Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32952 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. I, 13/12/2019, (ud. 14/11/2019, dep. 13/12/2019), n.32952

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso proposto da:

M.H., rappr. e dif. dall’avv. Giuseppe Di Meo, elett. dom.

presso lo studio Sorrentino in Roma, via Emo n. 144,

giuseppe.dimeo.avvocatiavellinopec.it, come da procura in calce

all’atto;

– ricorrente-

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

per la cassazione della sentenza App. Napoli 5.4.2018, n. 1560/2018,

Rep. 1618/2018, R.G. 4487/2017;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere relatore Dott.

FERRO Massimo alla camera di consiglio del 14.11.2019;

il Collegio autorizza la redazione del provvedimento in forma

semplificata, giusta decreto 14 settembre 2016, n. 136/2016 del

Primo Presidente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. A.A. impugna la sentenza App. Napoli 23.4.2018, n. 1847/2018, Rep. 1962/2018, R.G. 3404/2017 che ha rigettato il suo appello avverso l’ordinanza Trib. Napoli 18.5.2017 la quale aveva negato la dichiarazione dello status di rifugiato, la protezione sussidiaria, nonchè il permesso di soggiorno per motivi umanitari, così non accogliendo l’opposizione del ricorrente al provvedimento della competente Commissione territoriale di Caserta, che aveva escluso i relativi presupposti;

2. la corte ha ritenuto che la rappresentazione della vicenda personale non fosse credibile, per quanto incentrata su una migrazione in realtà “regolare” (cioè per transito con passaporto) per sfuggire alle ricerche di polizia e familiari in relazione all’accusa di aver ucciso uno degli aggressori che avevano preteso di impossessarsi dei terreni familiari, condizione in sè ostativa alla protezione sia maggiore che sussidiaria; dall’altro lato, nemmeno il ricorrente aveva riferito con precisione la zona di provenienza, così da individuare il grado di coinvolgimento con gli allegati e generici conflitti in Bangladesh; la protezione umanitaria, a sua volta, era negata per inconferenza allo scopo con le condizioni di difficile reinserimento ovvero povertà conseguenti al rimpatrio;

3. il ricorso è su tre motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. con il primo motivo si contesta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,7,8 e 11, art. 111 Cost., artt. 101 e 132 c.p.c., per tutte le ipotesi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, perchè la motivazione della corte sarebbe apparente, non sarebbe stata disposta l’audizione, sarebbe mancato il dovere di cooperazione istruttoria, sarebbe stato enfatizzato il solo crimine commesso all’estero trascurando ogni esame sul rischio persecutorio;

2. con il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, si deduce l’omessa considerazione del danno grave che il ricorrente potrebbe riportare in conseguenza della temuta detenzione e la violenza indiscriminata nel Paese di provenienza, così violandosi il D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 4 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, artt. 101 e 132 c.p.c., art. 111 Cost.;

3. con il terzo motivo, ancora in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, si contesta la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, artt. 2 e 10 Cost., art. 132 c.p.c., perchè la corte avrebbe omesso di pronunciarsi sulla richiesta di protezione per motivi umanitari, con riguardo alla situazione soggettiva del richiedente e al pregiudizio allo stato di salute, così non vagliando la vulnerabilità;

4. il ricorso è complessivamente inammissibile; va invero ribadito che “in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e n. 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse.” (Cass. 26874/2018, 24901/2019, 21695/2019); tanto più che, si osserva, il cumulo di siffatte critiche, circostanze diversamente prospettate e valutazioni sembra risolversi in una mera non condivisione del convincimento cui è giunto il giudice di merito, secondo un apprezzamento di fatto insindacabile nella presente sede (Cass. s.u. 8053/2014); esso è invero giunto a negare che il fatto-reato grave commesso (omicidio) potesse superare sia la non credibilità del racconto (Cass. 15794/2019), sia la migrazione regolare invece accertata, dunque senza interferenze persecutorie o di danno grave (Cass. 30105/2018);

5. nel caso di specie, avendo riguardo al solo terzo motivo – ove la critica concerne l’omessa enunciazione diretta delle ragioni di diniego della protezione umanitaria – anche richiamando l’orientamento meno rigoroso che subordina l’ammissibilità del motivo frutto di mescolanza alla condizione che lo stesso “comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto” (Cass. 8915/2018) si deve infatti rilevare che tali condizioni non sussistono perchè anche la doglianza è priva delle necessarie specificazioni, in particolare antagonistiche a quelle adottate dalla corte ed invero la censura si caratterizza per una critica complessiva alla sentenza impugnata sovrapponendo alla interpretazione delle norme adottata dalla corte territoriale, sulla base degli accertamenti in fatto riportati in sentenza, proprie interpretazioni dei medesimi fatti che “neppure si confrontano con i passaggi essenziali, in fatto ed in diritto, che hanno condotto la Corte d’appello a ritenere infondata l’impugnazione”(Cass. 27393/2019);

6. nè il ricorrente ha prospettato una diversa inferenza segnalando dove la motivazione della corte abbia violato i limiti della giustificazione del diniego della protezione umanitaria, esclusa per specifica assenza di profili di vulnerabilità, non bastando il generico rinvio a condizioni di difficile reinserimento ovvero stato economico di povertà; si deve allora ripetere, con Cass. 23778/2019 (pur sulla scia di Cass. 4455/2018), che “occorre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente… altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6″; proprio il cennato orientamento non integra invero alcun automatismo tra rivendicata permanenza nello Stato di accoglienza per via di integrazione raggiunta e generica asserzione del sacrificio dei diritti conseguente al rimpatrio, secondo i limiti anche di recente ribaditi da questa Corte (Cass.s.u. 29460/2019);

il ricorso va dunque dichiarato inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. 9660/2019, 25862/2019).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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