Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32973 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 13/12/2019, (ud. 11/07/2019, dep. 13/12/2019), n.32973

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17761-2018 proposto da:

MINISTERO DELLA DIFESA (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

T.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE 95, presso lo studio dell’avvocato RITA BRUNO, rappresentato

e difeso dall’avvocato LORENZO CILIENTO;

– controricorrente –

Contro

M.C.M.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1265/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 5/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/07/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SCRIMA

ANTONIETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Lecce, con sentenza n. 3779/14, rigettò la domanda, proposta da T.S. nei confronti di M.C.M. e il Ministero della Difesa, di risarcimento dei danni per la perdita dell’integrità psichica e per i pregiudizi patiti mentre era in servizio di leva, a causa della condotta del M.C., comandante di plotone presso l’aeroporto militare di (OMISSIS), ritenendo, sulla base delle risultanze della espletata c.t.u., che l’attore avesse sviluppato la patologia psicotica in maniera del tutto autonoma rispetto al fatto per cui è causa e che le lesioni certificate non fossero in rapporto causale con il fatto lesivo e compensò le spese di lite.

Avverso tale sentenza il T. propose gravame, cui si oppose il Ministero, che propose pure appello incidentale condizionato per l’esclusione della propria responsabilità in caso dell’accoglimento dell’appello principale, sostenendo che il comportamento del M.C. fosse del tutto privo di ogni collegamento di necessaria occasionalità con le mansioni esercitate dal M. Ciullo; quest’ultimo, invece, rimase contumace.

La Corte di appello di Lecce, con sentenza n. 1265/17, depositata il 5 dicembre 2017, accolse, per quanto di ragione, l’impugnazione proposta e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, condannò M.C.M. e il Ministero della Difesa, in solido tra loro, al pagamento, in favore del T., della somma di Euro 20.000,00, oltre interessi legati dalla pubblicazione di quella sentenza al saldo, rigettò l’appello incidentale del Ministero, compensò per tre quarti le spese del doppio grado di giudizio e condannò gli appellati, in solido tra loro, al pagamento del restante quarto in favore dell’appellante principale e pose le spese delle c.t.u. espletate nei due gradi di giudizio a carico del T..

In particolare, la Corte di merito ritenne non fondato il primo motivo di gravame proposto dal T. e volto all’accertamento che le patologie di carattere psichico da cui era affetto fossero in relazione causale con le vessazioni e i maltrattamenti subiti durante l’espletamento del servizio di leva, avendo anche il C.T.U., nominato in secondo grado, affermato che il T. era affetto da una “condizione psicopatologica di relativo compenso psicofarmacologico rispetto ai disturbi dello spettro psicotico documentati in atti, in cui emerge in particolare sintomatologia disforco-ansiosa e ridotta capacità di insight” e a che tale patologia “non e(ra) riconducibile in termini causali all’evento o agli eventi psico-traumatici emersi”.

Quella Corte accolse, invece, il secondo motivo di gravame sull’omessa pronuncia in ordine alla domanda di risarcimento del danno alla dignità della persona e affermò la responsabilità solidale del Ministero al riguardo, ritenendo sussistente un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate dai M.C., in tal modo rigettando l’appello incidentale del Ministero.

Avverso a sentenza della Corte di merito il Ministero della Difesa ha proposto ricorso per cassazione basato su un unico motivo, cui ha resistito T.S. con controricorso.

L’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

La proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione de(gli) art(t.) 2043 e 2059 c.c., dell’art. 28 Cost. e dell’art. 654 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”, il ricorrente sostiene che la Corte di merito sia incorsa nella violazione e falsa applicazione delle norme denunciate “per aver affermato la riferibilità all’amministrazione, nella ritenuta sufficienza di un nesso di occasionalità necessaria, di un fatto penalmente rilevante del cui accertamento a carico del M.C. ha riconosciuto gli effetti in questa sede”. Ad avviso del Ministero, invece, “proprio in ragione della condanna penale subita per i fatti come descritti e ricondotti al reato di maltrattamenti, il vincolo di immedesimazione doveva e deve ritenersi interrotto”.

Sostiene il ricorrente che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, affinchè ricorra la responsabilità della P.A. per un fatto lesivo posto in essere dal proprio dipendente, deve sussistere, oltre al nesso di causalità tra il comportamento e l’evento dannoso, anche la riferibilità all’Amministrazione del comportamento stesso, la quale presuppone che l’attività posta in essere dal dipendente sia e si manifesti come esplicazione dell’attività dell’ente pubblico e cioè tenda, pur se con abuso di potere, al conseguimento dei fini istituzionali di questo nell’ambito delle attribuzioni dell’ufficio o del servizio cui il dipendente è addetto; e che tale riferibilità viene meno, invece, quando il dipendente agisca come un semplice privato per un fine strettamente personale ed egoistico che si riveli assolutamente estraneo all’Amministrazione o addirittura contrario ai fini che essa persegue ed escluda ogni collegamento con le attribuzioni proprie dell’agente, atteso che in tale ipotesi cessa il rapporto organico tra l’attività del dipendente e la P.A..

Sostiene il Ministero che, pertanto, in nessun caso i fatti ascritti penalmente al M.C. e la condotta di cui all’accertamento penale possano configurarsi quali fatti non contrari ai fini perseguiti dall’Amministrazione militare, nè tanto meno l’accertata commissione di un reato di per sè stessa possa mai essere considerata compito istituzionale.

