Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32931 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. III, 20/12/2018, (ud. 06/06/2018, dep. 20/12/2018), n.32931

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24609/2016 R.G. proposto da:

C.P., P.N.M., C.M. e F.M.,

rappresentati e difesi dagli Avv.ti Vincenzo Cordola e Gaetano

Alessi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in

Roma, via Monte Zebio, n. 28;

– ricorrente –

contro

C.L., rappresentato e difeso dall’Avv. Giampiero Maffi, con

domicilio eletto in Roma, Via Antonio Gramsci, n. 14, presso lo

studio dell’Avv. Federico Hernandez;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia, n. 643/2016,

pubblicata il 30 giugno 2016;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 6 giugno 2018

dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Brescia ha confermato il rigetto delle opposizioni proposte da C.P., P.N.M., C.M. e F.M., quali ex soci della cessata società Albergo Ristorante D. F.lli & C. s.n.c., avverso i decreti ingiuntivi nei loro confronti emessi, su ricorso di C.L., per il pagamento dei canoni da questo pretesi, con riferimento alle annualità 2003/2004 e 2004/2005, per la locazione di immobile (in comproprietà per pari quote indivise tra lo stesso e i germani C.P., M. e Mi.) in proporzione alla propria quota del 25%, in favore della società.

Ha infatti ritenuto:

– autentica (all’esito di rinnovata c.t.u. grafologica) e riconducibile a C.P., amministratore della s.n.c., la firma apposta sul contratto di locazione del 25/11/2003, posto a fondamento della pretesa;

– irrilevante la stipula di preesistente contratto di comodato, datato 9/2/1999, in relazione al medesimo immobile (essendo stato questo concluso dal genitore, originario proprietario dell’immobile e dante causa dei fratelli C., in favore della predetta società di cui lo stesso era al tempo amministratore, e risultando la stipula del successivo contratto di locazione giustificata dalle diverse esigenze maturate a seguito: a) del trasferimento della proprietà indivisa dell’immobile, per successione ereditaria, in capo ai predetti germani; b) della successiva uscita dalla compagine sociale di uno di essi, C.L., per cessione della propria quota);

– l’idoneità del contratto a vincolare la società, sebbene sottoscritto da uno solo degli amministratori, trattandosi di atto di ordinaria amministrazione.

2. Avverso tale decisione C.P., P.N.M., C.M. e F.M. propongono ricorso per cassazione, articolando tre motivi, cui resiste C.L., depositando controricorso.

I ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 101 c.p.c., e dell’art. 111 Cost..

Lamentano l’esistenza di varie irregolarità nello svolgimento della consulenza, la non imparzialità del consulente grafologo, l’irregolare acquisizione dei documenti da parte dello stesso.

2. Con il secondo motivo essi poi denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 2257 c.c., per avere la Corte d’appello ritenuto vincolante ed efficace il contratto di locazione del 25/11/2003, sebbene sottoscritto da uno solo dei soci amministratori (sostengono trattarsi di atto di straordinaria amministrazione, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza).

3. Con il terzo motivo infine deducono omesso esame di fatti decisivi discussi tra le parti, per non avere la Corte d’appello considerato le difese svolte circa i pregressi rapporti di comodato gratuito risalenti al 9/2/1999 ed al 24/5/2002; per avere valutato erroneamente il significato probatorio dell’assegno di conto corrente bancario n. (OMISSIS); per avere omesso di considerare le seguenti altre circostanze e argomenti illustrati nei motivi d’appello: C.L., avendo ceduto la propria quota sociale in data 8/5/2002, non aveva interesse a stipulare in data 24/5/2002 contratto di comodato gratuito per il godimento dell’immobile destinato ad attività alberghiera; il modulo di registrazione del contratto di comodato gratuito del 24/5/2002 riportava dati anagrafici falsati del soggetto formalmente indicato quale richiedente; l’assegno bancario intestato a S.D. risultava sfornito di luogo e data di emissione; l’assegno n. (OMISSIS) risultava incassato dall’azienda Mo-Be per una fornitura di bibite e non era quindi destinato a garantire il contratto di locazione invocato da C.L..

4. Il controricorrente ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto tardivamente proposto al di là del termine breve per impugnare.

L’eccezione deve ritenersi fondata.

