Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32991 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. II, 13/12/2019, (ud. 10/09/2019, dep. 13/12/2019), n.32991

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 25091/’16) proposto da:

C.G. (C.F.: (OMISSIS)) e P.E. (C.F.:

(OMISSIS)), entrambi rappresentati e difesi, in forza di procura

speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Dante Angiolelli e

domiciliati “ex lege” presso la Cancelleria civile della Corte di

cassazione, in Roma, piazza Cavour;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI SERRAMONACESCA, in persona del Sindaco pro-tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di L’Aquila n. 266/2017,

depositata il 28 febbraio 2017 (e non notificata);

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 10

settembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. CARRATO Aldo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso;

udito l’Avv. Dante Angiolelli per i ricorrenti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato nel 2004, i coniugi C.G. e P.E. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pescara-sez. distaccata di San Valentino in A.C., il Comune di Serramonacesca per sentirlo condannare al pagamento della complessiva somma di Euro 38.007,60 o di altra somma ritenuta di giustizia, a titolo di danno derivante dall’omessa, parziale e/o carente esecuzione degli interventi di riattazione dell’immobile di loro proprietà rimasto danneggiato in seguito agli eventi sismici del 1984, nonchè a titolo di danno per mancato godimento dello stesso immobile nei periodi di realizzazione delle contestate opere.

A fondamento della proposta domanda gli attori evidenziavano che i primi interventi di riattazione, previsti nel progetto relativo al Comparto PEU del 1989 redatto dall’ing. M. ed il cui appalto veniva aggiudicato all’impresa Domar s.n.c., presentavano carenze strutturali per le quali il suddetto Comune aveva provveduto a commissionare un progetto di completamento con un nuovo progettista e altro direttore dei lavori, i quali, tuttavia, non venivano eseguiti secondo il progetto approvato e, in conseguenza della predisposizione di ulteriore progetto, le opere venivano nuovamente appaltate all’impresa V.E., eseguite e collaudate nel 2002, ma risultate – secondo la relazione tecnica fatta approntare dagli attori – parziali.

Sulla scorta di quanto dedotto i coniugi C.- P. chiedevano dichiararsi la responsabilità del convenuto Comune ai sensi dell’art. 2043 c.c. per “mala gestio” o, in ogni caso, per “culpa in eligendo o in vigilando” avuto riguardo all’inesatta esecuzione dei citati lavori di riattazione.

Nella costituzione dell’ente comunale convenuto, che instava per il rigetto della domanda (deducendo che gli attori avevano fruito dell’intero contributo loro riconosciuto nonchè di ulteriore contributo superiore a quello massimo erogato), l’adito Tribunale, con sentenza n. 130/2009, accoglieva la domanda attorea ritenendo essersi configurata la responsabilità extracontrattuale del menzionato ente in relazione alla violazione dell’art. 2049 c.c., condannandolo al risarcimento del danno nella misura di Euro 38.007,00 (oltre interessi legali), risultante dalla maggiore quantificazione delle opere necessarie al completamento, dagli oneri per la progettazione e consolidamento statico, dal mancato godimento del bene, come effettuato dal c.t.u., e dal dimezzamento di detta quantificazione disposto ai sensi dell’art. 1227 c.c..

Avverso la sentenza del giudice di prime cure proponeva appello il Comune di Serramonacesca e, nella costituzione degli appellati (che, a loro volta, formulavano appello incidentale in ordine alla ridotta misura del risarcimento ad essi riconosciuta rispetto a quella richiesta), la Corte di appello di L’Aquila, con sentenza n. 266/2017, accoglieva il gravame principale e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata decisione, rigettava la domanda risarcitoria avanzata dai coniugi C.- P..

A fondamento dell’adottata decisione la Corte abruzzese riteneva che la fattispecie contrattuale dedotta in giudizio dovesse essere inquadrata in quella dell’appalto e, ancor più specificamente, in quella di un contratto in favore di terzi (ritenuto configurabile quando una parte – stipulante – designa un terzo come avente diritto alla prestazione alla quale si è obbligato il promittente).

Nella ricostruzione in fatto della vicenda oggetto di causa il giudice di appello riconfermava che, a seguito degli eventi sismici del 1984, il Comune di Serramonacesca aveva concluso – quale committente – un contratto di appalto, inizialmente con la Domar s.n.c. e poi con la ditta V.E., per la realizzazione e/o completamento delle opere di riattazione degli edifici interessati dal progetto PEU, tra cui era inserito anche l’immobile di proprietà degli odierni ricorrenti, i quali si sarebbero dovuti considerare terzi estranei alla conclusione del predetto appalto risultanti beneficiari dell’oggetto scaturente dal contratto medesimo, di cui essi avevano inteso avvantaggiarsi.

