Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32985 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 13/12/2019, (ud. 09/10/2019, dep. 13/12/2019), n.32985

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16570-2017 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PASUBIO 2,

presso lo studio dell’avvocato MARIA ROSARIA GALELLA, rappresentato

e difeso dall’avvocato MARCO PIZZUTELLI;

– ricorrente principale –

contro

UBI BANCA – UNIONE DI BANCHE ITALIANE S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DI RIPETTA 70, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO LOTTI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati SALVATORE FLORIO e

FABRIZIO DAVERIO;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

nonchè contro

G.G.;

– ricorrente principale – controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 5227/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 04/01/2017, R. G. N. 6978/2013.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 4.1.2017, respingeva il gravame proposto da G.G. avverso la sentenza di primo grado di rigetto del ricorso avanzato dal predetto, inteso ad ottenere l’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato intercorso con la Banca epigrafata nel periodo dal 31 maggio 2001 al 17 ottobre 2003, con mansioni corrispondenti alla qualifica di quadro direttivo di primo livello, ovvero a diversa qualifica ritenuta di giustizia, con pagamento di somme a titolo di retribuzioni per la mensilità di ottobre 2003, a titolo di 13 mensilità e di residuo importo per portafoglio gruppo, e, quanto al licenziamento, la declaratoria di illegittimità del recesso, con ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e condanna della Banca al pagamento della retribuzione pattuita dal giorno del licenziamento a quello della reintegrazione, oltre che dei contributi previdenziali;

1.1 in subordine, la domanda era intesa ad ottenere la tutela meramente risarcitoria e, qualora il rapporto fosse stato qualificato come di agenzia, erano richieste le somme asseritamente dovute per l’impegno assunto dalla Banca alla corresponsione del compenso fisso mensile per cinque anni, residuandone trentadue mesi, nonchè dell’ulteriore importo di Euro 59.803,04 a titolo di differenze ancora da corrispondere a titolo di premio di portafoglio di gruppo;

2.2 la censura formulata in sede di gravame del G. era riferita alla parte della decisione relativa alla domanda subordinata di pagamento delle residue mensilità di compenso provvigionale fisso entro il termine di durata minima garantita, laddove si era sostenuta la violazione delle norme di ermeneutica contrattuale con riferimento all’Accordo Economico del 31.5.2001, allegato al contratto di agenzia, ove era previsto il patto di durata minima di cinque anni in favore dell’agente;

3. la Corte non condivideva l’assunto dell’appellante che vi fosse stato in suo favore il riconoscimento di un “fisso” provvigionale per cinque anni in modo assolutamente incondizionato, in quanto, con l’accordo economico, le parti avevano solo inteso prevedere, in via di miglior favore per il promotore, la possibilità di percepire per i primi cinque anni di eventuale durata del contratto di agenzia, un fisso provvigionale minimo garantito e non certo avevano stipulato una clausola contrattuale diretta ad assicurare al rapporto di agenzia una durata minima, peraltro a garanzia del solo agente;

3.1. sosteneva che il vincolo di collegamento tra contratto principale ed accessorio era tale per cui le vicende del rapporto principale si ripercuotevano sul rapporto accessorio, condizionandone la validità ed efficacia, e che le argomentazioni dell’appellante a proposito dell’applicabilità dei criteri di ermeneutica contrattuale sussidiari erano errate, posto che gli stessi venivano in causa solo ove non fosse stato possibile individuare il senso delle clausole e la volontà effettiva delle parti alla stregua delle regole interpretative degli artt. da 1362 a 1365 c.c., ciò che non si era verificato nel caso considerato, esprimendo il significato della clausola contrattuale, in unione con il tenore del contratto principale, l’assenza di un intento negoziale di rinuncia, in capo ad entrambi i contraenti, per un periodo di tempo predeterminato, ad avvalersi del diritto di recedere dal rapporto;

3.2. la Corte osservava che tale interpretazione non era smentita dalla testimonianza resa dal dirigente della Banca Lombarda, secondo cui il testo contrattuale si riferiva all’ipotesi in cui nessuno dei contraenti avesse esercitato il diritto di recedere;

