Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32938 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. I, 13/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 13/12/2019), n.32938

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 35251/2018 R.G. proposto da:

I.Y.E., rappresentato e difeso giusta delega in

atti dall’avv. Mariagrazia Stigliano con studio in Taranto, via Alto

Adige n. 95 (indirizzo PEC (OMISSIS));

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato (PEC (OMISSIS));

– intimato –

Avverso il decreto del Tribunale di Lecce n. 2748/2018 depositato il

09/11/2018;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

24/10/2019 dal consigliere Dott. Roberto Succio.

Fatto

RILEVATO

che:

– con il provvedimento di cui sopra il Tribunale ha respinto la domanda di I.Y.E. che aveva impugnato il diniego della Commissione territoriale di Lecce chiedendo in principalità il riconoscimento dello status di rifugiato e in subordine la protezione sussidiaria ovvero ordinarsi al Questore D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6 la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

– riferiva il richiedente di essere cittadino egiziano, originario di (OMISSIS), e di aver lasciato il paese di origine in quanto la sua numerosa famiglia era molto povera;

– avverso detto decreto si propone ricorso per Cassazione con atto affidato a due motivi; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il primo motivo di ricorso (che invero non si articola con individuazione puntuale e pertinente delle disposizioni di legge che si assumono violate) censura la gravata sentenza, in sostanza, per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 7, art. 14, lett. c.) dell’art. 1(2) della Convenzione del 1951 e/o del protocollo del 1967 e del 2006, del protocollo di Palermo del 2000, della Convenzione di Varsavia ratificata con L. n. 1008 del 2010, e infine dell’art. 2 della Direttiva 2001/36/UE per avere, in sintesi, non avere il giudice di Lecce valutato il requisito della vulnerabilità in capo al ricorrente, in quanto minore costretto a esercitare l’attività di “scafista”;

– il motivo è inammissibile, e comunque privo di fondamento;

– in primo luogo, come si evince dal provvedimento impugnato, il ricorrente in sede di audizione ha dichiarato di “aver lasciato il proprio paese per ragioni economiche” (pag. 2 del decreto); tanto basterebbe a concludere per l’inammissibilità; inoltre non vi sono elementi in atti, nè sono dedotti concretamente elementi, idonei a far concludere positivamente in ordine alla effettiva soggezione del ricorrente a una banda di “scafisti”;

– in ogni caso il motivo, che presenta ulteriori profili di inammissibilità in quanto prospetta in modo confuso censure eterogenee, pone nel concreto questioni valutative tipiche dei gradi del merito, veicola vizi motivazionali in modo difforme dal paradigma del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) (Cass. Sez. U, 8503/2014; Cass. 27415/2018) e più che colpire con precisione lambisce solamente la ratio decidendi della pronuncia gravata, è comunque infondato;

– occorre richiamare, quanto al primo profilo sopra riportato, l’orientamento di questa Corte per cui le condizioni di indigenza non rilevano ex sè ai fini del riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, essendo a tal fine necessario che tali situazioni siano l’effetto della grave violazione dei diritti umani subita nel Paese di origine, ai sensi degli artt. 2, 3 e 4 della CEDU (Cass. 28015/2017, 25075/2017, 26641/2016). Occorre inoltre il riscontro di “seri motivi” (non tipizzati) diretti a tutelare situazioni di vulnerabilità individuale, mediante una valutazione comparata della vita privata e familiare del richiedente in Italia e nel Paese di origine, che faccia emergere un’effettiva ed incolmabile sproporzione nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa, da correlare però alla specifica vicenda personale del richiedente, “perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6” (Cass. 4455/2018). Proprio su queste basi è stato di recente ritenuto, in un caso analogo, “che le generiche condizioni di povertà del soggetto, rapportate alla situazione di povertà del paese di provenienza, non rientrano nel novero delle circostanze che giustificano la protezione umanitaria, in assenza delle condizioni di vulnerabilità, nel caso di specie neppure specificamente allegate, contemplate dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19” (Cass. 31670/2018);

– il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 2 Cost., dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, del D.P.R. n. 394 del 1999, art. 11, comma 1, lett. c-ter dell’art. 2 Cost. e art. 10 Cost., comma 3, per non avere il Tribunale valutato la condizione di vulnerabilità de ricorrente;

– il motivo è infondato;

– osserva la Corte come il mezzo di gravame in concreto non tenga conto del fatto che la situazione di vulnerabilità rilevante a tal fine deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente, e non resta integrato da condizioni di povertà o generali del suo paese d’origine: avendo, invero, questa Corte già avuto occasione di chiarire, nella recente sentenza n. 4455 del 2018 (successivamente ribadendolo in Cass. n. 17072 del 2018), che, se assunto isolatamente, il contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza non integra, di per sè solo ed astrattamente considerato, i seri motivi di carattere umanitario, o derivanti da obblighi internazionali o costituzionali, cui la legge subordina il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria;

– conclusivamente, il ricorso è rigettato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ove dovuto pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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