Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33000 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 13/12/2019, (ud. 12/09/2019, dep. 13/12/2019), n.33000

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7115-2018 proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA

GIULIANA 83/A, presso lo studio dell’avvocato WLADIMIRA ZIPPARRO,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

Contro

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO LUCIO

APULEIO 11, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO STRILLACCI, che

lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7569/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/02/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SCODITTI

ENRICO.

Fatto

RILEVATO

che:

T.M. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Roma S.A. chiedendo, previa determinazione dell’equo canone ai sensi della L. n. 392 del 1978, la condanna alla restituzione delle somme percepite in eccesso nella misura di Euro 43.697,36. Il convenuto propose domanda riconvenzionale di condanna al pagamento dell’indennità di occupazione per il periodo 28 febbraio 2003 – 22 ottobre 2003 nella misura di Euro 7.436,98, della differenza fra quanto corrisposto ed il canone pattuito e del risarcimento del danno. Il Tribunale adito accolse parzialmente la domanda, condannando il convenuto al pagamento della somma di Euro 17.743,76 oltre accessori, e rigettò quella proposta in via riconvenzionale. Proposto appello dal S., la Corte d’appello di Roma dichiarò l’improcedibilità dell’appello. Su ricorso sempre del S., la Corte di Cassazione cassò la sentenza impugnata, rinviando alla corte territoriale. Riassunto il giudizio, con sentenza di data 23 febbraio 2017 la Corte d’appello di Roma rigettò l’appello.

Osservò la corte territoriale, per quanto qui rileva, che in riferimento alla sublocazione ed ai danni lamentati la prova richiesta era inammissibile in quanto l’articolazione dei capitoli di prova testimoniale andava ad interessare gran parte dell’atto introduttivo e non consentiva, stante l’estensione del testo, la sua genericità ed indeterminatezza, di individuare specificatamente i capitoli di prova, nè poteva il giudice estrapolare i detti capitoli contrastandovi il principio di disponibilità della prova. Aggiunse, con riferimento alla domanda di condanna al pagamento dell’indennità di occupazione per il periodo 28 febbraio 2003 – 22 ottobre 2003, che nel calcolo effettuato dal consulente tecnico per la quantificazione del canone equo e la determinazione dell’importo dare-avere tra locatore e conduttore era stato computato anche il periodo indicato. Osservò inoltre che, riguardo ai danni lamentati, oltre all’assoluta genericità della domanda nel verbale di rilascio dell’immobile l’appellante nulla aveva rilevato circa la presenza di danni all’appartamento.

Ha proposto ricorso per cassazione S.A. sulla base di due motivi e resiste con controricorso la parte intimata. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi d’inammissibilità del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. E’ stata presentata memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 244 e 421 c.p.c., nonchè degli artt. 24 e 111 Cost., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva il ricorrente che il giudice di appello non ha esaminato compiutamente l’articolazione delle richieste istruttorie e che, potendo il giudice in base all’art. 421 c.p.c. disporre d’ufficio l’ammissione di ogni mezzo di prova, la corte territoriale avrebbe dovuto pronunciare, in particolare per quanto riguarda la sublocazione ed i danni lamentati, sulla base del materiale probatorio acquisito, ovvero acquisendolo sulla base di una valutazione globale degli elementi probatori, dovendosi contemperare il principio dispositivo con l’esigenza di ricerca effettiva della verità materiale.

Il motivo è inammissibile. Con riferimento alla domanda di risarcimento dei danni la censura è priva di decisività in quanto non incide sulla statuizione di genericità della domanda, da intendersi come difetto di allegazione che precede il thema probandum. Il richiamo all’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio è dunque inidoneo ad intaccare la ratio decidendi evidenziata.

Quanto alla questione della sublocazione, va premesso che stante l’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, il giudice, anche in grado di appello, ex art. 437 c.p.c., ove reputi insufficienti le prove già acquisite e le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, può in via eccezionale ammettere, anche d’ufficio, le prove indispensabili per la dimostrazione o la negazione di fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati o contestati e sussistano altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e già acquisiti, meritevoli di approfondimento, ovvero sempre che sussistano significative “piste probatorie” emergenti dai mezzi istruttori, intese come complessivo materiale probatorio, anche documentale, correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado (Cass. 28 marzo 2018, n. 7694; 5 novembre 2018, n. 28134; 15 maggio 2018, n. 11845).

La denuncia di violazione del potere-dovere relativo all’assunzione di prove non è però accompagnata nel motivo di ricorso dalla preliminare indicazione dell’assolvimento dell’onere di allegazione e dell’esistenza delle “piste probatorie” di cui sopra. In mancanza di tale indispensabile indicazione la censura difetta di specificità e si traduce in una generica denuncia di mancato esercizio dei poteri in discorso, inidonea a conseguire lo scopo della critica della sentenza.

Peraltro in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il ricorrente non ha specificatamente indicato quale sia stato il tenore delle deduzioni istruttorie.

Con il secondo motivo si denuncia violazione degli artt. 193,194 e 195 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva il ricorrente, con riferimento alla domanda di condanna al pagamento dell’indennità di occupazione per il periodo 28 febbraio 2003 – 22 ottobre 2003, che erroneamente è stato computato, come se fosse stato pagato, un periodo per il quale il locatore al contrario aveva lamentato di non essere stato pagato e che in particolare alcun canone era stato corrisposto dal febbraio all’ottobre 2003, data di effettivo rilascio.

Il motivo è inammissibile. La censura attiene al mero profilo del giudizio di fatto, non sindacabile nella presente sede di legittimità, in quanto mira a contrapporre alla valutazione del giudice di merito una diversa ricostruzione della vicenda fattuale. Aggiungasi che, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non risulta specificatamente indicato il contenuto rilevante della CTU.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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