Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32955 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. I, 13/12/2019, (ud. 14/11/2019, dep. 13/12/2019), n.32955

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

M.K.A., rappr. e dif. dall’avv. Roberto Maiorana, elett.

dom. presso il suo studio in Roma, viale Angelico n. 38,

roberto.maiorana.avvocato.pe.it, come da procura in calce all’atto;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Roma 12.6.2018, n. 3989/2018,

Rep. 5671/2018, R.G. 4527/2017;

vista la memoria del ricorrente;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

Ferro Massimo alla camera di consiglio del 14.11.2019;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. M.K.A. impugna la sentenza App. Roma 12.6.2018, n. 3989/2018, Rep. 5671/2018, R.G. 4527/2017 che ha rigettato il suo appello avverso l’ordinanza Trib. Napoli 18.5.2017 la quale aveva negato la dichiarazione dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria, nonchè il permesso di soggiorno per motivi umanitari, così non accogliendo l’opposizione del ricorrente al provvedimento della competente Commissione territoriale di Caserta, che aveva escluso i relativi presupposti;

2. la corte ha ritenuto che la rappresentazione della vicenda personale, contraddittoriamente incentrata su una migrazione per sfuggire alle ricerche di polizia e familiari in relazione all’accusa di aver ucciso uno degli aggressori che avevano illecitamente preteso dazioni di danaro, è condizione in sè ostativa alla protezione, poichè in essa si rinviene una persecuzione non per ragioni qualificanti (razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un gruppo sociale) bensì con riguardo ad un gruppo criminale, senza collegamenti con le istituzioni del Bangladesh; dall’altro lato, non risulta una regolare produzione documentale di parte circa i conflitti e in ogni caso essi non imperverserebbero alla stregua di violenza indiscriminata, così da individuare il grado di coinvolgimento in Bangladesh; la protezione umanitaria, a sua volta, era negata per mancata prova di un’attività economica, condotta nel Paese di accoglienza, idonea ad aiutare la famiglia originaria, come mai avvenuto nel quinquennio;

3. il ricorso è su quattro motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta l’omesso esame delle condizioni di pericolosità e violenza generalizzata del Bangladesh e la mancata consultazione delle fonti informative, per le ipotesi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè la motivazione della corte sarebbe apparente;

2. con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, si deduce il vizio di motivazione quanto alla condizione personale del richiedente, con riguardo alle sue dichiarazioni avanti alla commissione territoriale; con il terzo motivo, ancora in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, si contesta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, art. 10 Cost., perchè la corte avrebbe errato nel non concedere la protezione sussidiaria in ragione delle condizioni del Bangladesh;

3. con il quarto motivo, ancora in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, si contesta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, art. 10 Cost., perchè la corte avrebbe errato nel non concedere la protezione umanitaria;

4. il primo e terzo motivo di ricorso sono complessivamente inammissibili, per plurimi profili; va invero ribadito che “in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse” (Cass. 26874/2018, 24901/2019, 21695/2019); tanto più che, si osserva, il cumulo di siffatte critiche, circostanze diversamente e solo genericamente prospettate e valutazioni sembra risolversi in una mera non condivisione del convincimento cui è giunto il giudice di merito, secondo un apprezzamento di fatto insindacabile nella presente sede (Cass. s.u. 8053/2014);

5. la corte ha invero, per un verso, negato che il ricorrente avesse assolto al suo onere di allegazione (omettendo infatti di produrre o riprodurre i documenti pur invocati), ma ha comunque esaminato gli atti pervenendo ad un convincimento di non generalizzata situazione di conflitto in Bangladesh e, quanto alla situazione individuale, negando che la persecuzione esposta fosse riconducibile alle istituzioni del Paese di provenienza; va aggiunto che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019);

6. ne deriva la conformità della statuizione al principio, qui da ribadirsi, per cui “ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia.” (Cass. 18306/2019);

7. il secondo motivo è inammissibile sia per genericità sia perchè si limita a contrapporre una alternativa lettura del materiale probatorio, non fuoriuscendo dai limiti segnati oggi per la deducibilità del vizio di motivazione (Cass. s.u. 8053/2014); la corte ha invero esaminato e apprezzato quali di “estrema vaghezza”, “paradossale” e “contraddittorio” lo stesso racconto del ricorrente, specificamente concludendo per la sua inidoneità ad integrare una efficace rappresentazione dei rischi effettivi di danno grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;

8. il quarto motivo, oltre ad esprimere un profilo di inammissibilità per il cumulo indistinto delle categorie eterogenee dei mezzi d’impugnazione (Cass. 26874/2018), non prospetta una diversa inferenza segnalando dove la motivazione della corte abbia violato i limiti della giustificazione del diniego della protezione umanitaria, esclusa per specifica assenza di profili di vulnerabilità e nel presupposto che, in Italia, il ricorrente “non è mai stato in grado di aiutare economicamente la sua famiglia rimasta in Bangladesh”, circostanza che appare almeno indiziante – per quanto non oggetto di alcuna specifica censura – di assenza di integrazione sociale allo stato conseguita; si deve allora ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; proprio il cennato orientamento non integra invero alcun automatismo tra rivendicata permanenza nello Stato di accoglienza e generica asserzione del sacrificio dei diritti conseguente al rimpatrio, secondo i limiti anche di recente ribaditi da questa Corte (Cass. s.u. 29460/2019);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 9660/2019, 25862/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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