Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33 del 03/01/2017

Cassazione civile, sez. I, 03/01/2017, (ud. 07/10/2016, dep.03/01/2017),  n. 33

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2891-2013 proposto da:

MA.RI.BA. S.R.L. (c.f. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

D’ITALIA 19, presso l’avvocato BARBARA SANTESE, rappresentata e

difesa dagli avvocati STEFANO ANTONIO MARCHESI, LUCA CICCARELLI,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

LANCOME PARFUMS ET BEAUTE’ & C.IE S.N.C., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DELLE QUATTRO FONTANE 15, presso l’avvocato MASSIMO STERPI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAOLA GELATO, SIMONA

RICCIOTTI, giusta procura speciale per Notaio S.A. di

PARIGI del 29.1.2013;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2015/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 07/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/10/2016 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato LUCA CICCARELLI che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso e cassazione con rinvio;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato CLAUDIA SCAPICCHIO, con

delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

RENZIS LUISA che ha concluso per l’inammissibilità o, in subordine,

per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Milano, in parziale accoglimento delle domande proposte da Lancome Parfums et Beautè & C.ie s.n.c. nei confronti di Maribà s.r.l., dichiarò la nullità del marchio “L’Absolu” registrato nel 2008 dalla convenuta per prodotti appartenenti alla classe 3, accertò la contraffazione da parte della stessa dei marchi Lancome incentrati sul termine “absolu” e la condannò a risarcire i danni subiti dall’attrice a seguito dell’illecito, liquidati in Euro 32.663,45 oltre accessori.

L’appello proposto dalla soccombente contro la decisione è stato respinto dalla Corte d’appello di Milano.

La corte del merito – premessa l’inammissibilità della prova orale dedotta da Maribà per dimostrare il preuso del marchio ed il suo utilizzo solo per prodotti di profumeria – ha condiviso l’opinione del primo giudice, secondo cui il marchio complesso registrato dall’appellante per la classe profumi imitava quelli anteriormente registrati da Lancome per la classe cosmetici, in quanto era caratterizzato dai medesimi segni distintivi (il termine “absolu”, in combinazione con una rosa stilizzata – inclinata a destra, di dimensioni ristrette e con due foglie sul gambo – assai somigliante a quella che contraddistingueva il marchio Rouge Absolu dell’attrice/appellata), pur se diversamente posizionati, e apparteneva al medesimo settore merceologico, sicchè era con questi ultimi sicuramente confondibile. Il giudice a quo ha poi respinto il motivo d’appello con il quale Maribà aveva lamentato il rigetto dell’eccezione, da essa svolta in via riconvenzionale, di nullità dei marchi registrati da Lancome per difetto dei caratteri della originalità e della forza distintiva, rilevando: che la parola “absolu” non era descrittiva dei prodotti cosmetici commercializzati dalla casa francese, ma, evocando sensazioni di libertà, di esclusività e di illimitatezza, ne sottolineava, piuttosto, l’elevata qualità e l’efficacia ed aveva pertanto indubbia capacità distintiva; che non v’era comunanza del termine “absolu” nel settore merceologico in cui entrambe le parti operavano, atteso che altre case di bellezza lo utilizzavano quale aggettivo, in abbinamento al sostantivo che identificava il singolo prodotto, e perciò in funzione meramente descrittiva dello stesso; che la rosa stilizzata, seppur talvolta presente anche nei marchi di altri produttori del comparto, era stata utilizzata per oltre un decennio unitamente al termine “absolu” (peraltro di per se stesso costituente marchio tutelabile) quale segno distintivo di Lancome, ed era perciò sicuramente diventata un marchio riferibile, nel settore, proprio alla predetta azienda. La corte territoriale ha infine ritenuto corretta, siccome rispondente ai criteri dettati dagli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c., la liquidazione del danno operata dal primo giudice.

La sentenza, pubblicata il 7.6.012, è stata impugnata da Maribà con ricorso per cassazione affidato a sette motivi ed illustrato da memoria, cui Lancome s.n.c. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo, che denuncia violazione del D.Lgs. n. 30 del 2005, art. 12, comma 1, lett. a), Maribà assume, in primo luogo, che il giudice a quo ha trascurato il carattere di uso comune assunto dalla parola e dal segno grafico che formano il marchio Lancome, che sarebbe dimostrato dai documenti da essa allegati al giudizio (pubblicità di creme e trattamenti di bellezza definiti absolu o absolue e di profumi contraddistinti dal segno floreale della rosa, prodotti da altre aziende leader nel mercato). Sostiene, inoltre, che il segno grafico che compone il marchio da essa registrato non è una rosa, ma una girandola floreale. Osserva, ancora, che la sentenza è affetta da un vizio di contraddittorietà della motivazione, in quanto la corte del merito, nel respingere l’appello in base al duplice rilievo che la parola absolu non costituisce denominazione generica di prodotti cosmetici, ma designa un’idea di completezza, e che l’uso del termine suscita sempre le idee di libertà, esclusività, illimitatezza, ha per ciò stesso riconosciuto che la parola è abbinabile a qualsiasi prodotto, conferendole un’accezione talmente ampia e generale da escludere che Lancome potesse registrarla come marchio ed impedire a terzi di farne uso a propria volta. A dire della ricorrente, infine, il marchio L’Absolu da essa registrato è riferito al sostantivo maschile singolare, che connota un concetto generalissimo e metafisico, e non sarebbe confondibile col marchio Absolu di Lancome, che ha valenza meramente aggettivale, è usato al femminile, è calibrato su specifici prodotti ed è percepito dal pubblico in relazione ad essi secondo le modalità di un uso mirato e particolare.

