Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32987 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. II, 13/12/2019, (ud. 15/04/2019, dep. 13/12/2019), n.32987

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ugo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18403 – 2015 R.G. proposto da:

P.R., – (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in Roma,

alla via Giambattista Vico, n. 1, presso lo studio dell’avvocato

Silvana Meliambro che lo rappresenta e difende in virtù di procura

speciale autenticata per notar C. in data 22.11.2017;

– ricorrente –

contro

V.M., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in

Roma, alla via Pietro Borsieri, n. 3, presso lo studio dell’avvocato

Aurelio Pegazzani che lo rappresenta e difende in virtù di procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della corte d’appello di Roma n. 6440 dei

1/21.10.2014, udita la relazione nella camera di consiglio del 15

aprile 2019 del consigliere Dott. ABETE Luigi.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

Con atto ricorso ex art. 1170 c.c. e art. 703 c.p.c., al tribunale di Roma, depositato il 14.5.2002, V.M. esponeva che l’appartamento all’ultimo piano dell’edificio in (OMISSIS), di cui era proprietario e possessore, fruiva, in virtù scrittura privata siglata in data 17.4.1989 con F., Ac. e A.d.R.C.F., trascritta il 4.5.1989, trascrizione poi rettificata con nota trascritta il 23.6.1994, di servitù di panorama a carico del terrazzo di pertinenza dell’appartamento successivamente acquistato da P.R.; che segnatamente con la scrittura in data 17.4.1989, all’art. 12, A.d.R.C.F. (unicamente) si era impegnato a non creare barriere con piante ornamentali, ombrelloni, tralicci ed in genere con ingombri di altezza superiore a m. 1,50 sul terrazzo di pertinenza del suo appartamento, prospiciente la sala da pranzo dell’appartamento di proprietà di egli ricorrente; che successivamente la servitù di panorama era divenuta opponibile a P.R., avente causa, giusta atto di compravendita in data 12.6.1995, di A.d.R.C.G., successore legittimo di A.d.R.C.F..

Esponeva che P.R. aveva collocato sul terrazzo dell’appartamento materiali ed arredi che per caratteristiche e dimensioni ostacolavano il possesso della servitù di panorama.

Chiedeva di essere manutenuto nel possesso della servitù, ovvero che si facesse ordine a P.R. di rimuovere quanto collocato sul terrazzo ed atto ad ostacolare l’esercizio del possesso della servitù.

Resisteva P.R..

Instava per il rigetto dell’avversa domanda.

Espletata c.t.u. – mercè la quale si acclarava che il resistente nelle more aveva collocato sul terrazzo un’ampia struttura in ferro con vegetazione rampicante – con ordinanza del 23.2.2004, a conclusione della fase a cognizione sommaria, il tribunale faceva ordine al resistente di astenersi da qualsivoglia turbativa della servitù di panorama e di rimuovere la struttura in ferro descritta dal consulente d’ufficio o, quanto meno, di ridurne l’altezza, sì da conformarla alle prescrizioni di cui all’art. 12 della scrittura in data 17.4.1989.

All’esito della fase a cognizione piena – nel corso della quale veniva espletata ulteriore c.t.u. – con sentenza n. 3944/2008 il tribunale di Roma accoglieva l’iniziale ricorso nei medesimi termini di cui all’ordinanza del 23.2.2004 e compensava integralmente le spese di giudizio.

Proponeva appello P.R..

Resisteva V.M..

Con sentenza n. 6440 dei 1/21.10.2014 la corte d’appello di Roma rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese del grado.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso P.R.; ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.

V.M. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dunque la nullità dell’impugnata sentenza per omessa pronuncia.

Deduce che, contrariamente a quanto assunto dalla corte di merito, aveva tempestivamente addotto, già con la comparsa di costituzione nella fase a cognizione piena del giudizio possessorio innanzi al tribunale, la questione concernente l’esatta identificazione catastale del terrazzo gravato dalla servitù di panorama.

