Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32962 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. I, 13/12/2019, (ud. 14/11/2019, dep. 13/12/2019), n.32962

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26043/2018 proposto da:

O.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LIEGI n. 35-B,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTO COLAGRANDE, rappresentato e

difeso dall’avvocato STEFANO VICHI;

– ricorrente –

contro

AVVOCATURA GENERALE STATO e AVVOCATURA DISTRETTUALE STATO ANCONA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 322/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 07/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento del 25.1.2016, notificato il 29.4.2016, la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona respingeva l’istanza del ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o in subordine della protezione sussidiaria od umanitaria, ritenendo non credibile la storia riferita dal richiedente ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’invocata tutela. Il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso interposto dall’ O. avverso il predetto provvedimento di rigetto. Interponeva appello l’ O., radicando due distinti giudizi che non venivano riuniti, e la Corte di Appello di Ancona, con la sentenza oggi impugnata, respingeva il gravame iscritto al ruolo generale per primo, mentre quello successivo veniva cancellato per estinzione.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto O.S. affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 273 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte territoriale non avrebbe disposto la riunione delle due impugnazioni proposte per errore dall’ O., nonostante la specifica istanza formulata dalla difesa di quest’ultimo in seconde cure.

La censura è infondata. Va ribadito che “Il provvedimento di riunione di cause, che si adegua al principio dell’economia dei giudizi, costituisce espressione del potere ordinatorio del giudice che lo esercita incensurabilmente, e, pertanto, non è suscettibile di impugnazione dinanzi ad altri uffici giudiziari; conseguentemente, l’omessa riunione di procedimenti relativi alla stessa causa, che non risulta tra l’altro sanzionata da nullità, non può assolutamente essere configurata come uno dei capi della domanda sul quale manchi la decisione e per il quale può quindi configurarsi il vizio di omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c.” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 19693 del 17/07/2008, Rv. 604974; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9906 del 20/07/2001, Rv. 548348).

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e dell’art. 101 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte anconetana si sarebbe pronunciata in assenza di qualsiasi allegazione probatoria da parte dell’appellante. Quest’ultimo, infatti, aveva depositato documentazione solo nel secondo gravame, poi dichiarato estinto, mentre in quello iscritto al ruolo per primo non aveva prodotto alcunchè, limitandosi a segnalare a verbale all’ufficio, in occasione dell’udienza, la contemporanea pendenza di due appelli avverso la medesima decisione. Per effetto della mancata riunione dei due giudizi, da quanto sopra sarebbe derivata una lesione del diritto al contraddittorio dell’appellante, perchè la Corte di Appello avrebbe deciso la prima impugnazione sostanzialmente senza considerare le allegazioni di parte appellante.

La censura è inammissibile per due concorrenti ragioni.

In primo luogo, la scelta dell’odierno ricorrente di introdurre due impugnazioni avverso la medesima decisione, sia pure per errore, non è stata causata o incentivata da alcun accadimento imputabile all’ufficio giudiziario o alla parte resistente/appellata: tanto è vero che lo stesso O. nulla deduce, al riguardo, nel motivo in esame. Allo stesso modo, anche l’ulteriore decisione di depositare i documenti a riscontro delle proprie richieste soltanto in uno dei predetti due giudizi di appello, e non di entrambi, è stata frutto di una libera scelta dell’appellante. L’odierno ricorrente non vanta quindi alcun interesse all’impugnazione, in quanto la doglianza ha, in ultima analisi, ad oggetto le conseguenze necessitate di una libera scelta processuale della parte.

In secondo luogo, la censura in esame difetta di specificità, poichè il ricorrente non indica quali sarebbero gli elementi di prova che – in quanto prodotti solo nel giudizio di impugnazione dichiarato estinto – la Corte di Appello non avrebbe considerato ai fini della propria decisione.

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 28, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente esercitato il dovere di cooperazione istruttoria previsto in materia di protezione internazionale, omettendo di considerare che l’ O. era stato oggetto di persecuzione per motivi religiosi, da parte di una setta violenta ed aggressiva, dedita a traffici illeciti e a pratiche di coartazione della volontà sia rispetto agli iscritti che ai terzi; in questo scenario, ad avviso del ricorrente, la Corte di merito avrebbe dovuto ravvisare gli estremi per il riconoscimento della protezione internazionale, o in difetto di quella umanitaria.

La doglianza è inammissibile per due concorrenti ragioni.

Da un lato è lo stesso ricorrente a dare atto che la Corte di Appello ha deciso senza alcun riscontro probatorio da parte dell’appellante: costui infatti, per sua libera scelta, aveva ritenuto di non depositare nella prima impugnazione i documenti che aveva, invece, prodotto nella seconda, poi dichiarata estinta. E’ evidente che, in difetto di allegazioni da parte dell’appellante, la Corte territoriale abbia deciso sulla base delle sole allegazioni contenute in atto di appello, che peraltro nella censura in esame, nemmeno vengono specificamente indicate. Nè vengono descritti, come già evidenziato in relazione al precedente motivo, quali sarebbero i documenti che l’odierno ricorrente avrebbe prodotto solo nel secondo gravame, e non anche del primo, la cui rilevanza e decisività, pertanto, non può essere apprezzata da questa Corte ai fini della decisione del presente ricorso.

In simile condizione, è ben vero che appare erronea la motivazione resa dalla Corte marchigiana, secondo cui le minacce che il ricorrente avrebbe subito dalla confraternita (OMISSIS) non trarrebbero origine dai motivi persecutori rilevanti ai fini della concessione dello status di rifugiato o della tutela sussidiaria, posto che la ragione ultima di dette intimidazioni era da rinvenirsi, secondo la narrazione del richiedente, in una persecuzione a carattere religioso, che di per sè è rilevante ai fini del riconoscimento della protezione internazionale. Tuttavia l’estrema genericità della censura proposta dall’odierno ricorrente non consente a questa Corte di verificare neppure il rispetto dell’onere di allegazione da parte del richiedente la protezione, nè con riferimento al primo grado del giudizio di merito, nè per quanto attiene ai motivi di appello; nè si indicano, nel ricorso, fonti internazionali o altri elementi di prova di qualsiasi natura dai quali si potrebbe trarre conferma di quanto asserito dall’ O. circa la natura violenta e prevaricatrice della setta degli (OMISSIS).

Da quanto sopra discende il rigetto del ricorso.

Nulla per le spese, in difetto di attività difensiva svolta dal Ministero dell’Interno intimato nel presente giudizio di legittimità.

Poichè il ricorrente è stato ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, non sussistono presupposti processuali per dichiarare, ai sensi del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, l’obbligo di versamento da parte del ricorrente medesimo dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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