Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32951 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. III, 20/12/2018, (ud. 14/11/2018, dep. 20/12/2018), n.32951

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10715/2017 R.G. proposto da:

C.R., rappresentata e difesa dall’Avv. Ettore Travarelli,

con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, circonvallazione

Trionfale, n. 34;

– ricorrente –

contro

S.P., e S.E., rappresentati e difesi dal Prof. Avv.

Ugo Petronio e dall’Avv. Roberto Pinza, con domicilio eletto presso

lo studio del primo in Roma, via Ruggero Fauro, n. 43;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

B.A., + ALTRI OMESSI, rappresentati e difesi dagli Avv.ti

Alfonso Celli e Fabio Alberici, con domicilio eletto presso lo

studio di quest’ultimo in Roma, via delle Fornaci, n. 38;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna, n. 487/2016,

pubblicata il 22 marzo 2016;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14 novembre

2018 dal Consigliere Dott. Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con sentenza del 22/3/2016 la Corte d’appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto da C.R. confermando, con diversa motivazione, la sentenza di primo grado che ne aveva rigettato la domanda di riscatto agrario in relazione alla vendita effettuata il 19/5/1999, da parte di P., V., S., A., F., C., Al. e B.G. in favore di P. ed S.E., di immobile sito in (OMISSIS).

La Corte felsinea ha invero ritenuto invalida la rinuncia alla prelazione (espressa dall’appellante con dichiarazione raccolta dallo stesso notaio che aveva poi proceduto, lo stesso giorno, a rogare l’atto preliminare di compravendita stipulato dalle altre parti) e tempestivo l’esercizio del diritto di riscatto; ha però ritenuto quest’ultimo destituito di fondamento, non avendo la riscattante dimostrato di possedere i requisiti soggettivi necessari.

Ha ritenuto generiche al riguardo le deposizioni testimoniali, inidonee a dar conto “del concreto lavoro agricolo richiesto dal fondo e profuso personalmente dalla C.” e peraltro “indebolite dai suoi stessi documenti che ne danno una traccia burocratica non più vecchia dell’inizio del 1998”.

“Il difetto – rimarcano i giudici a quibus – è ancor più grave se si considera che uno dei pochi dati precisi emergenti dalle testimonianze è la mancanza di macchine agricole e il ricorso a contoterzisti”. “Rafforzano questi dubbi – essi infine soggiungono – i documenti relativi all’iscrizione Inps che non coprono il biennio anteriore al rogito e tantomeno il preliminare: se è vero che il profilo prettamente burocratico non è quello che veramente conta per apprezzare in concreto il lavoro della C., è però vero che in questo contesto vuoto di dati concreti quello burocratico acquista una valenza indiziaria a favore del lavoro occasionale convergente col resto che s’è detto, che scredita la domanda”.

2. Avverso tale decisione C.R. propone ricorso per cassazione, articolando tre motivi; ad esso resistono entrambe le parti intimate, depositando controricorsi e proponendo, a loro volta, ciascuna, ricorso incidentale condizionato, con due mezzi.

La ricorrente e i controricorrenti P. ed S.E. hanno depositato memorie ex art. 380-bis1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo del ricorso principale C.R. denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, lamentando che la Corte d’appello non ha considerato che la rinuncia al diritto di prelazione, sia pure invalida, era stata firmata avanti il notaio Scardovi e con dichiarazione dallo stesso predisposta, alla presenza dei promittenti venditori e dei promissari acquirenti, i quali pertanto – sostiene – avevano riconosciuto espressamente la titolarità del diritto di prelazione e la qualità di coltivatrice diretta in capo ad essa ricorrente.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115,116 e 232 c.p.c.; della L. 26 maggio 1965, n. 590, artt. 8 e 31; della L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, comma 2, n. 2.

Rileva che, “a fronte del riconoscimento esplicito delle parti contraenti al momento del preliminare”, non era necessario “risolvere dubbi e quesiti riguardanti la produttività del terreno, la forza lavorativa esercitata, la qualità delle colture ed il reddito ritraibile” e che pertanto la Corte d’appello, dichiarando che nella fattispecie mancavano gli elementi per l’accertamento della qualità di coltivatore diretto in capo alla ricorrente, ha violato le norme evocate in rubrica.

