Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32955 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 20/12/2018, (ud. 02/10/2018, dep. 20/12/2018), n.32955

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CATALOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9582/2015 R.G. proposto da:

Kemimpex Srl, rappresentata e difesa dall’Avv. Umberto Serra, con

domicilio eletto presso l’Avv. Marco Beccia in Roma Piazza

Farnese n. 101, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle dogane, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna n. 1763/01/14, depositata il 13 ottobre 2014.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 2 ottobre 2018

dal Consigliere Giuseppe Fuochi Tinarelli.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Immacolata Zeno, che, previa riunione al ricorso n.r.g.

(OMISSIS), ha concluso per il rigetto del primo e del secondo

motivo.

Udito l’Avvocato dello Stato Roberta Guizzi che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Kemimpex Srl, esercente attività di commercio all’ingrosso di prodotti chimici ad uso industriale, farmaceutico e veterinario, impugnava l’avviso di rettifica emesso dall’Agenzia delle dogane in relazione all’importazione di merce (nella specie cartoni di Vitamina B12) per gli anni 2005, 2006 e 2007 con applicazione dell’Iva agevolata del 10% in luogo di quella ordinaria, cui doveva ritenersi soggetta per la mancata concreta destinazione del prodotto per la preparazione di mangimi e per il consumo animale.

Obbiettava la contribuente che l’agevolazione aveva natura oggettiva e non soggettiva, dovendosi guardare al bene in sè a prescindere dall’uso conforme dell’acquirente finale, sicchè il beneficio doveva riconoscersi non solo per gli acquisti effettuati nell’esercizio di attività zootecniche ma anche per quelli compiuti dall’impresa intermediaria.

La Commissione tributaria provinciale di Parma rigettava il ricorso. La sentenza era confermata dal giudice d’appello.

La contribuente ricorre per cassazione con due motivi, illustrati con memoria. Resiste l’Agenzia delle dogane con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Va disattesa, preliminarmente, la richiesta di riunione avanzata dal Procuratore Generale, di cui non sussistono i presupposti oggettivi, nè ragioni di economia processuale.

2. Il primo motivo denuncia nullità della sentenza per omessa e insufficiente motivazione circa un punto controverso e decisivo per il giudizio, nonchè violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, art. 36, comma 2 e art. 132 c.p.c., comma 2.

La contribuente, in sostanza, deduce la nullità della sentenza per essere la motivazione meramente apodittica ed omissiva delle contrarie argomentazioni dedotte con l’atto d’appello.

3. Il motivo è infondato.

3.1. Va preliminarmente ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, “La motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Sez. U, n. 22232 del 03/11/2016).

Sotto altro profilo, inoltre, si è affermato che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014).

3.2. Orbene, il giudice d’appello ha espresso una ben identificabile ratio decidendi richiamando “il significato letterale e sistematico delle Disp. contenute nella Tabella A, parte 3…” e ritenendo che “il presupposto del regime di agevolazione fiscale consista nella reale, effettiva ed immediata destinazione dei beni al settore di riferimento”, soluzione “resa palese dalla specificazione dell’elemento finalistico (per) posto a fondamento ed a giustificazione dell’acquisto del bene”.

Pertanto, non ricorre affatto quella impercettibilità della ratio decidendi che rende solo apparente la motivazione e vizia di nullità la sentenza.

Infondato sotto il profilo dell’esistenza della motivazione, il ricorso ne attinge quindi la sufficienza, ciò che non è più ammesso nel regime di sindacato minimale ex art. 360 c.p.c., n. 5, nov.

4. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 16 in relazione alla Tabella A, parte 3, nonchè Dir. n. 2006/112/CE, art. 98, in relazione all’Allegato 3, per aver la CTR ritenuto l’aliquota Iva del 10% applicabile solo a fronte della concreta destinazione della merce al settore destinatario del regime agevolato, con esclusione, quindi, degli acquisti operati, come nella specie, dal mero intermediario, mentre, ad avviso della contribuente (che formula altresì istanza di rinvio pregiudiziale), l’agevolazione ha carattere oggettivo in relazione alla qualità del bene.

4.1. Il motivo è infondato.

4.2. Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 16, comma 2, nel testo ratione temporis applicabile, prevede “L’aliquota è ridotta al dieci per cento per le operazioni che hanno per oggetto i beni e i servizi elencati nell’allegata Tabella A”.

Per quanto qui interessa, poi, rilevano i punti 112 e 113 della cit. Tabella A, Parte 3, che prevedono “112) principi attivi per la preparazione ed integratori per mangimi” “113) prodotti di origine minerale e chimico-industriale ed additivi per la nutrizione degli animali”.

In entrambe le ipotesi gli elementi considerati (principi attivi, integratori, prodotti di origine minerale e chimico industriale, additivi) non rilevano in sè ma, esclusivamente, in quanto destinati al consumo alimentare animale.

