Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32984 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 13/12/2019, (ud. 24/09/2019, dep. 13/12/2019), n.32984

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29396-2015 proposto da:

T.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIUSEPPE FERRARI;

– ricorrente –

contro

ENI S.P.A., già PETROLI S.P.A., in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIUSEPPE

MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato LUCIO NICOLAIS, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 695/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 16/12/2014 R.G.N. 3326/2014.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. La Corte di appello di Ancona ha confermato la sentenza del Tribunale di Macerata che aveva rigettato la domanda con la quale T.G. aveva chiesto che si accertasse l’esistenza di un rapporto di agenzia con AGIP Petroli s.p.a., poi incorporata da ENI s.p.a., nel periodo dal 1 gennaio 1999 al 31 dicembre 2000 ed aveva chiesto la condanna dell’Eni s.p.a.: al pagamento in suo favore delle provvigioni maturate e non liquidate e delle indennità di preavviso e suppletiva di clientela non corrisposte, per un importo complessivo di Euro 446.874,00 oltre accessori; al pagamento dei contributi Enasarco spettanti nel periodo 1 gennaio -31 maggio 1999; al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla condotta della società in violazione dei doveri di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c.. In subordine aveva chiesto poi che il rapporto, nel periodo 1 gennaio -31 maggio 1999 fosse qualificato come collaborazione e che, perciò, la convenuta fosse condannata al pagamento per i titoli indicati alle somme dovute in relazione al più breve periodo e comunque a rifondere le somme corrisposte nel primo periodo agli agenti per un importo pari ad Euro 38.120,72.

2. La Corte territoriale ha escluso che fosse stata offerta la prova dell’esistenza tra le parti di un rapporto di agenzia ed ha ritenuto che l’attività di procacciatore di affari non dava titolo alla percezione delle indennità chieste. Ha poi evidenziato che dalla documentazione prodotta era emerso un contratto di agenzia “extrarete” per il quale erano stati riconosciuti i premi dovuti.

3. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il T. che articola quattro motivi ai quali resiste con controricorso Eni s.p.a.. La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

4. Con il primo articolato motivo di ricorso è denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 1742 c.c., comma 2 e dell’art. 2724 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

4.1. Sostiene il ricorrente che la Corte di appello avrebbe trascurato di valutare tutti gli elementi emersi nel corso dell’istruttoria in primo grado e la documentazione depositata in appello dai quali emergevano con chiarezza le caratteristiche del rapporto intercorso tra le parti nel periodo dal 1 gennaio al 30 maggio 1999 e che, in assenza di prova di un contratto scritto ben potevano essere utilizzati per dimostrare l’esistenza di una collaborazione non episodica.

4.2. Deduce che la sentenza sarebbe nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la Corte di merito, in violazione dell’art. 116 c.p.c. e con una errata valutazione delle prove acquisite al processo, ritenuto immotivatamente che il ricorrente era rimasto inattivo nel primo quadrimestre del 1999 e che l’attività prestata nel mese di maggio 1999 poi doveva essere qualificata come procacciamento di affari.

4.3. Evidenzia che falsamente applicando l’art. 1742 c.c., comma 2, ha ritenuto che il contratto scritto fosse necessario ad probationem sebbene la prestazione sia stata resa in epoca antecedente all’entrata in vigore delle modifiche apportate dal D.Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, art. 1, che tale requisito hanno previsto.

5. Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

5.1. Premesso che ai sensi dell’art. 1742 c.c., comma 2, come modificato dal D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303 il contratto di agenzia deve essere provato per iscritto (cfr. Cass. 16/03/2015 n. 5165) e che, se il preponente svolge attività di carattere commerciale, la forma scritta è richiesta anche se stipulato prima dell’entrata in vigore della modifica dell’art. 1742 c.c., introdotta col D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, di attuazione della direttiva CEE n. 86/653, a norma del quale ciascuna parte ha il diritto di ottenere dall’altra una copia del contratto dalla stessa sottoscritto. La forma scritta è stata prevista dall’art. 2, comma 3, dell’Accordo Economico Collettivo del 18 gennaio 1977, nonchè dall’art. 2, comma 3 del successivo Accordo del 24 giugno 1981, entrambi relativi al rapporto di agenzia del settore commercio ed essendo prevista da una fonte negoziale, deve ritenersi prescritta “ad probationem” – atteso che la prescrizione della forma “ad substantiam” è riservata esclusivamente al legislatore. In mancanza di essa, è valida l’esecuzione volontaria del contratto, la conferma di esso e la sua ricognizione volontaria, come pure la possibilità di ricorrere alla confessione ed al giuramento ma si deve escludere la possibilità della prova testimoniale, fatta eccezione della dimostrazione della perdita incolpevole del documento, e di quella per presunzioni (cfr. Cass. 06/05/1996 n. 4167 e 21/05/1997 n. 4540).

5.2. Quanto alla denunciata violazione dell’art. 116 c.p.c., si osserva che una censura relativa alla violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. non può porsi, come pretende l’odierno ricorrente, per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. Cass. 17/01/2019 n. 1229 e 27/12/2016n. 27000).

6. Il secondo motivo di ricorso con il quale il T. deduce che la Corte di merito avrebbe omesso l’esame dei motivi di appello relativi all’istanza di pagamento delle provvigioni maturate nel periodo dal 1 giugno 1999 al 30 dicembre 2000 e delle conseguenti indennità suppletiva di clientela e di preavviso è del pari infondato atteso che la Corte territoriale non ha preso in esame le censure per l’assorbente ragione che ha escluso che fosse risultata provata l’esistenza tra le parti di un rapporto di agenzia e comunque che vi fosse la prova di una attività che avrebbe potuto giustificare l’erogazione delle provvigioni chieste. Per addivenire a tale accertamento la Corte di merito ha proceduto ad una ricostruzione del materiale istruttorio acquisito al giudizio, con la discrezionalità che le è propria ed ha correttamente omesso di provvedere sulle questioni rimaste assorbite dal rigetto della domanda presupposta. Si tratta di una ipotesi di c.d. assorbimento improprio che si configura nel caso in cui la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande. Come affermato da questa Corte (cfr. Cass. n. 28995 del 12/11/2018n. 28995) l’assorbimento non comporta, come qui denunciato, un’omissione di pronuncia (se non in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita (nello specifico di rigetto) anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento.

7. Del pari infondato è il terzo motivo di ricorso con il quale, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è denunciato l’omesso esame dei motivi di appello articolati con riguardo alla reiezione del domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali.

7.1. Anche a voler tralasciare i profili di inammissibilità della censura, che trascura di specificare il contenuto della sentenza di primo grado e non riproduce il motivo di appello, va in ogni caso rilevato che si tratta di domanda di risarcimento del danno che presuppone l’accertamento di un inadempimento contrattuale che la Corte territoriale ha escluso. Manca la dimostrazione della condotta causativa del danno e dunque nessuna indagine ulteriore doveva essere svolta.

8. Deve essere invece accolto l’ultimo motivo di ricorso con il quale il ricorrente deduce che la Corte di merito avrebbe omesso di pronunciare sulle censure che investivano la sentenza di primo grado relativamente alla refusione delle spese sostenute dal ricorrente per la gestione dell’Agenzia dell’Agip Petroli di Macerata.

9. La Corte territoriale pur dando atto nella sentenza della richiesta di condanna formulata (v. pag. 2 punto 4 delle conclusioni) trascura di prendere in esame la domanda e omette qualsivoglia pronuncia sul punto.

10. Ne segue che la sentenza deve essere al riguardo cassata e rinviata alla Corte di appello di Ancona che, in diversa composizione, esaminerà la censura con la quale il ricorrente ha chiesto, per il caso di conferma della sentenza quanto alla qualificazione del rapporto, la domanda di rifusione delle somme corrisposte ai collaboratori dell’Agenzia Agip Petroli s.p.a. di Macerata per le prestazioni rese dal 1 gennaio al 31 maggio 1999. Alla Corte del rinvio è demandata altresì la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie l’ultimo motivo di ricorso, rigettati gli altri. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 24 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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