3.3. peraltro, il contratto di agenzia doveva essere provato per iscritto, sicchè era inammissibile la prova testimoniale;

3.4. la Corte rigettava la censura relativa al mancato riconoscimento della mensilità di ottobre 2003, in quanto ritenuta riferita solo alla domanda di accertamento della subordinazione, nè il diritto poteva ritenersi rivendicato in forza di una estensione della domanda con la quale si chiedeva il pagamento della mensilità anche a titolo di fisso provvigionale, rigettata dal giudice di primo grado;

3.5. quanto alle somme richieste a titolo di premio portafoglio gruppo, dalla mera lettura della clausola non era dato pervenire all’accoglimento della richiesta, connotata da assoluta genericità e supportata da conteggi unilateralmente predisposti dal ricorrente;

4. di tale decisione domanda la cassazione il G., affidando l’impugnazione a cinque motivi, variamente articolati, cui resiste, con controricorso, la Banca, che propone ricorso incidentale con un motivo condizionato ed altro autonomo; per resistere a quest’ultimo il G. ha depositato proprio controricorso;

5. entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

RICORSO PRINCIPALE:

1. con il primo motivo, il G. denunzia violazione o falsa applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362,1363,1369 e 1366 c.c., nonchè delle norme e principi in tema di qualificazione del contratto; deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., per motivazione meramente apparente o manifestamente contraddittoria (art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5) relativamente al punto in cui la sentenza procede alla qualificazione dell’AEC integrativo del 31.5.2001 ed alla ricostruzione dei rapporti tra quest’ultimo ed il mandato di promotore finanziario, sull’assunto che le pattuizioni ad personam oggetto di negoziazione specifica e contenute nell’accordo economico successivo al mandato erano destinate a prevalere sulle condizioni “standard” del mandato di promotore finanziario;

1.1. il ricorrente evidenzia come l’accordo economico prevedeva non solo il riconoscimento di un fisso provvigionale di 21 milio per un periodo di cinque anni dalla data di conferimento del mandato, ma anche la valorizzazione al 24 mese di rapporto del “premio portafoglio” nelle sue voci “personale” e di “gruppo” ed il relativo tempo di pagamento, ciò che costituiva indice di stabilità convenzionale del rapporto e temporanea rinuncia della Banca al recesso se non per giusta causa;

1.2. sostiene che a nulla rilevino le generali previsioni del mandato di promotore sulla libera recedibilità, in presenza di pattuizioni confliggenti contenute nell’accordo economico, destinate, per volontà espressa dalle parti, ad integrare e modificare il primo;

2. con il secondo motivo, il G. lamenta violazione o falsa applicazione dei criteri di interpretazione del contratto, con particolare riferimento a quelli di cui agli artt. 1369 e 1366 c.c., omessa pronuncia su motivo di appello in violazione dell’art. 112 c.p.c., ovvero omesso esame circa un fatto decisivo, rilevando la mancata verifica, da parte della Corte territoriale, degli ulteriori criteri ermeneutici ex artt. 1369 e 1366 c.c., per essere stata la valutazione compiuta con riguardo al solo criterio letterale e per avere il giudice omesso l’applicazione dei criteri di interpretazione funzionale e di interpretazione secondo buona fede;

2.1. assume che, risultando documentalmente che il G. era stato “ingaggiato” dalla Banca per costituire ex novo nella provincia di Frosinone una struttura della rete commerciale, era evidente che l’intenzione del predetto era quella di assicurarsi il trattamento economico convenuto per il periodo minimo di cinque anni, come confermato anche in sede di istruttoria orale;

2.2. adduce che era stata omessa l’applicazione dell’art. 1369 c.c., ai fini dell’interpretazione funzionale e, comunque, omesso l’esame circa un fatto decisivo, escludendosi l’ammissibilità della testimonianza resa da dirigente della Banca in violazione del disposto dell’art. 2725 c.c. e art. 2724 c.c. n. 3, ai fini dell’accertamento della comune volontà delle parti risultante da contratto scritto ad probationem;