Soggiunge che in tal senso deponevano le numerose prove testimoniali, i documenti e la c.t.u. delle cui risultanze – lamenta – la Corte bolognese non ha tenuto alcun conto.

Formula in conclusione il seguente “quesito di fatto: dica la Suprema Corte se l’omesso esame del fatto storico principale di cui alle prove orali, volte a dimostrare la sussistenza dei requisiti legittimante il retratto in favore della C., oggetto del dibattito processuale, era decisivo e se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia, nel senso, appunto, di riconoscere l’esistenza di quei requisiti in capo alla C.”.

3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia, infine, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Lamenta che la Corte d’appello di Bologna, nel ritenere che l’iscrizione di essa ricorrente all’Inps “non copre il biennio anteriore al rogito e tantomeno il preliminare”, è incorsa in un travisamento dei fatti. Ciò in quanto, secondo la ricorrente, la Corte territoriale ha immotivatamente obliterato l’attestazione della camera di commercio che dichiarava che la stessa aveva iniziato l’attività di coltivatrice diretta a far tempo dal 1 gennaio 1992, ossia ben sei anni prima del contratto preliminare del 27/7/1998.

4. Con i ricorsi incidentali entrambe le controparti censurano la sentenza impugnata – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione della L. n. 590 del 1965, art. 8 e L. n. 317 del 1971, art. 7 – nella parte in cui ha ritenuto invalida la rinuncia alla prelazione e tempestivo l’esercizio del diritto di riscatto.

5. Nell’esame delle questioni poste dai contrapposti ricorsi, rilievo prioritario occorrerebbe assegnare sul piano logico a quelli incidentali proposti da entrambe le parti intimate, investendo essi questioni di merito di carattere preliminare.

Trattandosi però di questioni esplicitamente esaminate e disattese dal giudice a quo e avendo i ricorrenti incidentali comunque ottenuto, seppur per ragioni subordinate di merito, il rigetto della domanda nei loro confronti proposta, viene in rilievo il principio – nettamente prevalente nella giurisprudenza di legittimità e al quale questo collegio intende dare continuità – secondo cui, alla luce del parametro costituzionale della ragionevole durata del processo, alla stregua del quale fine primario di questo è la realizzazione del diritto delle parti ad ottenere risposta nel merito, “il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni pregiudiziali di rito, ivi comprese quelle attinenti alla giurisdizione, o preliminari di merito, ha natura di ricorso condizionato, indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte, e deve essere esaminato con priorità solo se le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito, rilevabili d’ufficio, non siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito. Qualora, invece, sia intervenuta detta decisione, tale ricorso incidentale va esaminato dalla Corte di cassazione, solo in presenza dell’attualità dell’interesse, sussistente unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale” (Cass., Sez. U, n. 5456 del 06/03/2009, Rv. 606973; Sez. U, n. 23318 del 04/11/2009; Sez. U, n. 7381 del 25/03/2013; cui adde Cass. 06/03/2015, n. 4619; 14/03/2018, n. 6138; contra Cass. 18/11/2016, n. 23531; 19/04/2018, n. 9671).

Ne deriva la necessità di assegnare priorità, nell’esame dei ricorsi, a quello principale, dipendendo dalla riconosciuta fondatezza, o meno, di almeno taluno dei motivi che ne sono posti a fondamento la reviviscenza, o meno, dell’interesse di controparte all’esame delle questioni preliminari da essa poste.

6. Tale vaglio ha esito negativo.

Il primo motivo è inammissibile o, comunque, manifestamente infondato.

La ricorrente, se ben si comprende, assume quale fatto storico, che il giudice di merito avrebbe omesso di considerare incorrendo nel vizio denunciato con il primo motivo, lo stesso atto di rinuncia del 27/7/1998. Sostiene che, non essendo stato, tale atto, ritualmente prodotto in primo grado, “fatto oggetto di specifica contestazione, i fatti in esso rappresentati (avrebbero dovuto aversi, n.d.r.) per ammessi a prescindere dalla prova” (v. ricorso, pag. 4, primo capoverso).

