Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32938 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. III, 20/12/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 20/12/2018), n.32938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 908-2017 proposto da:

N.D., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA OTRANTO 36,

presso lo studio dell’avvocato DAMIANO GIANANDREA, che li

rappresenta e difende unitamente agli avvocati PIERFRANCESCO

ZAMPIERI, GIANLUCA GARBIN giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

S.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SANATAMAURA

N.72, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE SALACCHI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO TUROLLA giusta

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1219/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/05/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/09/2018 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

N.D., proprietario di un appartamento sito in Padova nell’ambito del condominio cd. “(OMISSIS)” e promittente venditore del medesimo nei confronti di M.N., promissaria acquirente, propone ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia del 27/05/2016 che, rigettando il suo appello, ha confermato la sentenza di primo grado relativa all’assenza di responsabilità della amministratrice del condominio S.L., per informazioni rese nei confronti della M. in relazione all’immobile promesso in vendita per pretesa violazione dei doveri di cui agli artt. 1130,1131 e 1387 c.c. e art. 2043 c.c.. La Corte d’Appello ha ritenuto, per quel che ancora rileva in questa sede, che le informazioni rese dalla S. in merito ai vizi presenti sulle cose comuni, fossero veritiere; che le medesime fossero basate su una perizia resa in giudizio dal perito incaricato dal condominio, della cui terzietà ed attendibilità non poteva dubitarsi; che la S. non disponesse di altre stime; che non vi fosse alcuna prova di un ventilato conflitto di interessi in capo alla S. per essere la medesima, oltre che amministratrice del condominio (OMISSIS), anche titolare di un’impresa di intermediazione immobiliare con cui la promissaria acquirente era entrata in contatto nello stesso periodo in cui aveva visionato l’appartamento di proprietà del N.; che, difettando il requisito della illegittimità della condotta della S., era irrilevante l’eventuale sussistenza del nesso causale tra essa e l’evento lesivo, consistito nel rifiuto della promissaria acquirente di stipulare il contratto definitivo e di restituire la caparra, dopo aver appreso dalla S. che i vizi che affliggevano l’immobile erano assai più gravi di quelli dichiarati in occasione del primo colloquio e che gli stessi avrebbero richiesto una somma non inferiore ad Euro 100.000 per poter essere eliminati; che, escluso l’inadempimento, era assorbito il motivo di appello relativo al quantum del danno risarcibile.

Avverso la sentenza N.D. propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi illustrati da memoria. Resiste S.L. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e consistente nell’avere la S. abusato dell’istituto della ipoteca giudiziale iscrivendo ipoteca sui beni del N., per ottenere la garanzia del pagamento delle spese giudiziali cui il medesimo era stato condannato in primo grado. Ad avviso del ricorrente la Corte d’Appello avrebbe illegittimamente omesso di pronunziare sulla quantificazione del danno, consistente nell’aver iscritto ipoteca giudiziale per un importo molto maggiore del credito per spese giudiziali e per aver dichiarato assorbita anche la domanda di condanna ex art. 96 c.p.c..

2. Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) dell’art. 96 c.p.c., dell’art. 2043 c.c. degli artt. 111 e 2 Cost., artt. 2740, 2828 e 2877 c.c. per non aver la Corte d’Appello statuito sulla domanda di danni ex art. 96 c.p.c. per abuso del diritto, consistente nell’aver iscritto ipoteca per un importo molto superiore alle spese giudiziali di primo grado.

I due motivi possono essere trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione e sono entrambi manifestamente infondati.

1.1 Il primo, in quanto la sentenza ha correttamente dichiarato assorbito il motivo di appello sul quantum per aver rigettato la domanda, presupposta, di accertamento della responsabilità della S.. La sentenza è conforme al consolidato orientamento di questa Corte sull’assorbimento cd. improprio, secondo il quale la decisione cd. assorbente comporta una pronuncia sulla quale si forma il giudicato anche sulla questione assorbita, in quanto ad essa legata da un rapporto di implicazione logica (ex multiis tra le più recenti Cass., 6-3 n. 13534 del 30/5/2018; Cass., 1, n. 8571 del 6/4/2018).

2.1 Il secondo motivo è manifestamente infondato sia per le ragioni già indicate con riguardo al primo motivo sia per la carenza assoluta dei presupposti per la pronuncia ex art. 96 c.p.c., comma 2, il quale presuppone per la sua applicazione, l’inesistenza del diritto per cui è stata iscritta ipoteca giudiziale, mentre nel caso in esame è pacifico che il credito esistesse, così come liquidato dalla sentenza del Tribunale. La sentenza che non ha pronunciato sulla domanda ex art. 96 c.p.c., comma 2 è del tutto conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte che, al fine di configurare una responsabilità aggravata connessa all’iscrizione di ipoteca giudiziale, richiede il presupposto dell’inesistenza del credito, non essendo sufficiente che il valore dei beni assoggettati ad ipoteca sia largamente superiore all’ammontare del credito azionato in via monitoria (Cass., 1, n. 13107 del 28/5/2010; Cass., 1, n. 23271 del 15/11/2016; Cass. 3, n. 6533 del 5/4/2016).

3. Con il terzo motivo denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione al comportamento tenuto dalla S. ed al preteso conflitto di interessi tra l’attività di amministratrice del condominio “(OMISSIS)” con l’attività di socia e agente immobiliare dell’Agenzia Immobiliare Colonna. Violazione artt. 115 e 116 c.p.c..

Ad avviso del ricorrente la sentenza sarebbe censurabile per aver valorizzato solo le dichiarazioni della S. dell’8/7/2009 e non anche quelle del 3/7/2009, dal confronto delle quali sarebbe emerso il conflitto di interessi in capo alla S. per aver reso informazioni tra loro contraddittorie al fine di indurre la promissaria acquirente a revocare la proposta d’acquisto dell’appartamento del N. e ad acquistarne un altro proposto dalla agenzia di intermediazione immobiliare di cui ella era socia.

3.1 n motivo è inammissibile in quanto consiste nel sollecitare la Corte ad un riesame dei fatti, sui quali il giudice del merito si è pronunciato con una motivazione adeguata e conforme al minimo costituzionale di cui alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass., S.U., n. 8053 del 7/4/2014).

4. Con il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1710 e segg. c.c., nonchè degli artt. 1130 e 1131 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La sentenza avrebbe violato le norme sul mandato tra amministratore e condominio e quelle sulle attribuzioni dell’amministratore rendendo informazioni tra loro contraddittorie.

4.1 Il motivo è inammissibile perchè si risolve nel sollecitare questa Corte ad un riesame del merito, degli elementi di fatto e delle prove valutate dal giudice di merito. La sentenza impugnata è conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 deve essere intesa a far valere, a pena di inammissibilità, carenze o lacune nelle argomentazioni o illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori del comune ma non può essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte nè a proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice (Cass., 2, 22/3/2013 n. 7330; Cass., L, n. 7394 del 26/3/2010).

5. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed il ricorrente condannato alle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, ed al cd. raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 5.200 (oltre Euro 200 per esborsi), oltre accessori di legge e spese generali al 15%. Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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