2) Col secondo motivo, che denuncia ulteriore violazione dell’art. 12, comma 1, lett. b., la ricorrente contesta che i profumi da essa prodotti ed i cosmetici commercializzati da Lancome potessero ritenersi affini, e perciò confondibili, per il solo fatto di appartenere al medesimo settore merceologico.

3) Con il terzo motivo Maribà ribadisce che il marchio Absolu di Lancome è privo del carattere della novità.

4) Con il quarto motivo la ricorrente denuncia il vizio di motivazione della sentenza in ordine alla valutazione dell’affinità dei prodotti;

5) Con il quinto motivo lamenta, sempre sotto il profilo del vizio di motivazione, che il giudice d’appello abbia ignorato la circostanza dell’utilizzo dell’aggettivo absolu da parte di altre prestigiose case produttrici di cosmetici per il solo fatto che essa non era legittimata a far valere eventuali diritti di soggetti terzi.

6) Con il sesto motivo, che denuncia violazione dell’art. 2751 c.c., oltre che vizio di motivazione, la ricorrente contesta il giudizio di inammissibilità della prova orale articolata.

7) Con il settimo denuncia il vizio di motivazione del capo della sentenza che ha ritenuto corretta la liquidazione del danno emergente operata dal primo giudice, in via equitativa e tenuto conto della royalty media richiesta da Lancome per concedere in licenza un prodotto, nonostante il calcolo sia stato eseguito sull’intero suo fatturato annuo, anzichè sul solo fatturato derivante dalla commercializzazione dei profumi recanti il marchio contraffatto.

8) Il primo, il terzo ed il quinto motivo, che sono fra loro strettamente connessi e possono essere congiuntamente esaminati, non meritano accoglimento.

8.1) Va in primo luogo rilevato che la genericità del termine absolu non ne precludeva la registrabilità come marchio nel comparto dei prodotti di bellezza.

Come correttamente osservato dalla corte del merito, il termine a sè stante (così come compare sulle confezioni Lancome, più spesso declinato nel femminile absolue) non è infatti indicativo di caratteristiche proprie dei cosmetici, inerenti loro qualità intrinseche o connesse al loro utilizzo, ma ha un’accezione astratta, che rinvia alle idee di grandezza e di illimitatezza e che vale a sottolineare l’efficacia e l’elevato ambito di gamma dei prodotti di bellezza cui è specificamente riferito.

8.2) Il rigetto dell’eccezione di nullità dei marchi registrati da Lancome è sorretto poi dall’accertamento del difetto di prova dell’uso comune del termine in questione nel settore merceologico dei cosmetici: contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, il giudice d’appello – pur rimarcando in via incidentale che Maribà era priva di legittimazione a richiedere la tutela di prodotti di altre case operanti in detto settore – ha infatti affermato che nei prodotti sui quali l’odierna ricorrente aveva in concreto fondato l’eccezione (peraltro solo due, entrambi della YSL) la parola francese era utilizzata in abbinamento col sostantivo che ne identificava la specie (crema, maschera di bellezza) e lungi, dal formare un marchio distintivo volto a richiamare emozioni, assumeva funzione descrittiva delle potenzialità dei prodotti medesimi.

Si tratta, all’evidenza, di una valutazione in fatto che non trova specifica smentita nelle censure della ricorrente, la quale si limita a sostenere che anche nei cosmetici Lancome le parole “absolu” o “absolue” avrebbero funzione meramente aggettivale e non sarebbero adoperate nel loro significato astratto, ma non chiarisce quali siano gli elementi istruttori che confermerebbero tale assunto.

E’ la stessa Maribà a riconoscere, d’altro canto, che il termine “L’absolu” connota un concetto metafisico e generalissimo e che dire “l’absolu” e dire la “creme absolue” significa dar vita ad espressioni totalmente diverse e non assimilabili.

Sfugge però alla ricorrente che il concetto metafisico ben può essere evocato anche dall’aggettivo femminile, qualora – come nei marchi Lancome – esso sia utilizzato in forma sostantivata, per connotare un’intera gamma di prodotti: ciò che gli fa assumere valenza descrittiva è infatti il suo utilizzo in unione col lemma (nel caso, creme) che definisce il tipo di prodotto.

8.3) Quanto alla rosa, il giudice a quo, ha dato atto che si trattava di segno grafico presente anche nei prodotti di altre case di bellezza, ma ha sottolineato come, per l’utilizzo pluridecennale come segno distintivo fattone da Lancome, esso fosse diventato un marchio, ancorchè fondato su un elemento di uso comune, riferibile proprio a tale azienda, con conseguente sua pacifica tutelabilità.

