Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32983 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 13/12/2019, (ud. 26/06/2019, dep. 13/12/2019), n.32983

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20566/2015 proposto da:

SOCIETA’ REALE MUTUA DI ASSICURAZIONI, in persona del legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

MONTE ASOLONE 8, presso lo studio dell’avvocato MILENA LIUZZI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI GAZZOLA;

– ricorrente –

contro

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI

88, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO DE BONIS, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE NICOLOSI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 638/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 07/07/2015 R.G.N. 1228/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. con sentenza n. 638 pubblicata il 7.7.2015 la Corte d’appello di Catania, in accoglimento dell’appello proposto da M.S., agente di assicurazioni, e in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato la Società Reale Mutua Assicurazioni al pagamento in favore del predetto della somma di Euro 302.697,79 a titolo di indennità di mancato gradimento, di cui all’art. 7 lett. D) dell’accordo aziendale di Esclusiva Marchio, oltre accessori di legge;

2. la Corte territoriale ha riportato le previsioni del citato accordo aziendale il cui art. 3 prevede che “l’impresa si impegna a concedere l’ingresso di un figlio, dopo il compimento del 25 anno, nell’agenzia del padre, in forma di coagenzia a condizione che sussistano i seguenti requisiti: sia stato inserito in agenzia da almeno due anni…; sia in possesso dell’iscrizione all’albo nazionale degli agenti di assicurazione. Qualora l’impresa esprima il non gradimento all’ingresso del figlio… troverà applicazione l’art. 7, lett. D)”; quest’ultima norma contrattuale prevede, per il caso di mancato gradimento, la corresponsione di una indennità supplementare pari al 60% della media dei corrispettivi liquidati negli ultimi tre esercizi;

3. ha dato atto della richiesta, avanzata dal M. con lettera dell’8.8.2006, di inserimento del figlio ( M.G.) nella gestione agenziale e della risposta della società che prevedeva un periodo di osservazione di dodici mesi, nel corso del quale sarebbero state effettuate “verifiche sull’attività del candidato e sul livello progressivo di maturazione professionale”; ha aggiunto che il M., interpretata tale risposta come rifiuto del gradimento, aveva comunicato il recesso dal rapporto di agenzia e chiesto il pagamento dell’indennità di cui al citato art. 7, lett. D);

4. ha dato atto della decisione del Tribunale che aveva respinto la domanda per un duplice ordine di ragioni: anzitutto, aveva escluso che la condotta della società, specie in esito ad un incontro appositamente fissato tra le parti, potesse essere letta come espressione di non gradimento; aveva poi ritenuto non dimostrato il requisito di iscrizione di M.G. all’albo nazionale agenti, giudicando tardiva la produzione documentale effettuata dal ricorrente con note depositate prima della prima udienza;

5. la Corte d’appello ha riformato la sentenza di primo grado interpretando la risposta della società come equivalente ad un “non gradimento”; ha poi, con esercizio dei poteri d’ufficio di cui agli artt. 421 e 437 c.p.c., acquisito il documento attestante l’iscrizione di M.G. all’albo degli agenti; ha motivato la sussistenza dei presupposti per l’acquisizione del documento rilevando come il ricorrente avesse allegato nel ricorso introduttivo di primo grado il fatto dell’iscrizione del figlio all’albo, indicando anche il numero di iscrizione; ha aggiunto che l’avvenuta iscrizione non era mai stata contestata dalla società nella fase pregiudiziale, nell’ampia corrispondenza intercorsa tra le parti e nell’incontro tra le stesse del gennaio 2007; ha precisato come il documento fosse stato allegato ad alcune note depositate in cancelleria l’8.1.2009, prima della prima udienza fissata per il 14.1.2009;

6. avverso tale sentenza la Società Reale Mutua di Assicurazioni ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico articolato motivo, cui ha resistito con controricorso il M.;

7. entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

8. con l’unico motivo di ricorso la Società Reale Mutua di Assicurazioni ha censurato la sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per violazione degli artt. 115,421,434,437 c.p.c.;

9. ha sostenuto come la Corte di merito avesse erroneamente applicato il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., al di fuori dell’ambito processuale, cioè in riferimento alla corrispondenza stragiudiziale tra le parti, e in difetto dei relativi presupposti, poichè la società, nella comparsa di costituzione in primo grado, aveva contestato l’iscrizione di M.G. all’albo degli agenti di assicurazione;

