Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32996 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 13/12/2019, (ud. 05/11/2019, dep. 13/12/2019), n.32996

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) s.n.c., in persona del liquidatore e l.r. R.D.,

nonchè i soci ill. resp. R.D., B.U. e

R.S., rappr. e dif. dagli avv. Federico Casa, Fabio Sebastiano e

Giovanni Pezzin e Federica Scafarelli, elett. dom. presso lo studio

dell’ultima, in Roma, via G. Borsi n. 4, come da procure speciali in

calce all’atto;

– ricorrente –

Contro

FALLIMENTO (OMISSIS) s.n.c. e sei soci ill. resp., in persona del

curatore fallim. p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Venezia 3.1.2017, n. 8/2017,

R.G. 2423/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

giorno 5 novembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Ferro Massimo;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. (OMISSIS) s.n.c., in persona del liquidatore e l.r. R.D., nonchè i soci ill. resp. R.D., B.U. e R.S., impugnano la sentenza App. Venezia 3.1.2017, n. 8/2017, R.G. 2423/2016, che, rigettando il reclamo avverso la sentenza di fallimento Trib. Vicenza 26.8.2016, n. 124/2016 emessa a loro carico su istanza dei creditori C.E. e B.V., affermava altresì la correttezza del decreto, a quella contestuale, di revoca della ammissione al concordato preventivo, non avendo la società versato nei termini le stimate spese di procedura, ancorchè fissate nel minimo del 20%, bensì minore somma (11.500, anzichè 15.000 Euro);

2. la corte ha così ritenuto perentorio il termine fissato in sede di ammissione L. Fall. ex art. 163, irrilevante – ai fini della legittimità del procedimento aperto L. Fall. ex art. 173, a seguito di segnalazione del commissario giudiziale – la tardiva integrazione del deposito da parte della società debitrice, ingiustificato lo stesso ritardo, sia per la assorbente considerazione normativa della sua gravità, sia per l’assenza di una qualsiasi scusante della debitrice; era infine immune da vizi anche il procedimento, avendo l’udienza assolto, in punto di contraddittorio, ad ogni esigenza di compiuta informazione e possibilità di difesa, senza contestazioni;

3. con il ricorso, in due motivi, si contesta la decisione denunciando in primo luogo violazione della L. Fall., art. 163, e vizio di motivazione, avendo errato il tribunale ove ha disconosciuto la natura solo ordinatoria del termine per il deposito delle somme fissate per le spese di procedura e omesso di considerare la richiesta di proroga implicita nella condotta della ricorrente società; altro vizio concerneva, ancora, l’art. 163 in relazione alla mal intesa portata sanzionatoria della L. Fall., art. 173, cui il primo era agganciato, difettando nella vicenda una qualsiasi ratio di frode ai creditori, ma solo constando un ritardo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. il ricorso è inammissibile, ai sensi dell’art. 360bis c.p.c., n. 1, all’esito della trattazione unitaria dei motivi, uniti da evidente connessione e in radicale contrasto con il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, per cui “il termine fissato dal tribunale, ai sensi della L. fall., art. 163, per il deposito della somma che si presume necessaria per l’intera procedura ha carattere perentorio, atteso che la prosecuzione di quest’ultima richiede la piena disponibilità, da parte del commissario, dell’importo a tal fine destinato e questa esigenza può essere soddisfatta soltanto con la preventiva costituzione del fondo nel rispetto del predetto termine, da considerarsi quindi improrogabile, con conseguente inefficacia del deposito tardivamente effettuato” (Cass. 8100/2016, 18704/2016);

2. quanto alla pretesa contaminazione della ratio della L. Fall., art. 173, in punto di frode rispetto alla causa di revoca fissata invece nella L. Fall., art. 163, che al primo fa rinvio, si deve opporre (come argomentato nel secondo precedente citato) che “il rinvio che l’art. 163, comma 3, fa all’art. 173, primo comma, concerne dunque esclusivamente l’obbligo del commissario giudiziale di informare il Tribunale, per i fini dell’apertura del procedimento per la revoca dell’ammissione al concordato: nulla invece il rinvio dice con riguardo ai possibili provvedimenti da adottare all’esito del procedimento di revoca, provvedimenti che il citato art. 163, comma 3, non avrebbe avuto ragione di richiamare, giacchè essi, secondo la previsione del successivo art. 173, comma 2, quale che sia la causa della disposta revoca, sono in ogni caso i medesimi. E’ del tutto logico, cioè, che l’art. 163, comma 3, sia stato formulato, per il tramite del rinvio all’art. 173, comma 1, in modo tale da stabilire – solo e soltanto – che anche il mancato versamento delle somme necessarie allo svolgimento della procedura innesta, attraverso l’informativa che il commissario giudiziale deve al Tribunale, il procedimento di revoca del concordato preventivo”; e a sua volta Cass. 2234/2017 ha puntualizzato che il controllo finale, in sede di omologazione, delle condizioni approvative del concordato si estende a tutti gli “atti o fatti rilevanti ai fini previsti dalla L. fall., art. 173, o comunque ad essi equiparabili “quoad effectum” (come, nella specie, il tardivo deposito delle spese necessarie alla procedura)” così che “il tribunale deve respingere la domanda di omologazione nonostante la mancata apertura del relativo procedimento ovvero il suo esaurimento in modo difforme rispetto all’esito dell’accertamento più completo espletato solo nel giudizio di omologazione”;

3. la ratio che fonda la natura perentoria del termine ha dunque giustificato, sul piano organizzativo, l’adozione del medesimo procedimento con cui la L. Fall., art. 173, storicamente ha ospitato vicende di frode che peraltro non lo esauriscono, come attestato dall’ultima parte del comma 3, ove il riferimento al venir meno delle condizioni di ammissibilità può avere riguardo (come spesso si verifica) ad accadimenti oggettivi (la sopraggiunta manifesta infattibilità del piano con difetto di coerenza della causa del concordato) che ben possono prescindere dall’intento frodatorio; la revoca del concordato è invero il medesimo risultato di arresto della procedura che il legislatore vuole conseguire anche per cause differenti e, per il rispettivo accertamento, impiega il medesimo congegno processuale (con il rispetto del contraddittorio), senza che tale scelta replichi e trasformi innaturalmente le rationes diverse dalla frode tipizzata o descritta per clausole generali nella prima parte della norma stessa;

4. va poi dichiarato autonomamente inammissibile il primo motivo, per quanto non assorbito dalle considerazioni precedenti, ove – sia pur con debole enunciazione critica – i ricorrenti lamentano l’omessa considerazione della implicita richiesta di proroga insita nella condotta della società; si tratta di censura nuova, rispetto a cui la parte non dà conto, come dovuto, della appartenenza rituale e tempestiva al processo, quale eccezione già sollevata avanti al giudice di merito;

5. il ricorso è, pertanto, inammissibile. Si dà atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (cfr., tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass., Sez., U. 27/11/2015, n. 24245; Cass., Sez., U. 20/06/2017, n. 15279) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti ed in via solidale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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