Ciò posto, la Corte territoriale – andando di contrario avviso al giudice di primo grado e facendo leva sui presupposti necessari per la configurabilità della responsabilità del committente verso terzi ai sensi dell’art. 2049 c.c., escludeva che tale forma di responsabilità si potesse ascrivere al Comune di Serramonacesca, quale appaltante, sulla scorta delle risultanze fattuali acquisite, avuto particolare riguardo all’attività specifica che detto Comune aveva svolto nel corso dell’esecuzione dell’appalto, tale da escludere anche la possibile configurazione della c.d. “culpa in eligendo”.

Avverso la sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico e variamente articolato motivo, C.G. e P.E.. L’intimato Comune di Serramonacesca non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il difensore dei ricorrenti ha anche depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il formulato motivo i ricorrenti hanno (testualmente) denunciato:

– violazione e/o falsa applicazione del coacervo normativo vigente in tema di riattazione degli immobili a seguito degli eventi sismici degli anni 1982 e 1984 (D.L. 12 novembre 1982, n. 829 recante “interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite da calamità naturali ed eventi eccezionali”; D.L. 26 maggio 1984, n. 159 – “interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dai movimenti sismici del 29 aprile 1984 in Umbria e del 7 e 11 maggio 1984 in Abruzzo, Molise, Lazio e Campania”; ordinanza del Ministro per il coordinamento della Protezione civile n. 230/FPC/ZA e succ. modif. e integr.; ordinanza del Ministro per il coordinamento della Protezione civile 1 giugno 1990, ord. 1928/FPC, L. 14 maggio 1981, n. 21), in correlazione alla disciplina sugli appalti pubblici vigente ratione temporis (R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 1,3,4 e 13 e succ. modif. e integr.; L. n. 109 del 1994);

– violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2049 c.c., nonchè della L. n. 109 del 1994, art. 28, comma 5;

– travisamento dei fatti e delle risultanze processuali;

– violazione dei fondamentali principi normativa e giurisprudenziali di logica e ragionevolezza di cui agli artt. 3 e 111 Cost., mancanza di motivazione;

– violazione e/o erronea applicazione dell’art. 1662 c.c.;

– violazione e/o erronea applicazione del D.P.R. 25 maggio 1895, n. 350 e succ. modif. e integr. e, segnatamente, dell’art. 13 di tale D.P.R.;

– violazione e/o falsa applicazione dell’art. 28 Cost., omesso esame delle risultanze della c.t.u. espletata dall’ing. L., configurante omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

A sostegno della formulata censura i ricorrenti hanno, in primo luogo, richiamato lo speciale assetto normativo riguardante la materia degli interventi relativi alla riattazione degli immobili danneggiati da eventi sismici, dal quale dovrebbero considerarsi emergenti in capo alla stazione appaltante pubblica (erogante le correlate risorse finanziarie e tenuta alla inerente rendicontazione) poteri/doveri di necessaria ingerenza e sorveglianza nella procedura di appalto di detti interventi (ivi compresi quelli di variazione), teleologicamente diretti al corretto svolgimento dei lavori, alla esatta esecuzione delle opere e, altresì, del controllo, preliminare e successivo (mediante collaudo), della conformità a legge delle stesse, indicazioni tutte alle quali il privato appaltatore – in difetto di autonomia operativa e decisionale – deve attenersi, donde l’imputazione ad esso ente pubblico committente della responsabilità riferita ai danni riconducibili (nella specie accertati a mezzo c.t.u. e ammontanti ad Euro 67.869,56) non solo alla progettazione ma anche alla realizzazione e alla gestione dei lavori (per come evincibile specificamente dalla L. n. 219 del 1981, art. 8, lett. d)).

In particolare, i ricorrenti rappresentano che il Comune committente – a mezzo dei propri progettisti e direttori dei lavori – aveva imposto, a seguito delle prescrizioni adottate dall’U.c.c.R. – varie modifiche al P.E.U., predisponendo a tal proposito varianti vincolanti e non derogabili dalle ditte esecutrici e, nonostante le difformità riscontrabili e riscontrate (con conseguente inidoneità delle opere accertata mediante c.t.u.), lo stesso Comune aveva certificato la regolare esecuzione delle opere eseguite dalla ditta V.E. (subentrata alla prima) e la rispondenza delle stesse alle normative di legge, così dovendosi ritenere configurata, in capo al medesimo Comune, quantomeno una responsabilità per “culpa in vigilando e in eligendo” ai sensi dell’art. 2049 c.c.. 2. Rileva il collegio che la complessa censura formulata dai ricorrenti è fondata nei termini e per le ragioni che seguono.