Deduce segnatamente che il lastrico solare dell’edificio in (OMISSIS), alla stipula della convenzione in data 17.4.1989, risultava, a seguito dell’atto di divisione per notar Ca. del 21.11.1988, frazionato in tre porzioni aventi distinti identificativi catastali; che la porzione di esclusiva spettanza di A.d.R.C.F. – poi pervenuta ad egli ricorrente – era riportata in catasto al subalterno (OMISSIS) della particella (OMISSIS) del foglio (OMISSIS); che, in virtù dello stesso atto di divisione, A.d.R.C.F. e A.d.R.C.F. erano comproprietari per la quota di 1/2 ciascuno del tratto di terrazzo di mq. 9 circa riportato in catasto al subalterno (OMISSIS) della particella (OMISSIS) del foglio (OMISSIS) (cfr. ricorso, pag. 8); che A.d.R.C.F., impegnatosi con la scrittura in data 17.4.1989 a non creare barriere ornamentali in qualità di comproprietario, non poteva di certo vincolarsi in tale veste con riferimento al subalterno (OMISSIS), giacchè all’epoca di sua esclusiva proprietà.

Deduce inoltre che la questione concernente l’esatta identificazione catastale del terrazzo gravato dalla servitù di panorama era stata ribadita nella memoria ex art. 183 c.p.c., nella conclusionale e nella replica di prime cure, poi nell’atto di appello, nella conclusionale e nella replica di seconde cure.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1027,1362,1363 e 1366 c.c..

Deduce che la corte distrettuale ha erroneamente interpretato la convenzione in data 17.4.1989.

Deduce invero che il rigoroso ossequio alle regole in tema di interpretazione dei contratti, tra le altre, alla regola per cui occorre tener conto del comportamento complessivo dei contraenti, pur posteriore alla stipula, e nella fattispecie, segnatamente, del comportamento inerte del V. nel periodo compreso tra il 1989 ed il 2002, induce a ritenere, per un verso, che il terrazzo gravato dalla asserita servitù di panorama non si identifica con il subalterno n. (OMISSIS), allo stato di proprietà di egli ricorrente, per altro verso, che gli stipulanti la scrittura in data 17.4.1989 intesero semplicemente costituire un obbligo personale.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2643 c.c., n. 4, art. 2644 e 2650 c.c., art. 2659 c.c., n. 4; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che la nota di trascrizione del 4.5.1989 della scrittura in data 17.4.1989 non faceva alcuna menzione della servitù di panorama.

Deduce che è vero, sì, che antecedentemente alla trascrizione del proprio atto di acquisto, datato 12.6.1995, era stata trascritta il 23.6.1994 la nota di rettifica della nota di trascrizione del 5.4.1989, nota di rettifica con cui si esplicitava che per mero errore materiale nella nota del 5.4.1989 era stato omesso l’impegno assunto da A.d.R.C.F. a non creare barriere.

Deduce nondimeno che la corte territoriale ben avrebbe dovuto dar ragione della validità e legittimità di una nota di rettifica siffatta.

Il primo motivo non merita seguito.

Non si giustifica la denuncia di omissione di pronuncia.

La corte d’appello, a rigore, ha pronunciato, giacchè ha – comunque – assunto che dovevano reputarsi inammissibili, siccome nuove ovvero siccome formulate dall’appellante per per la prima volta (non già coi motivi d’appello, sibbene) in memoria di replica, le questioni concernenti la presunta errata individuazione catastale dei beni oggetto di causa.

In pari tempo, allorchè il ricorrente adduce – col primo mezzo – “che si possa parlare di questioni nuove in appello è possibile solo immaginando un totale by pass di lettura delle carte processuali, sia di primo che di secondo grado” (così ricorso, pag. 14), evidentemente prospetta in tal guisa una vera e propria erronea percezione degli atti causa.

E tuttavia questa Corte spiega che l’erronea percezione degli atti di causa costituisce errore di fatto cosiddetto revocatorio (cfr. Cass. (ord.) 24.7.2012, n. 12962).

