Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32998 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 20/12/2018, (ud. 29/11/2018, dep. 20/12/2018), n.32998

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7663-2012 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo

studio dell’Avvocato LIVIA RANUZZI, rappresentata e difesa

dall’Avvocato LUIGI QUERCIA giusta procura speciale estesa in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore p.t., elettivamente

domiciliata in ROMA, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che

la

rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso a sentenza n. 45/15/2011 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della PUGLIA depositata il 27.09.2011, non notificata;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

29.11.2018 da Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO

Fatto

RILEVATO

CHE:

G.G. ricorre per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Puglia aveva accolto parzialmente l’appello del contribuente e respinto l’appello incidentale dell’Ufficio avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bari n. 68/14/2010, che aveva respinto il ricorso del contribuente avverso avviso di accertamento IVA IRPEF IRAP 2004 con rideterminazione di maggiori ricavi basata sugli studi di settore;

il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;

con il primo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, “nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.”;

con il secondo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, “violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42”;

con il terzo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio”;

l’Agenzia delle Entrate si è costituita al solo fine di partecipare all’udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia, da parte della CTR, sul motivo di impugnazione con cui sostiene di aver “censurato l’illegittimità dell’avviso di accertamento per non avere l’Ufficio esposto, nella motivazione dell’atto…, le ragioni per le quali i rilievi del destinatario dell’attività accertativa siano stati disattesi, nonostante il contribuente avesse offerto, in sede di memorie difensive, specifiche giustificazioni in merito al riscontrato scostamento tra i ricavi dichiarati per l’anno 2004 e quelli risultanti dall’applicazione dello studio di settore”;

1.2. il motivo di censura non ha fondamento poichè, dall’esame dei motivi di appello trascritti in ricorso, emerge che il contribuente censurò la sentenza impugnata, “per mancanza di adeguata motivazione dell’atto impositivo” e per mancata indicazione delle “irregolarità… previste dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39,L. n. 146 del 1998, art. 10 e D.P.R. n. 570 del 1996”, senza alcun riferimento a eventuali controdeduzioni prodotte dal contribuente in sede di istruzione dibattimentale;

2.1. va disatteso sulle base delle medesime argomentazioni il secondo motivo di ricorso, con cui parimenti il contribuente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto “motivato l’avviso di accertamento,… in cui l’Ufficio…(aveva)… omesso di indicare le ragioni per le quali le giustificazioni del ricorrente, apportate in sede di contradditorio, non fossero state ritenute sufficienti a giustificare lo scostamento rilevato”;

2.2. non vi è prova, infatti, che anche siffatta doglianza sia mai stata formulata in appello;

3.1. va respinto anche il terzo motivo di ricorso con cui si lamenta vizio di motivazione per omesso esame delle ragioni, fatte valere dal contribuente in sede di contradditorio e nel giudizio, relative alle ragioni dello scostamento tra i ricavi dichiarati e quelle derivanti dallo studio di settore, per “obsolescenza dei beni ammortizzabili”, per “erroneità del valore riportato…(nello)… studio di settore”, per “riconducibilità delle rimanenze iniziali e finali a materie prime utilizzate per il ciclo produttivo ed a prodotti alimentari venduti nell’attività”, per “la presenza di fattori ambientali in cui si svolgeva l’attività… non considerati dallo studio di settore”;

3.2. secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sè considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente; in tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente;

3.3. l’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte;

3.4. in tal caso, però, egli assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito (cfr. Cass., Sez. U, n. 26635/2009);

3.5. nel caso di specie la sentenza impugnata non contiene affermazioni in contrasto con tali principi;

1.6. pacifico essendo in causa che il contraddittorio sia stato attivato, i giudici d’appello hanno ritenuto idonee le risultanze degli studi di settore a fondare l’accertamento affermando che il contribuente non aveva fornito “giustificazioni convincenti di tale scostamento limitandosi a considerazioni generiche relative all’andamento dell’economia senza indicare alcuna causa particolare o straordinaria incidente sulla normale attività aziendale” atteso che “negli anni antecedenti e successivi al 2004 i ricavi dichiarati…(erano)… incongrui e incoerenti; lo studio di settore rileva(va)… la incoerenza del ricarico dichiarato… (il che)… fa(ceva)… apparire legittimo l’accertamento di maggiori ricavi presuntivi”;

1.8. al riguardo, giova notare che la mancanza di prove documentali atte a supportare le difese del contribuente è, a ben vedere, incontestata, risolvendosi la tesi difensiva del contribuente nell’assunto che, ad escludere la rilevanza degli studi di settore ai fini detti, basterebbe in realtà solo dedurre elementi probatori di qualsiasi specie;

1.8. a paralizzare l’utilizzabilità degli studi di settore, non è sufficiente tuttavia la sola allegazione, ossia la sola asserzione dell’esistenza di circostanze idonee in astratto a contrastare la presunzione di maggior reddito, con conseguente onere sull’amministrazione di giustificare l’affermazione contraria, in quanto tale assunto risponde ad una lettura erronea delle norme, difforme da quella riassunta nel principio sopra ricordato;

1.9. si ricava infatti dal surricordato principio la chiara affermazione che, nel riparto degli oneri, al contribuente è assegnato quello non solo di allegare ma anche di provare – ancorchè senza limitazioni di mezzi e di contenuto – la sussistenza dì circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale i parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore incombe l’onere della dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (cfr. ex multis Cass. n. 3415/2015);

1.10. parlando di elementi, anche presuntivi, su cui fondare (da parte del contribuente) la contestazione dei risultati dell’applicazione degli studi di settore e (da parte del giudice) la valutazione della fondatezza dell’accertamento in quanto fondato su detti studi, si intende comunque far riferimento a una qualche informazione ricavabile comunque da una fonte di prova acquisita al processo con qualsiasi mezzo, non già dalla mera asserzione della parte: laddove per fonte di prova si intendono le persone, gli enti, le cose che forniscono la detta informazione e per mezzo lo strumento con il quale essa è acquisita; con l’aggettivo presuntivo si intende poi semplicemente richiamare il criterio logico razionale, di tipo inferenziale, che consente di giungere dal risultato probatorio proprio di quella informazione, una volta vagliata la credibilità della fonte e la sua stessa attendibilità, al diverso fatto da provare (esistenza di condizioni economiche legate alla specifica attività considerata che ne giustificano l’allontanamento dal modello tenuto presente dagli studi di settore);

1.11. ammettere dunque il contribuente a offrire – in sede di contraddittorio e/o nel giudizio – elementi, anche presuntivi, idonei a contrastare l’opposta presunzione fondata sugli studi di settore “senza limitazione di mezzi e contenuto” significa soltanto che non vi sono regole di esclusione che possano ostare alla acquisizione al processo di una data informazione rilevante ai detti fini (salvo quelle che derivano dal principio del contraddittorio e della norme processuali generali o proprie del processo tributario), ma non significa certo che veicolo per tale acquisizione possa essere – nel processo civile come nel processo tributario – direttamente e soltanto l’asserzione della parte stessa che ad essa abbia interesse;

1.12. discende dalle considerazioni che precedono l’infondatezza del motivo di ricorso proposto circa la pretesa carenza motivazionale, in quanto la sentenza impugnata si basa, correttamente, sul presupposto che laddove, come nella specie, il contraddittorio sia stato attivato e il contribuente si sia limitato a mera attività assertiva, senza addurre elementi concreti in grado di supportarla, a fondare l’accertamento ben può bastare, di per sè, l’applicazione dello studio di settore;

4. per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto;

5. nulla sulle spese stante la mancanza di attività difensiva dell’Agenzia delle Entrate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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