Ed infatti:

a) è documentato in atti che la sentenza è stata notificata, a mezzo p.e.c. agli odierni ricorrenti, nel domicilio eletto presso i difensori per essi costituiti in grado d’appello, in data 19 luglio 2016; la notifica deve considerarsi idonea a far decorrere il termine breve per impugnare ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 170,285 e 325 c.p.c.; questa Corte ha invero da gran tempo chiarito che, a tali fini, la notifica della sentenza alla parte presso il procuratore costituito deve considerarsi equivalente alla notifica al procuratore stesso ai sensi degli artt. 170 e 285 c.p.c., in quanto l’una e l’altra forma di notificazione sono in grado di soddisfare l’esigenza di assicurare che la sentenza sia portata a conoscenza della parte per il tramite del suo rappresentante processuale, professionalmente qualificato ad esprimere un parere tecnico sulla opportunità e la convenienza della proposizione del gravame (Cass. 13/07/1972, n. 2370; 23/03/1977, n.1128; 08/03/1979, n.1435; 18/05/1981, n. 3267; 23/05/1992, n. 6186; 18/08/1998, n. 8143 e, tra le più recenti, Cass. 15/06/2004, n. 11257; 08/05/2008, n. 11216; 11/06/2009, n. 13546; 18/09/2009, n. 20193; 01/09/2014, n. 18493);

b) considerata anche la sospensione per il periodo feriale, detto termine (breve) per impugnare, pari a sessanta giorni (art. 325 c.p.p., comma 2), veniva a scadere il 18 ottobre 2016;

c) i ricorrenti, dopo un primo tentativo di notifica a mezzo posta del ricorso, in data 18 ottobre 2016, mediante consegna di copia dello stesso al domicilio eletto presso l’Avv. Giampiero Maffi nel suo studio in (OMISSIS), non andato a buon fine per irreperibilità del destinatario, hanno notificato il ricorso a mezzo p.e.c. in data 2 novembre 2016, data alla quale, per quanto appresso sarà detto, occorre aver riguardo ai fini della verifica della tempestività del ricorso.

5. Ciò posto in punto di fatto, è anzitutto da escludere che possa in questa sede venire in rilievo la previsione di cui all’art. 291 c.p.c., circa gli effetti retroattivi della rinnovazione della notifica nulla.

E’ evidente infatti che si è al cospetto non già di una mera nullità della notifica ma di una vera e propria inesistenza, ricorrendo uno dei pur ormai ristrettissimi casi in cui una tale ipotesi è configurabile secondo il dictum di Cass. Sez. U. n. 14916 del 20/07/2016, quello cioè in cui – per usare gli stessi termini del citato arresto – “l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, così da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioè, in definitiva, omessa”, con conseguente impredicabilità di una rinnovazione iussu iudicis sanante con effetto ex tunc, ai sensi dell’art. 291 c.p.c..

Sono invece inconferenti nella specie i richiami giurisprudenziali indicati in memoria dai ricorrenti, in quanto tutti precedenti al detto arresto e relativi peraltro a fattispecie diverse nelle quali vengono in rilievo peculiarità proprie del processo tributario.

6. Detto dunque della inesistenza (e non mera nullità) della prima notifica, occorre valutare se e quali effetti possano riconoscersi alla sua successiva rinnovazione (ossia alla seconda notifica del ricorso effettuata, con successo, a mezzo p.e.c., il 2 novembre 2016).

Al riguardo la giurisprudenza distingue a seconda che l’errore sul domicilio del difensore domiciliatario (errore che ha determinato l’esito negativo della prima notifica) sia o meno imputabile al notificante.

6.1. L’errore si considera imputabile ove sia richiesta all’ufficiale giudiziario la notifica dell’impugnazione nel domicilio di un procuratore esercente l’attività nell’ambito della circoscrizione di assegnazione: in tal caso, ai fini dell’indicazione del luogo di consegna dell’atto, va indicato il “domicilio professionale” (cfr. R.D.L. n. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 17) oppure la “sede dell’ufficio” (R.D. 22 gennaio 1934, n. 37, art. 68) del procuratore e il previo accertamento dell’uno o dell’altra è a carico del notificante e va soddisfatto con il previo riscontro presso l’albo professionale.

6.2. Si considera, invece, non imputabile nel diverso caso in cui la notificazione dell’atto di impugnazione sia indirizzata a procuratore che, esercitando il proprio ufficio in un giudizio che si svolge in circoscrizione diversa da quella del tribunale al quale è assegnato, abbia eletto domicilio nell’ambito della detta circoscrizione: in tal caso la notifica è correttamente indirizzata, da parte del notificante, in questo luogo, ai sensi del combinato disposto degli artt. 330 e 141 c.p.c., anche qualora il domiciliatario sia un avvocato iscritto al locale albo professionale, senza che sia necessario il previo riscontro presso questo albo a carico del notificante, essendo in tal caso infatti onere della parte che ha eletto domicilio indicare alla controparte eventuali mutamenti del domicilio eletto (v. ex aliis Cass. Sez. U. 18/02/2009, n. 3818; Cass. Sez. U. 24/07/2009, n. 17352; 13/02/2014, n. 3356; Cass. 18/11/2014, n. 24539; 19/10/2017, n. 24660).