In ogni caso, per le ragioni di censura che veicola (e che la corte di merito ha considerato tardivamente esperite in seconde cure), il primo mezzo si riflette e si risolve nelle ragioni di censura dal secondo mezzo di impugnazione prefigurate.

E nondimeno pur il secondo motivo di ricorso è immeritevole di seguito.

Evidentemente il secondo mezzo di impugnazione prospetta una “questione ermeneutica” (“l’impugnata decisione si arrocca in assiomi assertivi configgenti con le regole di interpretazione dei contratti”: così ricorso, pag. 15).

Cosicchè esplicano valenza gli insegnamenti di questa Corte.

In primo luogo l’insegnamento alla cui stregua l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata costituisce attività riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178, e Cass. 2.5.2006, n. 10131).

In secondo luogo l’insegnamento alla cui stregua nè la censura ex n. 3 nè la censura dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, possono risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si traduca nella mera contrapposizione di una differente interpretazione; sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. 22.2.2007, n. 4178, e Cass. 2.5.2006, n. 10131).

Su tale scorta si rappresenta che l’iter motivazionale che sorregge l’impugnato dictum risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congruo e esaustivo sul piano logico – formale.

Con riferimento, dapprima, al profilo della correttezza giuridica per nulla si configurano i pretesi errores in iudicando.

Propriamente la statuizione della corte distrettuale è appieno aderente agli insegnamenti di questa Corte di legittimità.

Ovvero all’insegnamento per cui le pattuizioni con cui nelle vendite immobiliari i contraenti pongono limitazioni all’utilizzazione o al godimento di un fondo, per assicurare ad un altro fondo particolari utilità, vantaggi, amenità o comodità, sono costitutive di vere e proprie servitù, titolare delle quali è il proprietario del fondo dominante ed alla cui osservanza è tenuto il proprietario del fondo servente, con la conseguenza che tali clausole, ove trascritte, sono opponibili a tutti i successivi acquirenti, a titolo universale o particolare, del fondo gravato (cfr. Cass. 19.6.1984, n. 3630; Cass. 29.5.1995, n. 6035).

Ovvero all’insegnamento secondo cui, per la valida costituzione di una servitù, non è necessario che il titolo contenga la specifica descrizione del fondo dominante e del fondo servente, essendo sufficiente che questi ultimi siano comunque desumibili dal contenuto dell’atto (cfr. Cass. 19.10.2018, n. 26516; Cass. 28.6.2000, n. 8802).

Appieno si giustifica perciò l’affermazione della corte territoriale secondo cui non “vi sarebbe necessità dell’esatta specificazione nell’atto dei dati catastali delle proprietà” (così sentenza d’appello, pag. 4).

Con riferimento, dipoi, al profilo della congruenza logico – formale della motivazione si osserva quanto segue.

Da un canto, è da escludere che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte ad acquisire significato in rapporto al (novello) dettato dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – e tra le quali non è annoverabile il semplice difetto di sufficienza della motivazione – possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte di Roma ha ancorato il suo dictum.

Specificamente, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte romana ha compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Ovvero ha chiarito, in sede di disamina del primo motivo di gravame, con il quale l’appellante aveva addotto che con la previsione di cui al punto n. 12 della scrittura in data 17.4.1989 A.d.R.C.F. aveva inteso assumere un impegno di natura meramente personale, che – conformemente a quanto affermato al riguardo dal tribunale – con la previsione negoziale anzidetta si era inteso costituire una vera e propria servitù a favore dell’immobile di proprietà del V. ed a carico dell’immobile poi divenuto di proprietà del P..