2.3. altro criterio valutativo disatteso era, secondo il ricorrente, quello previsto dall’art. 1366 c.c., che impone una interpretazione secondo buona fede ed aggiunge che era stata conferita rilevanza dirimente alle parole “valido in costanza di mandato”, laddove il recesso doveva ritenersi consentito solo per giusta causa o impossibilità sopravvenuta della prestazione;

3. il terzo motivo ascrive alla decisione impugnata violazione o falsa applicazione delle norme e principi in tema di rinuncia al recesso e di clausole di stabilità convenzionale di rapporti di durata, nella specie di agenzia; violazione delle regole di buona fede e correttezza e di solidarietà contrattuale, di cui agli art. 1175 c.c. e art. 1375 c.c. e art. 2 Cost. nella fase di esecuzione del contratto, in relazione alla comunicazione di recesso da parte della Banca, osservandosi come, pure a fronte delle anomalie motivazionali denunziate, la sentenza abbia dichiarato legittimo il recesso del 14.10.2003, che era, invece, in virtù della clausola esaminata, da qualificare come ante tempus rispetto alla convenuta stabilità convenzionale, con riguardo anche ai patti contenuti nell’accordo economico concernenti la valorizzazione al 24 mese del premio portafoglio, la liquidazione del premio al 24 mese e, dopo ulteriori 12 mesi, della seconda rata; a sostegno si richiama giurisprudenza di legittimità (Cass. 18376/2009; 17817/2005, 1158/1997) che conforterebbe la possibilità di inserire legittimamente una clausola di durata minima, prevedendo, a fronte di anticipato recesso, l’obbligo della parte recedente di risarcimento del danno;

3.1. si aggiunge che nella specie il recesso era del tutto immotivato e quindi si poneva in violazione anche delle norme di correttezza e buona fede.

4. con il quarto motivo, si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 345 c.p.c., error in procedendo con riguardo alla inammissibilità affermata in relazione alla novità della domanda intesa alla corresponsione del compenso per la mensilità di ottobre 2003, ritenuto ancorato alla richiesta di accertamento di un rapporto di lavoro subordinato, nella specie escluso;

4.1. si sostiene che la domanda doveva essere interpretata con riguardo al suo contenuto sostanziale e che la domanda subordinata era relativa al fisso provvigionale per il mese di ottobre 2003, anche per l’ipotesi di ritenuta legittimità del recesso della Banca, avvenuto già a mese inoltrato;

5. il quinto motivo attiene alla dedotta nullità della sentenza, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c., per motivazione meramente apparente, o manifestamente contraddittoria, affetta da grave anomalia, violazione dell’art. 115 c.p.c., in sè ed in combinato disposto con l’art. 416 c.p.c., con riferimento al rigetto della domanda coltivata dal G. nel terzo motivo di gravame concernente il pagamento del residuo portafoglio di gruppo per Euro 59.803,04;

6. i primi tre motivi, da trattarsi congiuntamente per l’evidente connessione delle questioni che ne costituiscono l’oggetto, sono in parte inammissibili per la preclusione derivante da una doppia conforme ex art. 348 ter c.p.c., comma 5, con riguardo alla deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 e per il resto inammissibili, per essere la interpretazione effettuata dalla Corte territoriale osservante dei criteri ermeneutici contrattuali che privilegiano l’applicazione delle regole di cui agli artt. 1363 e 1365 c.c., solo in via sussidiaria prevedendosi il ricorso agli ulteriori criteri interpretativi e comunque, con riferimento al testo dell’accordo economico, è corretto quanto argomentato in ordine al travisamento del tenore letterale dello stesso, che si limita a disciplinare gli aspetti economici del rapporto con riguardo al fisso provvigionale convenuto ed al trattamento di miglior favore garantito all’agente per l’ipotesi di superamento dello stesso, con possibilità di rinunciare al fisso minimo garantito: tanto è sufficiente per ritenere non idonee le censure a scalfire l’impianto motivazionale della decisione, configurandosi come connotato da assoluta novità il richiamo effettuato solo in sede di gravame alla fattispecie del contratto per adesione ed alla predisposizione unilaterale;

