Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3300 del 05/02/2019

Cassazione civile sez. II, 05/02/2019, (ud. 12/02/2018, dep. 05/02/2019), n.3300

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

Dott. CORTESI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6446-2013 proposto da:

F.G., F.A., F.F.,

FO.AN., elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 121, presso

lo studio dell’avvocato SALVATORE VETERE, che li rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

contro

P.V.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 619/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 23/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/02/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CORRA Erminia, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato VETERE Salvatore, difensore dei ricorrenti, che si

riporta agli atti depositati.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. F.R. aveva proposto domanda di denunzia di nuova opera nei confronti di P.V., lamentando la costruzione di opere edilizie su parti comuni di un edificio, pericolose per la stabilità della propria abitazione sita nel medesimo edificio; il ricorso è stato accolto in contumacia di P.. Nel giudizio di merito si è avuta la costituzione di P., che ha tra l’altro contestato la legittimazione ad agire di F. per non avere questi dimostrato la titolarità del preteso diritto di proprietà sull’immobile; il Tribunale, premesso che legittimati a proporre l’azione di denunzia di danno temuto sono unicamente il proprietario, il titolare di altro diritto di godimento e il possessore del bene sul quale grava il pericolo di danno, ha osservato che F. aveva intrapreso l’azione sì qualificandosi proprietario e possessore, ma senza fornire prove al riguardo; ha così rigettato la domanda e, conseguentemente, revocato l’ordinanza cautelare.

2. La sentenza è stata impugnata dagli eredi di F.R.. La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza 23 maggio 2012 n. 619, ha dichiarato inammissibile l’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c.: gli appellanti hanno censurato la sentenza impugnata, che ha ritenuto F. privo di legittimazione attiva, formulando conclusioni unicamente volte alla rimessione della causa al primo giudice.

3. Ricorrono in cassazione G., An., F., A., F.R. (figli di F.R. e di A.M.A.A., coniuge superstite deceduta nelle more del giudizio di secondo grado).

L’intimato P.V. non ha presentato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I “motivi” del ricorso consistono in un’unica doglianza che lamenta “violazione e/o falsa applicazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 342 e 112 c.p.c.; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”: la Corte d’appello avrebbe dichiarato l’inammissibilità dell’appello sebbene non ricorresse affatto, nel caso di specie, l’ipotesi che legittima tale declaratoria, omettendo contestualmente di pronunciarsi sul merito dell’appello.

Il motivo – inammissibile laddove (v. pp. 9 e 13 del ricorso) denunzia l’erroneo esame dei motivi di appello sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione senza fare alcun riferimento alla nullità della sentenza (cfr. al riguardo Cass., sez. un., 17931/2013) – è comunque infondato.

Dall’esame dell’atto d’appello emerge che i ricorrenti, come ha affermato la Corte d’appello, si sono limitati a censurare la sentenza di primo grado laddove ha negato la legittimazione ad agire del proprio dante causa e a chiedere alla Corte d’appello (cfr. le conclusioni a p. 5 dell’atto) di “annullare e comunque riformare l’impugnata sentenza” e di “rimettere il processo davanti al primo giudice per la decisione di merito capziosamente omessa dal primo giudice”, senza formulare alcun rilievo circa il merito della causa.

Il giudice d’appello ha quindi correttamente richiamato l’orientamento di questa Corte secondo cui l’impugnazione, con la quale l’appellante si limiti a dedurre vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole, è ammissibile soltanto ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c. (così Cass. 2053/2010 richiamata dalla sentenza impugnata). Nel caso in esame, non essendo il vizio invocato riconducibile a una delle ipotesi di rimessione della causa al primo giudice ed essendosi i ricorrenti limitati a far valere un vizio di rito, l’impugnazione era, come ha dichiarato il giudice d’appello, inammissibile. (V. altresì sez. 1 n. 6051/2007 e 27296/2005).

2. Il ricorso va pertanto rigettato.

Nessuna statuizione viene adottata sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2019

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