Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32935 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. I, 13/12/2019, (ud. 24/10/2019, dep. 13/12/2019), n.32935

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 19147/2018 R.G. proposto da:

O.S., (alias O.A.) rappresentata e difesa

giusta delega in atti dall’avv. Noemi Nappi del Foro di Avellino

(indirizzo PEC noemi.nappi-avvocatiavellinopec.it);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato (PEC

ags.rm-mailcert.avvocaturastato.it)

– intimato –

Avverso il decreto del Tribunale di Lecce n. 1009/2018 depositato il

04/05/2018;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

24/10/2019 dal consigliere Dott. Roberto Succio.

Fatto

RILEVATO

che:

– con il provvedimento di cui sopra il Tribunale ha respinto la domanda della ricorrente O.A. che aveva Impugnato il diniego della Commissione Territoriale competente chiedendo il riconoscimento in via principale dello status di rifugiato e in subordine la protezione sussidiaria ovvero la trasmissione degli atti al Questore per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

– riferiva O.A. di essere cittadina nigeriana, originaria di (OMISSIS) e di aver lasciato il proprio paese di origine in quanto oggetto di maltrattamenti da parte del marito, dal quale si era separata, e di temere in caso di rimpatrio di essere uccisa dallo stesso;

– avverso detto decreto O.A. propone ricorso per Cassazione con atto affidato a quattro motivi; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il primo motivo di ricorso censura la gravata sentenza per violazione del D.Lgs. n. 215 del 2007, art. 3, comma 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per non avere il giudice dell’appello applicato i principi in materia di attenuazione dell’onere della prova gravante in capo al richiedente protezione internazionale;

– il motivo è infondato;

– come si evince dalla lettura della sentenza, la Corte territoriale ha con accertamento in fatto in questa sede non più censurabile ritenuto inattendibile la narrazione del ricorrente; tal elemento ha rilevanza fondamentale, in quanto secondo la giurisprudenza di questa Corte “in tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a) essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c) ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate.” (Cass. ord. n. 27503/18, in particolare, v. Cass. ord. n. 27336/18, sul fatto che la domanda diretta a ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottragga al principio dispositivo, sia pure attraverso la cooperazione istruttoria del giudice – (Cass. ord. n. 26921/17) – attraverso un onere probatorio attenuato, v. in proposito, anche Cass. ordd. nn. 15782/14, 4138/11);

– nel caso di specie, poi, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici d’appello hanno in concreto – in realtà debitamente utilizzato i propri poteri istruttori, per verificare officiosamente la situazione del paese di provenienza dello straniero (vedi pp. 5 e 6 della sentenza impugnata), mentre, in riferimento alla situazione personale del richiedente, il Tribunale ha escluso che dalla narrazione dello straniero, risultassero elementi che potessero far configurare quei fatti come costitutivi del diritto azionato per ottenere la protezione sussidiaria;

– il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 251 del 2008, artt. 7 ed 8 e degli artt. 3 e 60 della Convenzione di Istanbul dell’11.5.2011 e vizio di motivazione nella mancata concessione dello status di rifugiato alla ricorrente, in quanto donna vittima di maltrattamenti, per non avere il Tribunale valutato correttamente la sussistenza dei presupposti di legge;

– il motivo è inammissibile quanto alla sua prima articolazione stante la sopra già richiamata inattendibilità della ricorrente, che tale è stata ritenuta (pag. 5 primo periodo) dal Tribunale, con valutazione in fatto non più suscettibile di censura in questa sede;

– analogamente, nella parte in cui formula censura motivazionale, lo stesso risulta inammissibile in quanto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ratione temporis vigente non sono più consentite censure di tal fatta se non nel caso di motivazione priva del c.d. “minimo costituzionale”, caso che qui non si verifica;

– il terzo mezzo di gravame denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. g) e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione della protezione sussidiaria, per avere il giudice di Lecce ritenuto la condizione di donna maltrattata non costituente trattamento inumano o degradante;

– il motivo è inammissibile in quanto privo di collegamento con la ratio decidendi;

– invero, il Tribunale ha ritenuto (ancora pag. 5 primo periodo) determinanti per escludere, con accertamento in fatto, la situazione di maltrattamenti e minacce denunciata dalla ricorrente, stante un racconto “intriso di contraddizioni e di elementi vaghi e generici” puntualmente riportati in sentenza; quanto alla censura motivazionale ulteriormente svolta la stessa è – per le ragioni svolte – parimenti inammissibile;

– il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari per non avere il Tribunale preso in esame la situazione di violazione dei diritti umani nel paese di provenienza;

– il motivo è infondato;

– invero, come si evince dalla sentenza impugnata, il secondo giudice ha ampiamente esaminato la situazione della Nigeria con riferimento specifico alla febbre di Lassa che ha colpito quella nazione, ed ha accertato in fatto come (pagg. 7 sino a 9) il governo Nigeriano si sia attivato e “organizzato per contrastare e limitare i contagi”;

– conclusivamente quindi il ricorso va rigettato.

PQM

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato ove dovuto pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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