Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32939 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. I, 13/12/2019, (ud. 30/10/2019, dep. 13/12/2019), n.32939

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33822/2018 proposto da:

N.E., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico 38

presso lo studio dell’avvocato Maiorana Roberto che lo rappresenta e

difende come da procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 327/2018 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositata il 12/05/2018;udita la relazione della causa svolta nella

camera di consiglio del 30/10/2019 dal Cons. Dott. FALABELLA

MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata per cassazione la sentenza della Corte di appello di Perugia, pubblicata il 12 maggio 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da N.E. nei confronti dell’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., comma 5, del Tribunale del capoluogo umbro. La nominata Corte ha negato che al ricorrente spettasse la protezione sussidiaria e quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su quattro motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo lamenta l’errato esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Tale fatto è integrato dalla condizione di pericolosità e di violenza generalizzata esistente in Nigeria. Spiega il ricorrente che il paese versa in una situazione di instabilità ampiamente documentata.

Col secondo motivo è denunciato l’omesso o errato esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione territoriale e le allegazioni portate in giudizio per la valutazione della condizione personale di esso istante. Questi rileva che il proprio paese non sarebbe in grado di assicurare protezione e che i giudici di merito avevano mancato di svolgere alcuna doverosa indagine officiosa in tal senso. Deduce, inoltre, che la Corte aveva mancato di prendere in considerazione il proprio grado di integrazione in Italia. Rileva pure che la protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), non richiede la prova che il richiedente sia interessato in modo specifico ad atti di violenza generalizzata.

Il terzo mezzo oppone la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e la contraddittorietà tra le fonti informative citate e il loro contenuto. L’istante lamenta, in sostanza, che la Corte di appello abbia proceduto a una scorretta estrapolazione dei dati desumibili dal report da essa preso in considerazione, così da travisarne i contenuti. Le informazioni sulla Nigeria dimostravano, a detta del ricorrente, la sussistenza degli elementi che nel paese fossero assenti le condizioni minime di sicurezza. Oltre a ribadirsi che la Corte di appello aveva omesso la valutazione della condizione del Mali, è dedotto che nella sentenza impugnata non era fatto cenno alle richiamate fonti, necessarie per apprezzare la situazione del paese, attualizzata al momento della decisione.

2. – I motivi indicati sono infondati.

Secondo la Corte di appello, i fatti narrati dal ricorrente, il quale aveva riferito di vessazioni ad opera del nuovo compagno della madre e dei figli di questo, erano circoscritti a un contesto familiare e risultavano inoltre essere generici e poco credibili.

Ciò posto, l’affermazione circa la genericità e non credibilità del racconto del richiedente impedisce di ritenere lo stesso veritiero, giusta il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

Quanto alla particolare ipotesi della violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, di cui al D.Lgs. cit., art. 14, lett. c) la Corte di appello ha escluso che essa interessasse la regione da cui proviene il ricorrente. Il detto accertamento implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064), suscettibile di essere censurato in sede di legittimità a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 21 novembre 2018, n. 30105), oltre che per assenza di motivazione (nel senso precisato da Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). E’ da osservare, al riguardo, che nessun mancato esame di fatto decisivo è prospettato con riferimento alla situazione dell’Edo State: è semmai dedotto, col quarto mezzo di censura, un vizio motivazionale che però attiene all’apprezzamento del materiale istruttorio e che, come tale, sfugge al sindacato di legittimità (infatti è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, ma sempre che il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata e a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054, citt.).

3. – Il quarto motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2, nonchè dell’art. 10 Cost. e dell’art. 3 CEDU. La censura investe la decisione con cui è stata negata la protezione umanitaria: ciò sulla base dell’affermazione, reputata erronea, per cui non ne sarebbero esistiti i presupposti.

Il motivo è inammissibile.

Il ricorrente assume che la protezione umanitaria gli spetterebbe in ragione delle condizioni socio-economiche della Nigeria. Nondimeno, in materia di protezione umanitaria la temuta violazione dei diritti umani deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455, in motivazione; Cass. 2 aprile 2019, n. 9304). L’allegazione del ricorrente si mostra quindi priva di decisività.

4. – Il ricorso è in conclusione respinto.

5. – Non è luogo a pronunciare sulle spese processuali.

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 30 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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