4.3. Il riconoscimento dell’aliquota agevolata trova il suo diretto riferimento normativo nella Dir. n. 2006/112/CE, art. 98e, specificamente, nel punto 1) della Dir. stessa, Allegato 3, che prevede “Prodotti alimentari (incluse le bevande, ad esclusione tuttavia delle bevande alcoliche) destinati al consumo umano e animale, animali vivi, sementi, piante e ingredienti normalmente destinati ad essere utilizzati per integrare o sostituire prodotti alimentari”.

4.4. L’indicazione contenuta nel testo unionale contiene – al di là del riferimento anche al consumo umano oltre a quello animale una rilevante differenza, ossia l’uso dell’avverbio “normalmente”, assente nella descrizione contenuta nella disciplina nazionale.

La Corte di Giustizia (sentenza 3 marzo 2011, in C-41/09, Commissione europea c. Regno dei Paesi Bassi) ha avuto occasione di esaminare, sia pure con riguardo ad una diversa fattispecie, la portata e l’interpretazione del punto 1 dell’Allegato 3 ed ha sottolineato, in primo luogo, proprio la ratio della redazione dell’allegato stesso, ossia che il legislatore dell’unione “si proponeva che i beni essenziali nonchè i beni e i servizi corrispondenti a scopi sociali o culturali, purchè non presentassero alcun rischio o pochi rischi di distorsione della concorrenza, potessero essere assoggettati ad un’aliquota ridotta” in vista “dell’obbiettivo di rendere i beni essenziali”, tra cui vanno annoverati i prodotti alimentari, “meno costosi per il consumatore finale”.

Per meglio raggiungere questo obbiettivo, poi, l’applicazione dell’aliquota Iva ridotta è stata estesa “agli elementi che, non essendo essi stessi prodotti alimentari, sono normalmente destinati ad essere utilizzati nella preparazione dei prodotti di cui trattasi”.

L’esegesi della Corte si è poi particolarmente soffermata sulla locuzione “normalmente”, evidenziando che con essa “il legislatore dell’Unione ha inteso considerare” (gli animali nella fattispecie ivi in esame; la medesima riflessione rileva, peraltro, per gli altri elementi unitariamente considerati dal cit. punto 1) “che, abitualmente e generalmente sono destinati a fare parte della catena alimentare umana e animale” senza, che, dunque, “occorra esaminare la situazione specifica” del singolo animale (ovvero, mutatis mutandis, del singolo ingrediente, additivo,…).

4.5. Si tratta, dunque, di una differenza assolutamente significativa atteso che, per il legislatore nazionale, i prodotti in questione debbono avere una univoca destinazione al consumo animale e, quindi, a differenza di quanto consentito dal legislatore dell’Unione, il riconoscimento dell’aliquota ridotta postula un riscontro della destinazione finale.

4.6. Tale divaricazione, peraltro, è permessa dal diritto dell’Unione: l’art. 98 attribuisce agli Stati membri la facoltà, non l’obbligo, di applicare aliquote ridotte sui beni di cui alla Dir. Iva, Allegato 3, e la Corte di Giustizia ha ritenuto legittimo l’intervento delimitatore degli Stati membri atteso che “la possibilità di procedere a una tale applicazione selettiva dell’aliquota IVA ridotta è giustificata in particolare dalla considerazione che, costituendo tale aliquota un’eccezione, la limitazione della sua applicazione ad elementi concreti e specifici della categoria di prestazioni di cui trattasi è coerente con il principio secondo il quale le esenzioni e le deroghe devono essere interpretate in senso restrittivo” (Corte di Giustizia, sentenza 9 novembre 2017, in C-499/16, AZ).

4.7. Il limite all’esercizio di tale potestà regolamentatrice, invero, è costituito dal rispetto del principio della neutralità fiscale, non essendo consentito che “beni o prestazioni di servizi simili, che si trovano in concorrenza gli uni con gli altri, siano trattati in modo diverso dal punto di vista dell’IVA” (Corte di Giustizia, sentenza 11 settembre 2014, in C-219/13, K).

Nella vicenda in esame, peraltro, è escluso che ricorra una simile situazione poichè non è la categoria che viene ad essere delimitata con l’introduzione di un elemento aggiuntivo, concreto e specifico, ma è solo fissata l’obbiettività e l’effettività del riscontro, non limitata alla “normale” utilizzazione del prodotto.

4.8. Non sussistono, dunque, neppure le condizioni per un rinvio alla Corte di Giustizia.

4.9. L’applicazione dell’aliquota agevolata postula, pertanto, l’identificazione della destinazione del prodotto per le finalità di consumo animale, destinazione che non può ritenersi acquisita ove l’acquirente sia solo un intermediario nelle operazioni commerciali essendo del tutto incerto, in questa fase, il fatto che il bene venga effettivamente ceduto per detta finalità ovvero sia dirottato verso altre utilizzazioni.

D’altra parte, come già osservato, la natura agevolativa della normativa in questione comporta, secondo un principio di carattere generale, che la sua applicazione vada contenuta nei limiti in essa considerati e che non siano ammesse interpretazioni estensive.

5. Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese, attesa la peculiarità e novità della questione, vanno integralmente compensate.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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