Neppure tale accertamento è stato specificamente censurato da Maribà, che non ha svolto alcuna argomentazione per contestare che la rosa stilizzata avesse acquistato notorietà sul mercato quale segno distintivo della Lancome, ma si è limitata a dedurre, in via meramente assertiva, che il segno grafico da essa registrato era una girandola floreale, che il giudice d’appello avrebbe “immotivatamente ed arbitrariamente” ritenuto somigliante alla rosa.

9) Il secondo ed il quarto motivo, anch’essi esaminabili congiuntamente, sono infondati.

9.1) Va rammentato che la tutela contro la contraffazione dei marchi è configurabile solo quando essi siano confondibili, perchè utilizzati per prodotti identici o affini, ovvero appartenenti allo stesso genere, in relazione alla loro intrinseca natura, alla clientela cui sono destinati ed ai bisogni che tendono a soddisfare.

L’indagine rilevante ai fini del giudizio di confondibilità deve perciò essere condotta valutando se i beni o i prodotti siano ricercati ed acquistati dal pubblico in forza di motivazioni identiche, o strettamente correlate, tali per cui l’affinità funzionale esistente fra quei beni o prodotti ed i relativi settori merceologici induca il consumatore a ritenere che essi provengano dalla medesima fonte produttiva, indipendentemente dal dato meramente estrinseco dell’eventuale identità/diversità dei canali di commercializzazione (da ultimo, Cass. nn. 7414/015; 4386/015).

Quando poi ci si trovi, come nel caso di specie, in presenza di un marchio notorio o rinomato, al quale il pubblico ricollega non solo un prodotto, ma un prodotto di qualità “soddisfacente” e che quindi garantisce un successo del prodotto stesso a prescindere dalle sue qualità intrinseche, il giudizio di affinità deve essere formulato – anche nella disciplina dei marchi interpretata conformemente alla direttiva 21 dicembre 1988, n. 89/104/CEE e previgente rispetto alle modifiche introdotte con il D.Lgs. 4 dicembre 1992, n. 480, (espressione di un vero e proprio “favor legis” nei confronti dei marchi notori) – secondo un criterio più largo di quello adoperato per i marchi comuni, occorrendo tener conto del pericolo di confusione in cui il consumatore medio può cadere attribuendo al titolare del marchio famoso la fabbricazione anche di altri prodotti, non rilevantemente distanti sotto il piano merceologico e non caratterizzati – di per sè – da alta specializzazione, cosicchè il prodotto meno noto si avvantaggi di quello notorio e del suo segno. (Cass. n. 13090/013).

9.2) La motivazione della corte del merito sottesa al giudizio di confondibilità dei marchi è conforme a questi principi, in quanto fondata, oltre che sul dato dell’appartenenza di cosmetici e profumi alla medesima categoria merceologica (tanto che le maison più famose producono e commercializzano sempre sia gli uni che gli altri), sugli ulteriori rilievi che la spinta al consumo deriva, per entrambi i prodotti, dal desiderio di cura della bellezza e dell’aspetto estetico e che entrambi sono rivolti alla medesima fascia di clientela e rispondono al medesimo bisogno di soddisfazione di esigenze voluttuarie. E ugualmente conforme ai richiamati principi è l’assunto per cui la confondibilità ricorreva nonostante i diversi canali di commercializzazione ed il basso costo dei profumi Maribà.

10) Il sesto motivo è assorbito per ciò che riguarda i capitoli di prova testimoniale (da 1 a 5) e per interrogatorio formale nei quali si deducono circostanze volte a dimostrare che i marchi non erano confondibili. La censura con la quale si lamenta la mancata ammissione dei restanti capitoli, aventi ad oggetto la conferma di documenti dai quali desumere il preuso del marchio di fatto “L’absolu” da parte dell’amministratrice unica (e socia unica) di Maribà, va invece dichiarata inammissibile, atteso che la rilevanza probatoria dei documenti in questione è stata autonomamente esclusa dalla corte territoriale, con argomentazioni che la ricorrente non ha specificamente contestato.

11) Il settimo motivo è anch’esso inammissibile, in quanto non solo non contesta specificamente l’assunto del giudice d’appello secondo cui l’assunzione a base di calcolo del fatturato annuo costituiva criterio di riferimento adeguato, seppure non rigorosamente parametrato all’illecito, tenuto conto “delle modeste dimensioni dell’azienda di Maribà e della limitata quantità di prodotti dalla stessa commercializzati”, ma neppure chiarisce quali siano, ed in quale esatta sede processuale siano stati prodotti, i documenti (non allegati al ricorso) in base ai quali la corte del merito avrebbe potuto verificare che il fatturato relativo ai profumi recanti il marchio “L’Absolu” costituiva, in contrario, solo una minima ed insignificante parte del fatturato complessivo della ricorrente.

Il ricorso, in conclusione, va integralmente respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 4.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario ed accessori dovuti per legge.

Così deciso in Roma, il 7 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2017

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