Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3298 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/02/2020, (ud. 25/09/2019, dep. 11/02/2020), n.3298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12105-2018 proposto da:

L.D., elettivarnente domiciliato in ROMA, VIA MARROCCO

18, presso lo STUDIO LEGALE TRIVOLI & ASSOCIATI, rappresentato e

difeso dagli avvocati GIUSEPPE CACCIATO, GIANLUCA IVIARIS;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE 06363391001, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5973/16/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE del LAZIO, depositata il 17/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 25/09/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PIERPAOLO

GORI.

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza n. 5973/16/17 depositata in data 17 ottobre 2017 la Commissione tributaria regionale del Lazio accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 12659/53/16 della Commissione tributaria provinciale di Roma, che aveva a sua volta accolto il ricorso proposto da L.D. relativamente all’avviso di accertamento IVA 2002, ritenendo il contribuente amministratore di fatto della società Clover Communication Limited, società esterovestita irlandese ma operante in Italia;

– Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il contribuente deducendo due motivi. l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo di ricorso – dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 -, il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, per motivazione apparente della parte della sentenza in cui i giudici di appello argomentano sulla qualifica di amministratore di fatto della società Clover Communication Limited in capo al contribuente;

– Il mezzo di impugnazione è infondato. La Corte reitera l’insegnamento secondo cui “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass. Sez. Un. 3 novembre 2016 n. 22232);

– Nel caso di specie, la motivazione della CTR individua l’oggetto della ripresa a tassazione, ricostruisce in fatto in modo succinto il contenuto del processo e dell’appello, e rende una articolata argomentazione sulla qualifica di amministratore di fatto in capo al contribuente unitamente alla qualifica della società da lui amministrata come estero-vestita in una decina di capoversi all’interno della parte motiva della sentenza. In tale ampio arco argomentativo si fa tra l’altro riferimento – a sostegno di tali qualificazioni – ad una pluralità di evidenze istruttorie, tra cui il p.v.c., i risultati delle indagini penali, e documentazione acquisita in sede di rogatoria internazionale. Sulla base di tali elementi, la CTR ha ricostruito l’attività della Clover Communication Limited in termini di mero soggetto interposto tra fornitori esteri di prodotti cinematografici e televisivi e le società italiane e quella del contribuente come amministratore di fatto, e ciò esclude ampiamente la presenza di mere affermazioni assertive e apodittiche come lamentato in ricorso;

– Con il secondo motivo di ricorso – dedotto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -, il contribuente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2639 c.c., per aver la CTR erroneamente ritenuto dimostrata, sulla base degli elementi agli atti, l’esistenza dei presupposti per la qualifica in capo al contribuente della qualità di amministratore di fatto;

– Preliminarmente va osservato, in relazione alla deduzione di erra-

ta articolazione della motivazione circa l’esistenza dei presupposti per la qualifica di amministratore di fatto, che la stessa doveva essere censurata ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, e non del n. 3, in quanto non vi si fa questione della non corretta applicazione del canone di riparto dell’onere della prova, ma di erronea valutazione di ciò che è sufficiente ai fini del riconoscimento dello status in capo al contribuente. Tuttavia, anche riqualificato ai sensi del n. 5, il motivo è inammissibile, alla luce nella nuova formulazione del paradigma in questione. Va infatti rammentato che: “Nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il sindacato di legittimità sulla motivazione è ridotto al “minimo costituzionale”, restando riservata al giudice del merito la valutazione dei fatti e l’apprezzamento delle risultanze istruttorie, ma la Corte di cassazione può verificare l’estrinseca correttezza del giudizio di fatto sotto il profilo della manifesta implausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze e, pertanto, può sindacare la manifesta fallacia o non verità delle premesse o l’intrinseca incongruità o contraddittorietà degli argomenti, onde ritenere inficiato il procedimento inferenziale ed il risultato cui esso è pervenuto, per escludere la corretta applicazione della norma entro cui è stata sussunta la fattispecie” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 16502 del 05/07/2017 – Rv. 644818 – 01);

– Orbene, se è vero che la CTR non individua espressamente singoli atti gestori, il giudice di appello nondimeno ricostruisce con adeguata precisione gli elementi indiziari a sostegno di tale conclusione, non solo escludendo l’attività professionale dell’amministratore formale, ma anche in relazione alla posizione specifica del contribuente con riferimento ai rapporti di affari intercorrenti tra i due soci, al pvc (a pag.12) posto a base dell’atto impositivo proprio in ordine ai diritti televisivi di cui alla ripresa, e alle risultanze di specifica sentenza penale della Corte di Cassazione 29 agosto 2013 n. 35729 “circa la posizione e l’attività svolta dal sig. L. nella gestione dei c.d. diritti televisivi” (cfr. p.3 sentenza gravata). All’evidenza, la motivazione, nei passaggi sopra richiamati non si colloca al di sotto del minimo costituzionale sindacabile ai sensi del nuovo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sulla base dei principi giurisprudenziali richiamati;

– Al rigetto del ricorso segue il regolamento delle spese di lite secondo soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente alla rifusione alla controricorrente delle spese di lite, liquidate in Euro 6.000,00 per compensi, oltre Spese generali 15%, Iva e Cpa.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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