6.3. Si considera a fortiori non imputabile l’omessa notifica presso il domicilio effettivo conseguente: al mancato aggiornamento dell’albo professionale (Cass. 12/03/2008, n. 6547); alla morte del procuratore indicato in sentenza (Cass. 21/11/2006, n. 24702); all’erronea informazione del trasferimento del domicilio fornita da un terzo all’ufficiale giudiziario (Cass. 04/05/2006, n. 10216).

6.4. Nel primo caso – errore nella indicazione dell’indirizzo del procuratore domiciliatario imputabile al notificante – l’impugnazione potrà ritenersi tempestivamente proposta solo se la rinnovata notifica intervenga entro il termine per impugnare, non potendosi farne retroagire gli effetti fino al momento della prima notifica (v. Cass. Sez. U. n. 3818 del 2009, cit.; Cass. 21/06/2007, n. 14487; 01/07/2005, n. 14033).

6.5. Nel secondo e nel terzo caso invece – errore non imputabile al notificante – si ammette che la ripresa del procedimento notificatorio abbia effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, restando pertanto irrilevante che essa abbia luogo dopo lo spirare del termine per impugnare; ciò purchè la ripresa del processo notificatorio sia attivata con “immediatezza” appena appresa la notizia dell’esito negativo della notificazione – restando a carico della stessa l’onere di indicare e provare il momento in cui ha appreso dell’esito negativo della notifica (Cass. Sez. U. n. 14594 del 2016, cit.; Cass. n. 19060 del 2015) – e sia svolta con “tempestività” (e precisamente entro un termine che le Sezioni Unite di questa Corte hanno ritenuto di poter fissare in misura pari alla metà del tempo indicato per ciascun tipo di atto di impugnazione dall’art. 325 c.p.c. (e dunque, per il ricorso per cassazione, in trenta giorni), salvo una rigorosa prova in senso contrario (ad esempio, relativa a difficoltà del tutto particolari nel reperire l’indirizzo del nuovo studio)”) (Cass. Sez. U. n. 14594 del 2016, motivazione p. 30).

7. Alla luce di tali premesse è agevole osservare che, nel caso di specie, ricorre la prima della ipotesi sopra esaminate (errore imputabile al notificante), atteso che:

a) il difensore dell’appellato, Avv. Giampiero Maffi del Foro di Brescia, svolgeva la propria attività nell’ambito della circoscrizione di assegnazione;

b) l’elezione di domicilio, per il giudizio di appello, presso il proprio studio in (OMISSIS), non poteva dunque considerarsi effettuata ai sensi del R.D. n. 37 del 1934, art. 82;

c) in tale contesto il ricorso andava indirizzato, ai sensi dell’art. 330 c.p.c., comma 1, al procuratore costituito, previa verifica, a cura del notificante, dell’effettivo e attuale domicilio professionale;

d) risulta che il procuratore destinatario della notifica avesse provveduto al tempestivo aggiornamento dell’albo professionale con l’indicazione del suo nuovo recapito;

dl) al riguardo i ricorrenti si limitano invero ad obiettare, nella memoria illustrativa depositata ai sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., che l’Avv. Giampiero Maffi avrebbe “disdetto il domicilio dichiarato… appena dopo aver ricevuto comunicazione della sentenza n. 643/2016 della Corte d’appello di Brescia”;

d2) l’allegazione è smentita dalla documentazione prodotta dal contro ricorrente che ha allegato comunicazione di mutamento del domicilio risalente già al 30 luglio 2014 (v. all. 3 al controricorso) ed è comunque inconferente atteso che, quand’anche il mutamento fosse intervenuto nella data indicata dai ricorrenti, ciò non varrebbe ad escludere l’imputabilità al notificante dell’esito negativo della prima notifica, a tal fine rilevando unicamente il dato, da considerarsi conseguentemente incontroverso, che al momento in cui la prima notifica è stata tentata (18/10/2016) – nettamente successiva a quella di comunicazione della sentenza – il notificante aveva comunque piena possibilità di avvedersi, attraverso la rapida consultazione dell’albo professionale, di quale fosse il domicilio o l’ufficio attuale del destinatario della notifica.

E’ pertanto da escludere che la rinnovazione della notifica possa in tale contesto produrre effetto sin dall’inizio del procedimento notificatorio non andato a buon fine.

8. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, restando assorbito l’esame dei motivi che ne sono posti a fondamento.

Alla soccombenza segue la condanna dei ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Ricorrono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.200 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 14 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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