Ha chiarito, segnatamente, che con la pattuizione di cui al punto n. 12 le parti avevano inteso stabilire limitazioni e vantaggi a carico ed a favore dei rispettivi immobili, limitazioni e vantaggi sufficientemente individuati. Al contempo, che gli immobili erano agevolmente identificabili alla stregua del contenuto dell’atto, ove era riferimento al terrazzo – allo stato di proprietà del ricorrente – “prospiciente l’appartamento del V. e, in particolare, alla veduta attraverso la finestra della sala da pranzo di quest’ultimo appartamento” (così sentenza d’appello, pag. 4, ove si soggiunge che a nulla valeva addurre, ad asserito riscontro della pretesa genericità della previsione pattizia, che V.M. “avrebbe anche potuto spostare l’ubicazione della sala da pranzo”).

D’altro canto, la corte di Roma ha sicuramente disaminato il fatto decisivo caratterizzante la res litigiosa dalle parti discusso, ovvero ha vagliato sia il profilo della costituzione di un diritto reale sia il profilo della identificabilità, alla stregua del contenuto della scrittura del 17.4.1989, del fondo dominante e del fondo servente.

Negli enunciati termini non ha valenza alcuna la prospettazione del ricorrente secondo cui “l’assuntore dell’impegno di cui all’art. 12 (…) in qualità di comproprietario non poteva che fare riferimento, quale suo oggetto, alla porzione ricevuta con il medesimo atto in comproprietà con il fratello condividente, vale a dire, il sub 88” (così ricorso, pagg. 16 – 17). Ciò viepiù che il subalterno 88 (di comproprietà per la quota di 1/2 ciascuno di F. e A.d.R.C.F.) è “un tratto di terrazzo” di appena 9 mq (circa) (cfr. ricorso, pag. 8).

In pari tempo, nei contratti per i quali è prevista la forma scritta ad substantiam (come il contratto per cui è causa, avente ad oggetto la costituzione di un diritto di servitù), la ricerca della comune intenzione delle parti, effettuabile ove il senso letterale delle parole presenti un margine di equivocità, deve essere fatta, con riferimento agli elementi essenziali del contratto, soltanto attingendo alle manifestazioni di volontà contenute nel testo scritto, mentre non è consentito valutare il comportamento complessivo delle parti, anche successivo alla stipulazione del contratto, in quanto non può spiegare rilevanza la formazione del consenso ove non sia stata incorporata nel documento scritto (cfr. Cass. 5.2.2004, n. 2216; Cass. (ord.) 5.3.2018, n. 5112).

Negli enunciati termini non ha valenza, in particolare, “l’inerzia del preteso avente diritto durata dal 1989 al 2002” (così ricorso, pag. 19).

In ogni caso è innegabile che le censure dal ricorrente addotte si risolvono nella mera prefigurazione della maggiore plausibilità dell’antitetica interpretazione (cfr. in particolare le previsioni di cui alla lett. b) ed alla lett. c) a pag. 17 del ricorso).

Non merita seguito pur il terzo motivo.

Non si configurano gli asseriti errores in iudicando.

In sede di disamina del secondo motivo di gravame, con il quale l’appellante aveva addotto che la servitù di panorama non gli era opponibile, la corte d’appello ha ineccepibilmente puntualizzato che viceversa al momento – 12.6.1995 – dell’acquisto del P. la convenzione di cui alla scrittura in data 17.4.1989 era stata trascritta sin dal 23.6.1994 e che del tutto irrilevante era la circostanza che la medesima convenzione fosse stata trascritta successivamente all’acquisto del dante causa, A.d.R.C.G., del P. (cfr. Cass. 19.6.1984, n. 3630).

Del tutto ingiustificato è perciò l’assunto del ricorrente secondo cui “l’arbitraria trascrizione di una pretesa servitù di panorama (…) effettuata con la (…) nota di rettifica (…) merita di essere dichiarata nulla e priva di qualsivoglia effetto” (così ricorso, pag. 22, ove è testualmente riprodotto il menzionato passaggio dell’atto di appello di P.R.).

Del tutto ingiustificata è evidentemente la denuncia di “omesso esame”.

In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti perchè, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il ricorrente sia tenuto a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma del medesimo D.P.R. art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, P.R., a rimborsare al controricorrente, V.M., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 15 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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