10. ha argomentato la violazione dell’art. 437 c.p.c. (sottolineando l’improprio richiamo nella sentenza d’appello all’art. 421 c.p.c.) per la mancata indicazione del mezzo di prova oggetto dell’ammissione d’ufficio, atteso che la produzione del documento attestante l’iscrizione all’albo era stata dichiarata inammissibile perchè tardiva, con ordine di espunzione del medesimo dal fascicolo processuale;

11. ha comunque dedotto la violazione dell’art. 437 c.p.c., per l’ipotesi in cui si ritenesse acquisito d’ufficio il certificato di iscrizione all’albo, in quanto non si tratterebbe di un “nuovo” mezzo di prova, ma di documento già prodotto in primo grado e considerato non ammissibile per tardività;

12. ha sottolineato come l’agente, per ottenere l’ammissione di un mezzo di prova escluso in primo grado, avrebbe dovuto proporre impugnazione sul punto e non limitarsi a richiederne in secondo grado l’ammissione (adempimento, peraltro, mancante nel caso di specie);

13. il ricorso è infondato, alla luce di una corretta interpretazione della sentenza d’appello;

14. la Corte d’appello ha ritenuto “sussistenti tutti i presupposti per l’esercizio dei poteri d’ufficio ex artt. 421 e 437 c.p.c.”, e tali presupposti ha elencato a pag. 7 nel modo seguente: “per quanto la produzione documentale risulti tardiva, tuttavia… il fatto documentato (è stato) allegato nel ricorso (si veda a pag. 6 dove si indica anche il numero di iscrizione all’albo), ma soprattutto… la circostanza (non è stata) contestata nella fase pregiudiziale e nell’ampia corrispondenza intercorsa tra le parti (in tutte le missive il M. rappresenta che il figlio è iscritto all’albo degli agenti e la società nelle proprie lettere non nega la circostanza, nè risulta che la questione sia stata discussa nell’incontro del gennaio 2007)”;

15. emerge quindi come il ricorrente in primo grado avesse allegato il fatto della iscrizione all’albo professionale agenti, indicando anche il numero di iscrizione, ma non avesse depositato il relativo documento unitamente al ricorso;

16. nel delineare gli oneri di allegazione e prova delle parti nel processo del lavoro, la Corte Cost., con la sentenza n. 13 del 1977, ha affermato, in base alla lettura sistematica del dato normativo, il carattere paritario della disciplina dell’attività defensionale delle parti, rilevando come “la stessa sanzione che per il convenuto si trova espressamente sancita nell’art. 416 c.p.c., deve, invero, ritenersi prevista per l’attore, sia pure in modo implicito, ma non per questo meno chiaro, in base al disposto dell’art. 414, n. 5 e dell’art. 420. Infatti, poichè il comma 5, di questa ultima norma consente al giudice di ammettere all’udienza di discussione, oltre i mezzi di prova già proposti, quelli che la parte e, quindi, anche l’attore non poteva proporre prima, ne consegue che, successivamente alla presentazione del ricorso, non potranno essere ammesse le prove che lo stesso attore poteva e doveva indicare ai sensi dell’art. 414, u.c.”;

17. questa Corte ha più volte affermato come “proprio per accelerare al massimo i tempi del processo del lavoro…il legislatore del 1973 ha imposto… l’onere di ciascuna parte di specificare nei primi rispettivi atti giudiziari (ricorso e memoria di costituzione) non solo i fatti posti a base delle loro rispettive richieste ma anche i mezzi di prova di cui intende avvalersi; nel che è stato ravvisato da alcuni studiosi un rigido e severo corollario del principio dell’allegazione dei fatti… mentre da altri una mera applicazione del c.d. principio dell’eventualità, proprio perchè le parti sono tenute ad indicare i mezzi di prova prima di sapere se i fatti cui essi si riferiscono saranno contestati o meno dalla controparte”, (così Cass., S.U. n. 11535 del 2004, in motivazione);

18. tale rigoroso sistema di preclusioni, che costringe l’attore a produrre ed articolare le prove prima di conoscere quali dei fatti allegati saranno contestati dalla controparte, trova un temperamento, ispirato alla esigenza della ricerca della “verità materiale” cui è doverosamente funzionalizzato il rito del lavoro, nei poteri d’ufficio riconosciuti al giudice;

19. in particolare, con l’art. 421 c.p.c., comma 2, si è inteso affermare che è caratteristica precipua del detto rito speciale il contemperamento del principio dispositivo con le esigenze della ricerca della verità materiale di guisa che, allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il giudice ove reputi insufficienti le prove già acquisite, non può limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti (cfr. in tal senso Cass., S.U. n. 761 del 2002; S.U. n. 11353 del 2004; S.U. n. 8202 del 2005;