E’, innanzitutto, opportuno inquadrare la normativa in concreto applicabile alla vicenda fattuale dedotta in giudizio, che la sentenza impugnata ha esaminato solo superficialmente senza trarne, in ogni caso, le esatte conseguenze giuridiche in punto responsabilità dell’intimato Comune.

Ed invero, vertendosi in tema di esecuzione di opere di riattazione dell’unità immobiliare dei ricorrenti danneggiata dagli eventi sismici verificatisi in Abruzzo nel 1984, il quadro di riferimento normativo è riconducibile, soprattutto, alla fonte normativa generale e principale di cui alla L. 14 maggio 1981, n. 219, oltre che alle correlate normative, circolari e regolamentazioni secondarie che hanno contribuito all’attuazione in concreto degli interventi in favore delle popolazioni colpite dai suddetti eventi calamitosi. In virtù di ciò è pacifico, nel caso di specie, che i ricorrenti – a cui fu riconosciuto il diritto a ricevere le necessarie provvidenze economiche sotto forma di contributi pubblici per la riattazione del loro immobile – si erano avvalsi della facoltà (desumibile, essenzialmente, dal combinato disposto della citata L. n. 219 del 1981, art. 8, lett. d), e art. 10, u.c.) di delegare al competente Comune (ovvero a quello qui intimato, in cui era ubicata l’unità immobiliare dei coniugi ricorrenti, inclusa in un più vasto ed organico intervento di ricostruzione) la progettazione, l’esecuzione e la gestione degli lavori che avrebbero, perciò, essere dallo stesso appaltati per la loro realizzazione.

Sulla scorta di questa scelta, il Comune di Serramonacesca avrebbe, quindi, dovuto provvedere alla conclusione del relativo contratto affidando le opere ad un’apposita ditta per la loro attuazione e provvedendo, nel contesto di tale rapporto contrattuale, anche alla designazione del progettista, del direttore dei lavori e ad adottare le conseguenti determinazioni per il collaudo finale prima della riconsegna dell’unità immobiliare ai proprietari aventi diritto al suo riottenimento in seguito all’intervento di riattazione (coperto da contribuzione pubblica), tale da consentire la piena riagibilità e riabitabilità per effetto dell’esecuzione delle opere in conformità alle regole prescritte dalla normativa di riferimento, anche sul piano edilizio.

E’ altrettanto incontestato – per come accertato in fatto con la sentenza impugnata – che, effettivamente, il citato Comune aveva inizialmente stipulato il contratto di appalto, modellato sullo schema di riferimento dell’appalto pubblico, con una prima ditta, poi sostituita da altra che avrebbe dovuto procedere alla realizzazione o, comunque, al completamento delle opere di riattazione degli edifici interessati dal progetto PEU nel quale era ricompreso l’immobile degli attuali ricorrenti.

Ciò posto, è nella stessa sentenza qui impugnata che viene dato atto, come, in un primo momento, erano rimaste accertate – per effetto dei controlli da parte dell’UCCR della Regione Abruzzo – le irregolarità e le incompletezze strutturali in merito all’esecuzione dei lavori così come previsti dal primo progettista; inoltre, la Corte aquilana attesta che, in seguito all’espletamento in sede giudiziale di c.t.u., era stata ulteriormente riscontrata la mancata esecuzione delle ulteriori opere realizzate (per le quali era stata approvata apposita variante) rispetto alla progettazione di altro professionista, così rimanendo incompiuto l’intervento di riattazione in favore dei coniugi C.- P..

Nonostante il descritto svolgimento del rapporto contrattuale discendente dalla conclusione dell’appalto, il giudice di seconde cure ne ha tratto delle conseguenze giuridiche erronee, accollando semplicisticamente ogni responsabilità dell’inadempimento in capo alle ditte appaltatrici (la prima, peraltro, fallita), disattendo la rilevanza degli specifichi obblighi incombenti sul Comune committente in virtù dell’applicazione della dettagliata e rigorosa normativa di riferimento prima ricordata, il cui inesatto rispetto avrebbe dovuto condurre all’affermazione di una responsabilità – quantomeno in via concorsuale – del medesimo ente appaltante.