6.1. L’assunto è anzitutto del tutto estraneo alla censura dedotta.

Come chiarito con ferma giurisprudenza da questa Corte (v. Cass. Sez. U. 07/04/2014, n. 8053; Id. 22/09/2014, n. 19881), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame non può invece riguardare elementi istruttori, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nel caso di specie, pertanto:

– se l’omesso esame riguarda, nella confusa prospettazione della parte, l’atto di rinuncia in sè considerato: a) esso non può mai integrare il vizio dedotto (trattandosi non di fatto storico ma di elemento istruttorio); b) risulterebbe, peraltro, in sè, apertamente smentito dal contenuto della sentenza, ove al contrario l’atto di rinuncia è espressamente considerato, sia pure ad altri fini;

– se invece l’omesso esame di cui si duole la ricorrente riguarda le dichiarazioni contenute in tale atto (essere la dichiarante coltivatrice diretta e titolare del diritto di prelazione) è evidente che si tratterebbe: a) anzitutto non di fatti storici, ma semmai di qualificazioni giuridiche sostenute dalla parte stessa che se ne intende valere; b) comunque di affermazioni che lungi dal non essere state esaminate costituiscono precipuo oggetto del giudizio.

6.2. Mette conto soggiungere che ove la doglianza possa intendersi più propriamente intesa a denunciare un error in procedendo, per violazione del principio di non contestazione (art. 115 c.p.c.), la stessa si appaleserebbe ugualmente del tutto inconsistente.

L’onere di contestazione concerne infatti le sole allegazioni assertive della controparte e non anche il contenuto di documenti prodotti al fine di supportarle.

Riguarda i fatti storici, non le qualificazioni di quei fatti.

In ogni caso nessuna “non contestazione” è nella specie predicabile con riferimento a dette allegazioni, le quali costituiscono l’oggetto stesso della controversia tra le parti.

7. E’ altresì inammissibile il secondo motivo.

Oltre a muovere, in premessa, dall’assunto posto ad oggetto del primo motivo, circa il rilievo attribuibile all’atto di rinuncia (assunto, come visto, del tutto destituito di fondamento), la censura, dietro la prospettata violazione di norme (genericamente dedotta non essendo indicata l’affermazione in diritto o la regula iuris in concreto applicata difforme da quelle evocate), si risolve nella mera e inammissibile richiesta di una nuova valutazione degli elementi acquisiti, in punto di sussistenza dei requisiti soggettivi del riscatto: sussistenza negata in sentenza alla stregua di motivato accertamento di fatto, sindacabile in questa sede solo nei ristretti limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti: nella specie nemmeno dedotto) e non più per insufficienza o contraddittorietà della motivazione.

8. E’ poi infondato il terzo motivo.

La censura investe invero solo uno degli argomenti utilizzati in sentenza per negare la (prova della) qualità in capo alla riscattante di coltivatrice diretta, ossia il rilievo secondo cui difettano emergenze documentali che attestino efficacemente detta qualifica, per la durata temporale necessaria, anche sotto quello che la Corte definisce “profilo prettamente burocratico”: rilievo peraltro accompagnato dalla precisazione che non è sotto tale versante che può utilmente apprezzarsi in concreto il lavoro della C. e che ad esso si fa riferimento per trarre conferma indiretta del detto convincimento, in un “contesto vuoto di dati concreti”.

Precisazione, questa, del tutto corretta e conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte, che ha più volte avvertito che ai fini dell’utile esercizio del diritto di riscatto agrario, di cui alla L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8 è onere del retraente fornire la prova delle relative condizioni oggettive e soggettive, e quindi altresì della qualità di coltivatore diretto, indipendentemente dal dato formale dell’iscrizione in elenchi o di altre certificazioni amministrative (v. Cass. 22/03/2013, n. 7265; 27/09/2011, n. 19748; 19/01/2006, n. 1020).

Il dato di fatto obliterato deve pertanto considerarsi non decisivo, sia perchè in sè inidoneo a dimostrare la qualità di coltivatrice diretta, sia perchè comunque la decisione di rigetto poggia anche sul rilievo della mancata prova anche del requisito della forza lavorativa del nucleo familiare non inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo.

9. Il ricorso va pertanto rigettato, restando conseguentemente assorbito l’esame dei ricorsi incidentali.

Alla soccombenza segue la condanna della ricorrente,i211 pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale; dichiara assorbiti i ricorsi incidentali. Condanna la ricorrente principale al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, per ciascuno, in Euro 7.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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