20. si è poi precisato che nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli artt. 421 e 437 c.p.c., l’uso dei poteri istruttori da parte del giudice non ha carattere discrezionale, ma costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio il giudice è tenuto a dar conto (cfr. Cass. n. 14731 del 2006; n. 6023 del 2009; n. 25374 del 2017);

21. con particolare riferimento al giudizio di appello, l’art. 437 c.p.c., consente l’esercizio dei poteri d’ufficio in materia di ammissione di nuovi mezzi di prova, ove essi siano indispensabili ai fini della decisione della causa, potere esercitabile pur sempre con riferimento a fatti allegati dalle parti ed emersi nel processo a seguito del contraddittorio delle parti stesse, (Cass. n. 12856 del 2010; n. 20055 del 2016);

22. le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 10790 del 2017) hanno puntualizzato come “nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado”;

23. nella sentenza appena citata si è precisato come l’art. 437 c.p.c., faccia riferimento a prove non solo indispensabili, ma anche “nuove”, quindi non dedotte in primo grado (sebbene debbano essere stati allegati in primo grado i fatti costitutivi, estintivi o impeditivi oggetto di prova): “in nessun caso il potere del giudice d’appello di ammettere la prova indispensabile potrebbe essere esercitato riguardo a prove già in prime cure dichiarate inammissibili perchè dedotte in modo difforme dalla legge o a prove dalla cui assunzione il richiedente sia decaduto a seguito di particolari vicende occorse nel giudizio di primo grado, non essendo queste – a rigori – neppure prove “nuove””, (così S.U. cit., in motivazione; cfr. anche Cass. n. 10487 del 2004; n. 26009 del 2010);

24. nel caso di specie, come correttamente rilevato dalla società ricorrente, il documento attestante l’iscrizione all’albo degli agenti non poteva considerarsi prova nuova, in quanto già prodotta in primo grado e in quella sede dichiarata inammissibile per tardività;

25. tuttavia, alla luce della motivazione adottata dalla Corte d’appello attraverso l’esplicito riferimento anche all’art. 421 c.p.c., deve ritenersi come quest’ultima non abbia inteso esercitare i poteri di ammissione di prove nuove in appello, ma abbia riformato la decisione del Tribunale laddove aveva dichiarato tardiva la produzione senza fare ricorso ai poteri istruttori d’ufficio, nonostante la sussistenza di tutti i presupposti di cui all’art. 421 c.p.c., che la Corte di merito ha puntualmente indicato ed esaminato;

26. in tal senso depone, in maniera chiara, l’ultimo capoverso di pag. 7 della sentenza impugnata che, dopo aver rilevato la formale tardiva produzione documentale, ha “tuttavia” dato conto di una serie di elementi che, se pure attinenti alla fase pregiudiziale e quindi estranei al meccanismo processuale di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., rendevano non prevedibile, secondo criteri di legittimo affidamento, la contestazione da parte della società dell’iscrizione di M.G. all’albo degli agenti;

27. la Corte di merito ha, nella sostanza, censurato il mancato esercizio dei poteri ufficiosi del giudice di primo grado rilevando come, a fronte della puntuale allegazione contenuta in ricorso, la produzione documentale sulla iscrizione all’albo era stata effettuata dall’agente prima della prima udienza di discussione, quindi nella prima difesa utile dopo la contestazione nella memoria costituiva della società; ha evidenziato come tale contestazione fosse non prevedibile alla luce della condotta tenuta dalla società che, nella fase pregiudiziale, non aveva mai messo in dubbio l’iscrizione di M.G. all’albo degli agenti;

28. la Corte di merito ha in tal modo correttamente contemperato le preclusioni del rito del lavoro con l’esigenza di ricerca della verità, in una fattispecie in cui, ferma la puntuale allegazione dei fatti costitutivi del diritto azionato, l’onere di produzione documentale non era stato tempestivamente assolto in relazione ad una circostanza la cui contestazione, in base al legittimo affidamento generato dalla protratta condotta stragiudiziale della controparte, non era logicamente prevedibile;

29. così interpretata, la sentenza d’appello risulta pienamente conforme ai principi di diritto sopra enunciati, con conseguente infondatezza delle censure articolate nel ricorso in esame, che deve pertanto essere respinto;

30. la regolazione delle spese del giudizio di legittimità segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo;

31. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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