, nel confermare le sanzioni amministrative irrogate nei confronti delle odierne ricorrenti, avrebbe “palesemente errato, ricostruendo i termini del processo amministrativo in questione in maniera arbitraria, attribuendo ai medesimi fatti un valore diverso da quello riconosciuto loro dalle disposizioni normative in questione”: gli estremi della violazione andavano notificati entro 90 giorni dal 24 ottobre 2003, data dell’accertamento, ovvero entro il 22 gennaio 2004, mentre ciò è avvenuto solo dopo il 28 febbraio 2004.

Il motivo non può essere accolto. Il giudice d’appello ha ritenuto tempestiva la contestazione in quanto, rilevato che risulta pacificamente dagli atti di causa che il Ministero dell’economia aveva ricevuto notizia dell’illecito in data 15 dicembre 2003, allorchè era pervenuto il verbale di contestazione della Guardia di finanza, ha correttamente valutato che solo da tale momento la pubblica amministrazione aveva potuto avviare l’attività di accertamento dell’illecito, propedeutica alla successiva contestazione degli addebiti. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “in tema di sanzioni amministrative per omessa segnalazione di operazioni finanziarie sospette, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’illecito, il momento dal quale decorre il termine previsto dalla L. n. 689 del 1981, art. 14,comma 2, per la notifica degli estremi della violazione coincide, in via normale, ove non sia necessario compiere ulteriori attività istruttorie o valutative e non sia rilevato un immotivato ritardo nella fase precedente, con la data di ricezione del verbale della Guardia di finanza da parte del Ministero dell’economia e delle finanze” (così, da ultimo, Cass. 27096/2017).

2. I giudici di merito hanno applicato la disciplina dettata dal D.L. n. 143 del 1991, convertito con modificazioni dalla L. n. 197 del 1991, vigente all’epoca dei fatti ascritti alle ricorrenti, in particolare l’art. 1, comma 1 – che prescriveva l’obbligo di trasferimento del denaro mediante il tramite degli intermediari abilitati – e l’art. 5, comma 1, che prevedeva una sanzione amministrativa pecuniaria dall’1% al 40% dell’importo trasferito.

Dopo la notificazione del ricorso per cassazione la materia è stata innovata ad opera del D.Lgs. n. 90 del 2017. Il D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 69 oggi prevede, nel comma 1, che “nessuno può essere sanzionato per un fatto che alla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente titolo non costituisce più illecito; per le violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto, sanzionate in via amministrativa, si applica la legge vigente all’epoca della commessa violazione, se più favorevole”. La disposizione introduce così, nella specifica materia delle sanzioni volte alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, la retroattività della legge successiva più favorevole, in tal modo derogando al principio generale secondo cui tale retroattività, prevista per le sanzioni penali dall’art. 2 c.p., comma 3, non opera nella materia delle sanzioni amministrative.

Si pone la questione della applicazione di tale ius superveniens al caso di specie, questione in relazione alla quale non è necessario assegnare alle parti un termine ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 3, in quanto l’assegnazione del termine è necessaria unicamente nelle ipotesi in cui la Corte ritenga di dover decidere nel merito ai sensi dell’ultima parte del comma 2 cit. articolo (per tutte cfr. Cass. 8137/2014).

Precisato che, nel caso di specie il fatto contestato costituisce oggi illecito (cfr. il D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 49), occorre preliminarmente stabilire se lo ius superveniens si applica alle violazioni commesse prima della entrata in vigore del decreto anche quando tali violazioni abbiano già formato oggetto di un provvedimento sanzionatorio. La risposta è positiva:

– la lettera del D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 69 parla di “violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto” senza contenere alcun riferimento al requisito della mancata emanazione del provvedimento sanzionatorio;

– non può attribuirsi rilievo al principio della naturale irretroattività della legge fissato dall’articolo 11 preleggi, risultando tale principio espressamente derogato dalla previsione contenuta nell’art. 69;

– una interpretazione che limiti l’applicabilità dello ius superveniens alle sole violazioni non ancora sanzionate dall’amministrazione non trova d’altro canto supporto nel D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3 e D.P.R. n. 148 del 1988, art. 23-bis che indicano quale unico limite alla regola della retroattività della lex mitior l’intervenuta definitività del provvedimento sanzionatorio, definitività che presuppone l’esaurimento dell’eventuale fase di impugnazione giurisdizionale dello stesso;

– non è significativa al riguardo la clausola dettata dal D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 74 anch’esso introdotto dal D.Lgs. n. 90, secondo cui “dall’attuazione del presente decreto non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”, trattandosi non di maggiori oneri, ma di minori entrate prive del requisito della certezza, in quanto dipendenti da provvedimenti sub-iudice.

Ritenuta quindi l’applicabilità dello ius superveniens anche alle violazioni per le quali è già stata emessa un’ordinanza sanzionatoria, occorre stabilire se lo ius superveniens possa essere applicato da questa Corte anche nei giudizi nei quali la quantificazione della sanzione non sia stata specificamente impugnata in sede giurisdizionale ovvero l’impugnazione sia stata rigettata in primo grado con statuizione non appellata ovvero ancora sia stata rigettata in secondo grado con statuizione non gravata di ricorso per cassazione.

