Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33006 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 13/12/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 13/12/2019), n.33006

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21669-2018 proposto da:

P.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO DEI

COLLI ALBANI 14, presso lo studio dell’avvocato NATALE PERRI, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente-

contro

S.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SILVIO PELLICO

2, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA CRIMI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE CRIMI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1536/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO

LUCIA.

Fatto

RILEVATO

CHE:

La Corte d’appello di Roma confermava la decisione del giudice di primo grado che aveva rigettato la domanda proposta da P.A.M. nei confronti di S.G., volta al riconoscimento di competenze economiche maturate nel corso del rapporto di lavoro subordinato domestico intercorso tra le parti dal 28/12/1989 al 31/3/2012;

il Tribunale, ritenuta accertata la natura subordinata del rapporto, rilevava che la domanda non meritava accoglimento perchè dall’istruttoria non era emerso l’espletamento di attività lavorativa per un periodo superiore a quattro ore al giorno, nè lo svolgimento di mansioni inquadrabili nel livello B del CCNL, con conseguente insussistenza delle chieste differenze retributive;

avverso la sentenza propone ricorso per cassazione P.A.M. sulla base di due motivi;

S.G. resiste con controricorso;

la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, errata e/o omessa valutazione dei mezzi di prova, violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 345 c.p.c., comma 3, lamentando la mancata valutazione della documentazione prodotta in appello, prova nuova indispensabile idonea a eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale contenuta nella pronuncia di secondo grado senza lasciare margini di dubbio e rilevando, inoltre, che il lavoro svolto non poteva che essere qualificato, per le sue caratteristiche, come subordinato, instaurato non per semplice affetto, ma per la remunerazione;

con il secondo motivo deduce errata interpretazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, poichè la Corte territoriale avrebbe errato nel rigettare il motivo d’appello vertente sull’insufficienza della motivazione, ritenendo la motivazione della sentenza di primo grado idonea, anche se “concisa”;

entrambi i motivi sono infondati;

in relazione al primo motivo, va rilevato che la Corte d’appello, concludendo nel senso della inammissibilità della produzione documentale per mancanza dell’indispensabilità della medesima ai fini della decisione, ha esaminato i documenti prodotti in appello al fine di vagliarne la decisività: la censura, pertanto, riproponendo la rilevanza di tale documentazione già sottoposta al vaglio del giudice del merito, finisce con il proporre, sub specie violazione di legge, una rivalutazione del materiale probatorio su cui si è fondata la decisione (Cass. n. 8758 del 04/04/2017), mentre ogni rilievo attinente alla subordinazione non risulta pertinente, poichè la stessa è stata riconosciuta dai giudici del merito, mentre controversa è la spettanza di maggiori competenze economiche;

il secondo motivo è infondato, poichè correttamente la Corte d’appello ha escluso la radicale mancanza di motivazione della sentenza di primo grado, mediante decisione conforme ai principi espressi da questa Corte di legittimità (Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016: “la mancanza della motivazione (con conseguente nullità della pronuncia per difetto di un requisito di forma indispensabile) si verifica nei casi di radicale carenza di essa, ovvero del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi” (cosiddetta motivazione apparente), o fra di loro logicamente inconciliabili, o comunque perplesse od obiettivamente incomprensibili, e sempre che i relativi vizi emergano dal provvedimento in sè”;

in base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato, con liquidazione delle spese secondo soccombenza;

ricorrono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi Euro 2.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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