7. in ordine al quarto motivo, la giurisprudenza richiamata in sentenza, Cass. 26687/2005 afferma che: “Il carattere normalmente unitario della domanda risarcitoria per equivalente pecuniario – il cui oggetto è, di regola, rappresentato dalla perdita patrimoniale e non patrimoniale subita dal danneggiato nella sua globalità e non nei singoli elementi che lo compongono – implica la necessità di considerare la domanda risarcitoria, fondata sul dedotto illecito del convenuto, comprensiva di tutte le possibili voci di danno da esso originate (e non solo alcune di esse) in tutti i casi in cui non risulti il contrario attraverso una manifestazione esplicita, intervenuta “ab origine” e concretantesi nella precisazione che la somma globalmente pretesa, ovvero i singoli importi riferiti a specifiche voci, non esauriscono l’intero danno patito, nonchè nella esplicita riserva di rinviare ad altro procedimento il soddisfacimento delle ulteriori ragioni di credito temporaneamente accantonate, di modo che sia inequivocamente rivelato che la parte, avvalendosi del suo potere dispositivo, abbia inteso agire solo per una parte del suo credito. In assenza di una tale univoca dichiarazione, dovrà ritenersi preclusa la possibilità di una nuova azione, funzionale al risarcimento di altri danni derivanti dal medesimo illecito pur se in relazione a voci nuove e diverse da quelle esposte nel precedente giudizio, attesa la preclusione derivante dal primo giudicato”;

7.1. tanto premesso, la pretesa, con riferimento a quanto indicato nel ricorso originario, doveva essere specificata ritrascrivendo i passaggi rilevanti dell’atto introduttivo della lite, in ossequio al principio di specificità, al fine di consentire la valutazione sollecitata, ovvero se la stessa fosse collegata unicamente alla prospettazione dell’asserita esistenza del patto di durata minima garantita;

8. il quinto motivo contiene una censura connotata da assoluta genericità, in quanto non si indica neanche il contenuto dei tabulati richiamati e si invocano erroneamente norme di cui si assume la violazione, che non trovano spazio in relazione a doglianze che si limitano a ripercorrere aspetti valutativi del fondamento della pretesa vantata a titolo di “portafoglio di gruppo”, ulteriore rispetto a quelle che avevano trovato soddisfazione in sede di decreto ingiuntivo ottenuto passato in giudicato;

RICORSO INCIDENTALE:

9. è denunciata, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., per ritenuta erroneità del capo di sentenza che, nel rigettare l’eccezione preliminare della convenuta, ha ritenuto il gravame del G. ammissibile in relazione agli oneri di specificità richiesti dal novellato art. 434 c.p.c.;

10. con il secondo motivo, ci si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., con riguardo al capo della decisione in sede di gravame che ha riformato quella di primo grado nella parte in cui quest’ultima aveva ritenuto che l’esistenza del decreto ingiuntivo esonerasse da ogni ulteriore valutazione della domanda di pagamento di residui compensi maturati a titolo di premio di portafoglio: si assume che la pretesa non potesse essere esaminata e che la clausola di riserva non era stata riportata in appello nella sua interezza, e ciò nonostante che la sentenza della Corte d’appello abbia rigettato il motivo formulato al riguardo dal G.;

11. il primo motivo è condizionato, essendone l’esame sollecitato solo per l’ipotesi di accoglimento di uno dei motivi del ricorso principale ed, in ogni caso, ancor prima, pecca di specificità;

12. analogamente, il secondo motivo non è sorretto da alcun interesse all’impugnativa della sentenza in parte qua, interesse che non può ritenersi persistere una volta respinto l’ultimo motivo del ricorso principale;

13. in conclusione, deve pervenirsi alla declaratoria di inammissibilità di entrambi i ricorsi;

14. le spese del giudizio di legittimità vanno compensate, avuto riguardo alla reciproca soccombenza;

15. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e di quello incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara entrambi i ricorsi inammissibili e compensa tra le parti le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma del citato D.P.R. art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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