1.1. Il motivo va rigettato.

1.2. Le Sezioni Unite di questa Corte, alle quali è stata rimessa la questione, ritenuta oggetto di giurisprudenza non univoca, sulla “sussistenza o meno della responsabilità civile della pubblica amministrazione per i fatti illeciti dei propri dipendenti, qualora il dipendente, profittando delle sue precipue funzioni, commetta un illecito penale per finalità di carattere esclusivamente personale”, con la sentenza n. 13246 del 16 maggio 2019, hanno, in sintesi, affermato che, al riguardo, “occorre… postulare una natura composita della responsabilità dello Stato o dell’ente pubblico per il fatto illecito del dipendente o funzionario, per applicare i principi della responsabilità indiretta elaborati per l’art. 2049 c.c. all’attività non provvedimentale (o istituzionale) della pubblica amministrazione; e, in base ad essi, affermarne la concorrente e solidale responsabilità per i danni causati da condotte del preposto pubblico definibili come corrispondenti ad uno sviluppo oggettivamente non improbabile delle normali condotte di regola inerenti all’espletamento delle incombenze o funzioni conferite, anche quale violazione o come sviamento o degenerazione od eccesso, purchè anche essi prevenibili perchè oggettivamente non improbabili.

… Sono pertanto fonte di responsabilità dello Stato o dell’ente pubblico anche i danni determinati da condotte del funzionario o dipendente, pur se devianti o contrarie rispetto al fine istituzionale del conferimento del potere di agire, purchè:

– si tratti di condotte a questo legate da un nesso di occasionalità necessaria, tale intesa la relazione per la quale, in difetto dell’estrinsecazione di detto potere, la condotta illecita dannosa – e quindi, quale sua conseguenza, il danno ingiusto – non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base al giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta;

nonchè:

– si tratti di condotte raffigurabili o prevenibili oggettivamente, sulla base di analogo giudizio, come sviluppo non anomalo dell’esercizio del conferito potere di agire, rientrando nella normalità statistica pure che il potere possa essere impiegato per finalità diverse da quelle istituzionali o ad esse contrarie e dovendo farsi carico il preponente delle forme, non oggettivamente improbabili, di inesatta o infedele estrinsecazione dei poteri conferiti o di violazione dei divieti imposti agli agenti.

… Infine, adeguata protezione del preponente dal rischio di rispondere del fatto del proprio ausiliario o preposto al di là dei generali principi in tema di risarcimento del danno extracontrattuale si ravvisa nell’applicazione anche in materia di danni da attività non provvedimentale della P.A. dei principi in tema di elisione del nesso causale in ipotesi di caso fortuito o di fatto del terzo o della vittima di per sè solo idoneo a reciderlo e di quelli in tema di riduzione del risarcimento in caso di concorso del fatto almeno colposo di costoro”.

Le Sezioni Unite hanno, quindi, affermato che la questione sottoposta al loro esame va risolta alla stregua del seguente principio di diritto: “lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle dell’amministrazione di appartenenza, purchè la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa – e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi – non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità adeguata ed in base ad un giudizio controfattuale riferito al tempo della condotta, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integri uno sviluppo oggettivamente anomalo”.

1.3 Alla luce del richiamato principio recentemente affermato dalle S.U. e sopra riportato, il motivo è infondato.

Nella specie, risulta che la Corte di merito, in base ad un giudizio controfattuale, ha, in sostanza, ritenuto che il M.C. ha posto in essere la sua condotta penalmente rilevante in quanto ricopriva il suo ruolo di pubblico dipendente e le accertate condotte erano all’evidenza prevedibili laddove ha affermato che il danno alla dignità alla persona, accertato in sede penale “risulta… causato dalle vessazioni e dai comportamenti illeciti – frutto di un uso distorto e vessatorio del potere di supremazia gerarchica spettante al superiore -, posti in essere dal M.C., e inquadrabili in un disegno di stabile mortificazione e sopraffazione del sottoposto. Gli abusi sono stati resi possibili proprio dalle incombenze affidate al M.C. e dal potere di punizione nei riguardi dell’inferiore. Solo incidentalmente va osservato che dalle sentenze penali emerge che il M.C. aveva tenuto analogo e anche più grave comportamento nei riguardi di altro militare”. La medesima Corte territoriale ha pure ritenuto che “per gli episodi di cui alla sentenza penale di condanna va, quindi, affermata la responsabilità solidale del Ministero, dato che si è in presenza di un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate dal M.C., che ricorre quando l’illecito è stato compiuto, come nel caso di specie, sfruttando comunque i compiti svolti, anche se il soggetto ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti” (v. sentenza impugnata p. 3 e 4).

2. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

3. Tenuto conto che le Sezioni Unite solo di recente si sono espresse sulla questione di diritto rilevante nel caso all’esame, ben possono essere compensate, tra le parti costituite, per la metà le spese del presente giudizio di legittimità, che, per la restante metà, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza tra le dette parti.

4. Poichè il Ministero della Difesa, quale Amministrazione dello Stato, non è tenuto al pagamento del contributo unificato, non sussiste per il ricorrente l’obbligo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Cass. 14 marzo 2014 n. 5955; Cass. 5 giugno 2015, n. 11681; Cass., ord., 29/01/2016 n. 1778).

5. Va disposto che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi del controricorrente, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa, tra le parti costituite, per la metà le spese del presente giudizio di legittimità; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, della restante metà di tali spese, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 100,00 ed agli accessori di legge; dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi del controricorrente, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 11 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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