Quest’ultimo era, invero, tenuto ad esercitare precisi poteri (assolvendo, contestualmente, a specifici obblighi legali) che avrebbero dovuto imporgli di mettere in atto le necessarie attività di ingerenza, di propulsione e di adeguata (oltre che continua) sorveglianza nella realizzazione dell’intervento di riattazione in questione, finalizzate a garantire il corretto svolgimento dei lavori, l’esatta esecuzione delle opere progettate (da professionista dallo stesso ente nominato) e, quindi, implicanti l’indispensabile controllo, preliminare e successivo (anche mediante l’espletamento del collaudo finale e il rilascio della correlata certificazione), della conformità a legge e alle prescritte regole tecniche delle opere stesse (circostanza, invero, smentita dalle stesse risultanze della c.t.u.), onde garantire il soddisfacimento effettivo (oltre che, in concreto, dei fruitori dell’intervento) del pubblico interesse sotteso al compimento del procedimento di ricostruzione immobiliare resosi necessario per eventi sismici e supportato dall’erogazione di fondi pubblici.

Del resto, come già anticipato, il precetto normativo specificamente previsto in materia è particolarmente stringente nell’imporre al Comune committente di curare – rispettando la necessaria diligenza per questo tipo di intervento con l’esercizio di un continuo controllo con riferimento alla parte propedeutica, di esatta realizzazione e di collaudo finale – la progettazione, l’esecuzione e la gestione degli lavori, non potendosi, quindi, accollare la responsabilità esclusiva dell’esito finale ed incompiuto dell’intervento di riattazione alla sola ditta appaltatrice (la cui verifica della idoneità a realizzare tale tipo di lavori spetta allo stesso ente appaltante).

Oltretutto, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte (peraltro riferentesi alla figura dell’appalto pubblico in generale e non anche a quella peculiare – e certamente più rigorosa – riconducibile alla disciplina normativa riguardante gli interventi di ricostruzione e riattazione a seguito della verificazione di eventi sismici), va riaffermato il principio (a cui dovrà uniformarsi il giudice di rinvio) che, in tema di risarcimento del danno, con riferimento all’appalto di opere pubbliche, gli specifici poteri di autorizzazione, controllo ed ingerenza della P.A. nell’esecuzione dei lavori, con la facoltà, a mezzo del direttore, di disporre varianti e di sospendere i lavori stessi, ove potenzialmente dannosi per i terzi (evenienza effettivamente concretatasi nell’esaminata fattispecie), non possono esonerare da ogni responsabilità l’ente committente (cfr., tra le tante, Cass. n. 4591/2008, Cass. n. 1263/2012 e Cass. n. 25408/2016).

Pertanto, deve ritenersi che la Corte territoriale ha illegittimamente proceduto ad una parziale valutazione dei fatti, omettendo di valorizzare circostanze decisive con riferimento al ruolo svolto dal Comune committente ed incorrendo perciò, sul piano propriamente giuridico, a ritenere illegittimamente insussistente la configurazione della violazione dell’art. 2049 c.c., non potendosi – al contrario – escludere la relativa responsabilità dello stesso ente pubblico alla luce degli obblighi sul medesimo incombenti avuto riguardo alle fase iniziale e a quelle, successive, dell’esecuzione e dell’ultimazione delle opere appaltate, oltre che all’accertamento (da verificare se inveritiero o effettivamente rispondente alla realtà) della conformità delle opere stesse a quelle progettate.

A tal proposito, è necessario considerare, altresì, la peculiarità e la pregnanza di detti obblighi in tema di interventi di ricostruzione o riattazione post-terremoto, alla stregua della disciplina normativa speciale applicabile, per effetto della quale la responsabilità non può ricadere per intero – come, invece, erroneamente ritenuto dalla Corte di appello – sulla ditta appaltatrice, pur potendosi, verosimilmente, configurare una responsabilità concorrente tra appaltante ed appaltatore (il cui accertamento rimane demandato, sulla scorta della completa rivalutazione della vicenda fattuale, al giudice di rinvio).

3. In definitiva, il ricorso deve essere accolto nei termini di cui al complesso impianto argomentativo sopra sviluppato, con la conseguente cassazione dell’impugnata sentenza ed il rinvio della causa alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione, che provvederà a conformarsi al principio di diritto prima enunciato e a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile, il 10 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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