Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32940 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. I, 13/12/2019, (ud. 06/11/2019, dep. 13/12/2019), n.32940

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria C. – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33067/2018 proposto da:

O.E., elettivamente domiciliato presso l’avv. Elena Petracca

dalla quale è rappres. e difeso, con procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1621/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 12/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/11/2019 dal Consigliere rel., Dott. ROSARIO CAIAZZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

O.E., cittadino del Ghana, propose appello avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di Venezia di rigetto del ricorso avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Verona del 24.7.15, che non gli aveva riconosciuto la protezione internazionale e quella umanitaria.

Con sentenza del 12.6.18, la Corte d’appello di Venezia respinse l’appello, osservando che: la vicenda narrata innanzi alla Commissione (aver sorpreso all’interno della società presso cui lavorava come apprendista una funzionaria della stessa società mentre consumava un rapporto sessuale con un poliziotto) di per sè, non rientrava nelle fattispecie normative in cui è declinata la protezione internazionale, avendo il ricorrente affermato di essere espatriato per paura di ritorsioni e per non avere fiducia nel sistema giudiziario ghanese (cui però non si era rivolto); il ricorrente era incorso in plurime contraddizioni circa la vicenda narrata; non sussistevano i presupposti della protezione sussidiaria per non aver il ricorrente allegato uno specifico rischio per la propria incolumità in caso di rimpatrio, essendo altresì esclusa una situazione di violenza generalizzata o di conflitto armato sulla base delle direttive dell’UNHCR del gennaio 2017; parimenti da escludere la protezione umanitaria non avendo il ricorrente allegato una specifica individuale situazione di vulnerabilità.

Ricorre in cassazione l’ O. con quattro motivi. Non si è costituito il Ministero dell’Interno.

Diritto

RITENUTO IN FATTO

CHE:

Con il primo motivo è denunziata violazione ed errata applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e la L. n. 241 del 1990, art. 3, nonchè contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, non avendo la Corte d’appello assolto l’obbligo di cooperazione istruttoria in ordine alle condizioni dell’amministrazione della giustizia in Ghana e del sistema carcerario, e sulla situazione socio-politica del paese e della Libia alla data del 16.3.13, allorchè il ricorrente espatriò.

Con il secondo motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a, b e c, la L. n. 241 del 1990, art. 3, nonchè contraddittorietà del provvedimento impugnato e difetto di motivazione, avendo la Corte territoriale omesso ogni verifica sulla corrispondenza a realtà delle dichiarazioni rese dal ricorrente, senza neppure disporre una sua nuova audizione. Al riguardo, il ricorrente ha allegato il rapporto 2016 di Amnesty International con cui fu raccomandato al Ghana di elaborare un meccanismo indipendente per indagare sulla condotta degli agenti di polizia, e altro rapporto sugli abusi della stessa polizia, sicchè è stato paventato il rischio di una pena o trattamento inumano.

Con il terzo motivo è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo, in quanto la Corte d’appello non ha adeguatamente esaminato la questione del transito del ricorrente in Libia.

Con il quarto motivo è denunziata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 289 del 1998, art. 5, comma 6, la L. n. 241 del 1990, art. 3, contraddittorietà del provvedimento impugnato e difetto di motivazione, lamentando il ricorrente che la Corte d’appello avrebbe adottato un’interpretazione restrittiva dei presupposti della protezione umanitaria, non avendo effettuato alcuna comparazione tra la situazione che ha spinto il ricorrente ad abbandonare il Ghana e la sua attuale condizione, omettendo così di valutare i rischi e pregiudizi a cui sarebbe esposto a seguito di un forzato rimpatrio.

Il primo motivo è inammissibile.

Anzitutto, va rilevata la genericità della censura (in ordine all’asserito omesso espletamento dell’istruttoria ufficiosa) che allega la questione degli abusi degli agenti di polizia e della corruzione in Ghana, con un riferimento concreto alla situazione del ricorrente il quale, nel narrare un determinato episodio da cui sarebbe derivato il timore di subire non chiare ritorsioni, non è stato ritenuto credibile dal Tribunale e dalla Corte d’appello, essendo incorso in molte contraddizioni.

Al riguardo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce, invero, un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito – e censurabile solo nei limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5 – il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), escludendosi, in mancanza, la necessità e la possibilità stessa per il giudice di merito – laddove non vengano dedotti fatti attendibili e concreti, idonei a consentire un approfondimento ufficioso – di operare ulteriori accertamenti. In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona (Cass. n. 16925/2018; Cass., n. 28862/2018; Cass., n. 3340/2019).

Nel caso concreto, la Corte d’appello ha adeguatamente motivato in ordine alle ragioni della non credibilità del ricorrente, il cui racconto è stato caratterizzato da incoerenze e contraddizioni.

Va altresì evidenziato che la vicenda esposta non rientra nell’ambito delle varie fattispecie legali di protezione internazionale, considerato anche che il ricorrente non ha allegato di aver sporto denuncia all’autorità giudiziaria del suo Paese.

Inoltre, è inammissibile la doglianza sul vizio di motivazione perchè declinato secondo una fattispecie non vigente ratione temporis.

Il secondo motivo è inammissibile poichè il ricorrente non ha allegato una specifica situazione afferente alla protezione sussidiaria, limitandosi ad una generica doglianza sugli abusi della polizia, sulla situazione delle carceri e sulla lesione dei diritti fondamentali in Ghana, pur non avendo sporto denuncia in ordine alla vicenda narrata.

La Corte d’appello ha altresì escluso la sussistenza della situazione di violenza generalizzata o di conflitto armato in Ghana, sulla base del recente report dell’UNHCR del gennaio 2017.

E’ parimenti inammissibile la doglianza sul vizio di motivazione perchè declinato secondo una fattispecie non vigente ratione temporis.

Il terzo motivo è inammissibile, anzitutto perchè il ricorrente non ha dedotto di aver sollevato la questione del transito in Libia (quale fattispecie concreta legittimante la protezione umanitaria) in primo grado; pertanto, il ricorso è, in parte qua, sprovvisto dell’autosufficienza.

Inoltre, il ricorrente non ha allegato alcuna situazione specifica afferente allo stesso transito in Libia che, di per sè, non può legittimare la richiesta protezione, non venendo in rilievo una questione relativa al paese di provenienza del ricorrente, in conformità della giurisprudenza di questa Corte (v. Cass., nn. 31676 e 2861/18: “nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare – dir. UE n. 115 del 2008, art. 3 – nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese”).

Il quarto motivo è inammissibile non avendo il ricorrente allegato quale sia la violazione dei diritti umani o fondamentali della persona, o del diritto alla salute in cui incorrerebbe se rientrasse in Ghana.

Infine, è inammissibile la doglianza sul vizio di motivazione perchè declinato secondo una fattispecie non vigente ratione temporis.

Nulla per le spese.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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