Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32961 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 20/12/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 20/12/2018), n.32961

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21442-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MIRI IMBOTTITI SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 80/2010 della COMM.TRIB.REG. di BARI,

depositata il 31/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/09/2018 dal Consigliere Dott. DARIO CAVALLARI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 7 maggio 2007 la Mi.ri. Imbottiti srl ha contestato, davanti alla Commissione Tributaria provinciale di Bari, tre avvisi di accertamento concernenti l’Iva del 2001 e l’Irpeg, l’Irap e l’Iva del 2002 e del 2003.

La Commissione Tributaria provinciale di Bari, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 67/07/08, ha accolto il ricorso ed annullato gli avvisi di accertamento.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto appello contro la summenzionata sentenza.

La Commissione Tributaria regionale di Bari, nel contraddittorio delle parti, ha respinto l’impugnazione.

L’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

La società intimata non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo ed il terzo motivo, che vanno esaminati congiuntamente stante la stretta connessione, l’Amministrazione ricorrente lamenta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lettera c, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54,comma 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, art. 112 c.p.c., nonchè 2697, 2700 e 2777 ss. c.c. e l’omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione del provvedimento impugnato.

Parte ricorrente contesta il fatto che il giudice di appello non abbia nella sostanza motivato la sua decisione, essendosi limitato a ritenere condivisibile la pronuncia di primo grado. In particolare, non sarebbe stato riportato il contenuto della sentenza della Commissione Provinciale e non sarebbe stata data risposta alle censure dell’Amministrazione appellante.

Inoltre, sostiene l’Agenzia delle Entrate di avere adempiuto all’onere probatorio di cui era gravata, poichè aveva dimostrato l’inesistenza delle operazioni con riferimento alle quali erano state richieste le detrazioni e deduzioni in esame. Infatti, dalle prove agli atti risultava che le tre principali ditte fornitrici (la Dafis di P.D., la Fibre e Fibre di P. & c. sas e la Nans di C.T.) non erano operative (erano emersi l’assenza di sede, contabilità, dichiarazioni ed attività), mentre una quarta società fornitrice, la Soluzioni srl, aveva addirittura emesso nel 2002 una dichiarazione Iva dalla quale non emergevano operazioni attive.

Pertanto, il giudice di appello avrebbe errato nel non tenere conto che avrebbe potuto ritenere in via indiziaria la responsabilità della controparte anche sulla base di fatti non imputabili direttamente a quest’ultima e che l’estraneità alla frode della Mi.ri. Imbottiti srl non poteva desumersi dalla documentazione dei pagamenti e dei trasporti della merce.

Le doglianze sono fondate.

In tema di Iva, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una cd. cartiera o una società fantasma) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle dette operazioni, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., Sez. 5, n. 17619 del 5 luglio 2018).

In particolare, l’Amministrazione finanziaria che contesti la cd. frode carosello deve provare, anche a mezzo di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, gli elementi di fatto attinenti al cedente (la sua natura di cartiera, l’inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell’Iva) e la connivenza da parte del cessionario, indicando gli elementi oggettivi che, tenuto conto delle concrete circostanze, avrebbero dovuto indurre un normale operatore a sospettare dell’irregolarità delle operazioni, mentre spetta al contribuente la prova contraria di avere concluso realmente l’operazione con il cedente o di essersi trovato nella situazione di oggettiva impossibilità, nonostante l’impiego della dovuta diligenza, di abbandonare lo stato d’ignoranza sul carattere fraudolento delle transazioni, non essendo a tal fine sufficiente la mera regolarità della documentazione contabile e la dimostrazione che la merce sia stata consegnata o il corrispettivo effettivamente pagato, trattandosi di circostanze non concludenti (Cass., Sez. 5, n. 17818 del 9 settembre 2016).

In pratica, ove l’amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture perchè relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni de quibus deve essere fornita dal contribuente. Pertanto, se l’amministrazione fornisce validi elementi per affermare che alcune o tutte le fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fasulle, passa sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (Cass., Sez. 5, n. 15395 dell’Il giugno 2008).

Detta prova non può, peraltro, essere costituita dalla sola esibizione dei mezzi di pagamento, che normalmente vengono utilizzati fittiziamente e che, quindi, rappresentano un mero elemento indiziario, la cui presenza (o assenza) deve essere valutata nel contesto di tutte le altre risultanze processuali (Cass., Sez. 5, n. 15228 del 3 dicembre 2001).

Nella specie, dunque, in primo luogo, avendo l’amministrazione contestato l’inesistenza oggettiva delle transazioni, il giudice di appello doveva prendere posizione sugli elementi di prova addotti dall’Agenzia delle Entrate, valutare la gravità delle circostanze indiziarie e, ove accertata la fondatezza della deduzione della medesima Agenzia, verificare se la controparte avesse dimostrato la propria estraneità alla frode, senza che, però, potesse rilevare la documentazione attestante il pagamento e la consegna delle merci.

La Commissione Tributaria regionale, però, non ha compiuto nessuna di tali attività, ma si è limitata a fare propria la motivazione del giudice di prime cure, la quale non è stata neanche in parte riportata in sentenza.

Inoltre, deve ritenersi sussista un caso di totale assenza di motivazione, la quale ricorre qualora il giudice di appello abbia sostanzialmente riprodotto la decisione di primo grado, senza illustrare – neppure sinteticamente – le ragioni per cui ha inteso disattendere tutti i motivi di gravame, avendo semplicemente manifestato la sua condivisione della decisione di prime cure (Cass., Sez. 1, n. 16057 del 18 giugno 2018).

Infatti, la Commissione tributaria regionale di Bari ha omesso di prendere posizione in ordine all’avvenuto adempimento o meno, ad opera delle parti, dell’onere della prova rispettivamente su di esse gravanti, come individuato dalla giurisprudenza di legittimità nei casi di operazioni oggettivamente inesistenti, nè ha valutato la rilevanza delle prove e degli indizi agli atti, nonostante l’appello dell’Agenzia delle Entrate concernesse tali profili.

2. Con il secondo motivo l’Amministrazione finanziaria si duole della violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19,21,23,24 e 25 poichè la Commissione Tributaria regionale non avrebbe tenuto conto che la non spettanza del rimborso Iva sulle operazioni fatturate dalle ditte in questione discendeva dall’assenza di registrazioni delle relative fatture.

Il motivo è da considerare assorbito, alla luce dell’accoglimento del primo e del terzo.

3. Ne consegue che il ricorso va accolto, limitatamente al primo ed al terzo motivo, assorbito il secondo, e che la sentenza va cassata, con rinvio alla CTR di Bari, in diversa composizione, che deciderà la causa nel merito anche in ordine alle spese del presente grado.

P.Q.M.

La Corte,

– accoglie il ricorso, limitatamente al primo ed al terzo motivo, assorbito il secondo;

– cassa con rinvio alla CTR di Bari, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 5^ Sezione Civile, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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