Il Collegio ritiene di rispondere positivamente:

– è vero che questa Corte ha affermato che nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che introduca una nuova disciplina del rapporto controverso può trovare applicazione alla duplice condizione che la sopravvenienza sia posteriore alla proposizione del ricorso per cassazione e la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni oggetto del ricorso (Cass. 10546/ 2016);

– in materia di sanzioni amministrative, per violazione di norme tributarie, questa Corte ha peraltro chiarito che “le più favorevoli norme sanzionatorie devono essere applicate anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e quindi pure in sede di legittimità, atteso che nella valutazione del legislatore la natura e lo scopo, squisitamente pubblicistici, del principio del favor rei devono prevalere sulle preclusioni derivanti dalle ordinarie regole in tema di impugnazione” (Cass. 8243/2008);

– l’affermazione non contrasta con i principi in materia di rapporto fra ius superveniens e cosa giudicata: la statuizione sulla misura della sanzione è infatti dipendente dalla statuizione sulla responsabilità del sanzionato, così che la caducazione del capo di sentenza che accerta la sussistenza dell’illecito e la responsabilità del sanzionato travolge il capo di sentenza che stabilisce la misura della sanzione (cfr. al riguardo la pronuncia delle sezioni unite di questa Corte n. 21691/2016, dove si è precisato che l’impugnazione della parte principale della sentenza comporta anche l’effetto di impedire il passaggio in giudicato della parte dipendente della stessa sentenza, fino a quando la decisione sull’impugnazione rimanga sub iudice).

Affermato il potere del Collegio di applicare, d’ufficio, la legge oggi vigente, se più favorevole rispetto a quella applicata dai giudici di merito, si deve procedere a un giudizio comparativo volto a stabilire quale sia il trattamento sanzionatorio più favorevole tra quello previsto dalla legge del momento della commissione della violazione e quello invece previsto all’esito delle modifiche introdotte nel 2017. A fronte della previsione normativa che disponeva una sanzione amministrativa pecuniaria dall’1% al 40% dell’importo trasferito, la sanzione pecuniaria concretamente inflitta alle ricorrenti è stata pari ad Euro 21.900. L’attuale D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 63 prevede al comma 1 una sanzione da 3.000 a 50.000 Euro e, al comma 6, dispone che, per gli importi superiori a Euro 250.000, la sanzione è quintuplicata nel minimo e nel massimo edittale, così pervenendo a un minimo edittale di Euro 15.000 e a un massimo edittale di Euro 250.000. Pertanto, nel caso di specie il minimo e il massimo edittali sono più alti secondo la disciplina attualmente vigente (rispettivamente Euro 15.000 e 250.000 a fronte di Euro 3.643 e 145.744,136). Ai fini della comparazione fra i trattamenti sanzionatori, finalizzata a stabilire quale dei due debba ritenersi più favorevole, non è tuttavia sufficiente limitarsi a considerare il minimo e il massimo edittale, in quanto la comparazione deve “fondarsi sull’individuazione del regime complessivamente più favorevole per la persona, avuto riguardo a tutte le caratteristiche del caso specifico” (Corte cost. 68/2017), così che è necessario considerare anche il vigente disposto del D.Lgs. n. 231 del 2007, secondo cui “nell’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie e delle sanzioni accessorie, previste nel presente titolo – il quinto -, il Ministero dell’economia e delle finanze e le autorità di vigilanza di settore, per i profili di rispettiva competenza, considerano ogni circostanza rilevante e, in particolare, tenuto conto del fatto che il destinatario della sanzione sia una persona fisica o giuridica: a) la gravità e durata della violazione; b) il grado di responsabilità della persona fisica o giuridica; c) la capacità finanziaria della persona fisica o giuridica responsabile; d) l’entità del vantaggio ottenuto o delle perdite evitate per effetto della violazione, nella misura in cui siano determinabili; e) l’entità del pregiudizio cagionato a terzi per effetto della violazione, nella misura in cui sia determinabile; f) il livello di cooperazione con le autorità di cui all’art. 21, comma 2, lettera a prestato della persona fisica o giuridica responsabile; g) l’adozione di adeguate procedure di valutazione e mitigazione del rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, commisurate alla natura dell’attività svolta e alle dimensioni dei soggetti obbligati; h) le precedenti violazioni delle disposizioni di cui al presente decreto”.

Ai fini della individuazione del trattamento sanzionatorio più favorevole risulta quindi necessario un apprezzamento di fatto, che non può essere compiuto se non in sede di merito, delle circostanze di commissione dell’illecito, onde stabilire se, per la violazione concretamente commessa dalle ricorrenti, risulti più favorevole la sanzione irrogabile secondo la disciplina vigente all’epoca di commissione dell’illecito o quella irrogabile secondo la disciplina introdotta nel 2017, comprensiva dei criteri di graduazione della sanzione sopra menzionati.

3. Il rilievo della sopravvenienza di un regime sanzionatorio che in concreto può risultare più favorevole impone pertanto la cassazione della sentenza gravata e il rinvio alla Corte d’appello perchè valuti se, in relazione all’illecito commesso dalle ricorrenti, debba ritenersi più favorevole il regime sanzionatorio di cui al D.L. n. 143 del 1991 o quello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007, come modificato dal D.Lgs. n. 90 del 2017, e, in questa seconda ipotesi, perchè ridetermini il trattamento sanzionatorio alla stregua della nuova normativa.

4. La sopravvenienza di una nuova normativa comporta la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte, provvedendo sul ricorso, rigetta l’unico motivo, cassa la sentenza impugnata nella parte concernente la misura della sanzione irrogata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Milano perchè valuti se, in relazione all’illecito commesso dalle ricorrenti, debba ritenersi in concreto più favorevole il regime sanzionatorio di cui al D.L. n. 143 del 1991 o quello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007, come modificato dal D.Lgs. n. 90 del 2007, in questa seconda ipotesi, ridetermini il trattamento sanzionatorio alla stregua della normativa sopravvenuta; compensa le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione seconda Civile, all’esito della riconvocazione, il 9 luglio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2019

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