Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33005 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 20/12/2018, (ud. 29/11/2018, dep. 20/12/2018), n.33005

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n.20075/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

G.S., rappresentato e difeso dagli avv.ti Raffaello Lupi,

Claudio Lucisano e Livia Salvini, presso cui elettivamente domicilia

in Roma al viale Giuseppe Mazzini n.11;

– controricorrente –

avverso la sentenza n.51/06/12 della Commissione Tributaria Regionale

della Lombardia, emessa il 26/1/2012, depositata il 9/2/2012 e non

notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29 novembre

2018 dal Consigliere Dott. Giudicepietro Andreina.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. l’Agenzia delle Entrate ricorre con un unico motivo contro G.S. per la cassazione della sentenza n. 51/06/12 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, emessa il 26/1/2012, depositata il 9/2/2012 e non notificata, che, in controversia relativa all’impugnativa dell’avviso di accertamento, con cui l’Amministrazione accertava un maggior reddito da lavoro dipendente e redditi da capitale non dichiarati per l’anno di imposta 2004, nonchè dell’atto di contestazione delle sanzioni conseguenti, ha rigettato l’appello dell’Ufficio, confermando la sentenza della C.T.P. di Milano, che aveva accolto il ricorso del contribuente;

2. con la sentenza impugnata, la C.T.R. della Lombardia ha affermato che la somma risultante dall’estratto conto bancario relativo al mese di giugno 2004 (“estero – bonifico in entrata” per Euro 2.053.000,00) doveva ritenersi ricompresa nel maggiore importo risultante dal CUD 2005 nel quadro “indennità e somme soggette a tassazione separata” e versata dal datore di lavoro al G. quale incentivo all’esodo;

per quanto riguarda gli ulteriori importi, la C.T.R. ha ritenuto che l’Ufficio non avesse dimostrato che gli stessi fossero detenuti all’estero già da alcuni anni, mentre il contribuente aveva provato, con idonea documentazione, di averli regolarmente dichiarati come proventi maturati in Italia ed incassati all’estero, in parte (Euro 49.969,00) indicati nel mod. RW ed in parte assoggettati a tassazione ordinaria;

3. a seguito del ricorso, il contribuente resiste con controricorso;

4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 29 novembre 2018, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;

5. le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. con l’unico motivo, la ricorrente denunzia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 2697 c.c.anche in relazione al D.L. n. 167 del 1990, art. 4, conv. con mod. dalla L. n. 227 del 1990;

secondo la ricorrente, la C.T.R. avrebbe errato nella distribuzione dell’onere probatorio, affermando che l’Amministrazione avrebbe dovuto dimostrare la detenzione all’estero delle somme non dichiarate, mentre invece sarebbe stato il contribuente a dover fornire la prova della corrispondenza delle somme acquisite all’estero con quelle dichiarate, mediante la produzione di idonea documentazione, in grado di dimostrare il titolo giustificativo dei pagamenti e l’esatto ammontare degli stessi;

1.2. il motivo è inammissibile;

1.3. invero, la ricorrente deduce che l’avviso di accertamento era stato adottato dall’agenzia delle Entrate sul presupposto dell’esistenza di redditi non dichiarati da parte del contribuente, provenienti dall’estero;

nel caso specifico, l’atto impositivo traeva origine da un controllo effettuato dall’Agenzia delle dogane, all’esito del quale era emerso che il contribuente aveva disponibilità valutaria all’estero, confermata da successive indagini bancarie;

la C.T.R. della Lombardia ha ritenuto che l’accertamento dell’Amministrazione finanziaria fosse infondato;

in particolare, il giudice di appello rilevava che la somma, risultante dall’estratto conto bancario relativo al mese di giugno 2004 (“estero bonifico in entrata” per Euro 2.053.000,00), risultava dal cedolino paga dello stesso mese ed era stata versata dal datore di lavoro quale incentivo all’esodo sulla base dell’Accordo sindacale del 17/6/2004;

doveva, quindi, intendersi come ricompresa nel maggiore importo di Euro 2.592.239,96 risultante dal CUD 2005 nel quadro “indennità e somme soggette a tassazione separata”;

inoltre, per gli ulteriori importi, il giudice di appello ha ritenuto che l’Ufficio non avesse dimostrato che gli stessi fossero detenuti all’estero già da alcuni anni, mentre il contribuente aveva provato, con idonea documentazione, di averli regolarmente dichiarati come proventi corrisposti dalla Dun & Bradstreet, in parte quale compenso per la nomina di Presidente della Dun & Bradstreet svizzera, e per la maggior parte sulla base di un programma di stock option;

con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia ha contestato la violazione delle norme sulla ripartizione dell’onere probatorio tra Amministrazione e contribuente, poichè la C.T.R. avrebbe ritenuto che spettava all’Agenzia delle Entrate dimostrare la detenzione all’estero di capitali e la percezione di redditi da lavoro dipendente non dichiarati, mentre, a fronte delle contestazioni dell’Amministrazione Finanziaria, sarebbe stato onere del contribuente dimostrare di aver regolarmente dichiarato tutti i redditi da lavoro dipendente e di capitale percepiti all’estero;

in realtà, il giudice di appello, sebbene affermi che l’Amministrazione non avesse fornito la prova della detenzione all’estero di capitali non dichiarati, esamina comunque la prova fornita dal contribuente, ritenendola idonea a dimostrare la provenienza delle somme, la loro regolare dichiarazione e sottoposizione a tassazione in Italia;

la motivazione sul punto non risulta impugnata dall’Agenzia delle Entrate sotto il profilo del vizio motivazionale ed è idonea a sorreggere la decisione adottata dalla C.T.R. di rigetto dell’appello dell’Ufficio, sul presupposto che il contribuente avesse dimostrato di aver regolarmente dichiarato tutti gli importi oggetto di contestazione;

da ciò deriva l’irrilevanza della documentazione depositata dal contribuente con le memorie, che comunque doveva ritenersi inammissibile, riguardando nel merito il thema disputandum;

in conclusione, il ricorso, che censura la decisione sotto il profilo della violazione di legge, va dichiarato inammissibile;

non si ravvisa, infatti, la violazione della norma sulla ripartizione dell’onere probatorio (art. 2697 c.c.), nè della presunzione di cui al D.L. n. 167 del 1990, art. 4, conv., con modif., in L. n. 227 del 1990 (applicabile “ratione temporis”), perchè il giudice di appello ha ritenuto che il contribuente avesse fornito la prova contraria di aver regolarmente dichiarato gli importi contestati;

1.4. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza di parte ricorrente e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre il 15% per spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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