Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32957 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. I, 13/12/2019, (ud. 14/11/2019, dep. 13/12/2019), n.32957

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7353-2018 proposto da:

O.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO n. 23,

presso lo studio dell’avvocato SIMON SAVINI, rappresentato e difeso

dall’avvocato BERARDO CERULLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1570/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 26/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/11/2019 dal Consigliere Dott. OLIVA STEFANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con provvedimento del 17.11.2015, notificato il 15.1.2016, la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona respingeva l’istanza della ricorrente, volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato o in subordine della protezione sussidiaria od umanitaria, ritenendo non credibile la storia riferita dalla richiedente ed insussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’invocata tutela. Il Tribunale di Ancona respingeva il ricorso interposto dalla O. avverso il predetto provvedimento di rigetto. Interponeva appello la O. e la Corte di Appello di Ancona, con la sentenza oggi impugnata, respingeva il gravame.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto O.C. affidandosi a tre motivi.

Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, il D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 7 e 8, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè il vizio della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, sottovalutando la portata intimidatoria della setta degli Ogboni, dalla quale la ricorrente aveva dichiarato di aver subito pressioni finalizzate ad ottenere la sua adesione alla consorteria.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 ed il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, nonchè il vizio di motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte anconetana avrebbe erroneamente ritenuto insussistenti le condizioni di generale insicurezza e pericolo per l’incolumità delle persone che legittimano la concessione della tutela sussidiaria.

Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, nonchè il vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, perchè la Corte marchigiana avrebbe erroneamente denegato anche la protezione umanitaria, anche se la richiedente aveva allegato una situazione di vulnerabilità, personale e familiare, dipendente dalle pressioni ricevute dalla menzionata setta degli Ogboni.

Le tre censure sono inammissibili.

Dall’ampia ed articolata motivazione della decisione impugnata emerge che la setta degli Ogboni, se da un lato è una società segreta dedita a traffici non trasparenti, dall’altro lato è solita affiliare membri di famiglie in vista ed economicamente potenti, non risulta attiva nel Delta State -dal quale la O. ha dichiarato di provenire- e non ricorre al reclutamento forzoso. Le sole intimidazioni esercitate dalla setta si riferiscono ai membri che, essendone partecipi, decidono di uscirne, perchè evidentemente costoro sono a conoscenza delle attività della consorteria (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). In base a questi elementi, tratti da fonti specificamente richiamate in motivazione, la Corte di Appello perviene ad una valutazione di non credibilità della storia riferita dalla O.. Costei aveva infatti dichiarato di esser stata affiliata alla setta non solo contro la sua volontà, ma addirittura in modo inconsapevole (dopo esser stata tramortita); di aver subito dichiarato di voler uscire dalla società segreta, il che escludeva -in concreto- la possibilità che la richiedente avesse potuto apprendere qualcosa circa le attività della setta. Inoltre, la O. aveva tentato di accreditare la tesi della trasmissione ereditaria dell’affiliazione, che invece non risulta dalle fonti consultate dal giudice di merito; ed infine, aveva allegato che la setta fosse presente in modo massivo nel Delta State, contrariamente a quanto indicato dalle fonti di cui anzidetto.

Con riferimento invece alla situazione interna del Paese di provenienza, la Corte di Appello ha ritenuto insussistente lo stato di violenza indiscriminata richieste ai fini della concessione della tutela sussidiaria, tanto in relazione alla Nigeria in generale, quanto con riferimento al Delta State, anche in questo caso richiamando fonti internazionali che evidenziavano una condizione di insicurezza diffusa soltanto in alcuni Stati del Nord del Paese.

Infine, la Corte territoriale ha escluso la ricorrenza delle condizioni richieste per la concessione della tutela umanitaria, non avendo la richiedente allegato alcun elemento atto a comprovarne lo stato di vulnerabilità richiesto dalla legge.

La ricorrente non ha fornito alcun elemento specifico idoneo a contrastare l’articolata ricostruzione in fatto della Corte territoriale, nè con riferimento alle caratteristiche della setta degli Ogboni, nè con riguardo alla condizione del Paese di origine. Neppure ha allegato una specifica condizione di vulnerabilità o di integrazione nel tessuto sociale italiano atta a legittimare la concessione della tutela umanitaria. Di conseguenza, le censure proposte si risolvono nella richiesta di una revisione del giudizio di fatto operato dal giudice di merito, preclusa in questa sede.

Da quanto sopra discende il rigetto del ricorso.

Nulla per le spese, in difetto di attività difensiva svolta dal Ministero dell’Interno intimato nel presente giudizio di legittimità.

Poichè il ricorrente è stato ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, non sussistono presupposti processuali per dichiarare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, l’obbligo di versamento da parte del ricorrente medesimo dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello richiesto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della prima sezione civile, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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