Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32930 del 20/12/2018

Cassazione civile sez. III, 20/12/2018, (ud. 16/03/2018, dep. 20/12/2018), n.32930

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26368-2014 proposto da:

M.P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DEL TAGLIAMENTO 76, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

NACCARATO, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO SERIO giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA DI GIRGENTI SPA IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in

persona del Dott. G.L., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GAETANO DONIZETTI 7, presso lo studio dell’avvocato GIROLAMO

BONGIORNO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CARMELO LATINO giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

C.R.;

– intimato –

nonchè da:

MI.GI., P.V., MI.VI.LU.,

MI.SI., MI.MA., MI.CA., nella qualità di

eredi con beneficio di inventario di mi.gi.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28/A presso lo

studio dell’avvocato GAETANO ALESSI, rappresentati e difesi

dall’avvocato GUIDO SINATRA giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrenti-

contro

BANCA DI GIRGENTI SPA IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in

persona del Dott. G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GAETANO DONIZETTI 7, presso lo studio dell’avvocato GIROLAMO

BONGIORNO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CARMELO LATINO giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

M.P.G., D.M., CA.AU.,

PE.EN., C.R.;

– intimati –

nonchè da:

PE.EN., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIAVE 52 presso lo

studio di RENATO CARCIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GUIDO SINATRA giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA DI GIRGENTI SPA IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in

persona del Dott. G.L., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GAETANO DONIZETTI 7, presso lo studio dell’avvocato GIROLAMO

BONGIORNO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CARMELO LATINO giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

M.P.G., D.M., C.A.,

C.R., MI.GI., P.V.,

MI.VI.LU., MI.SI., MI.MA., tutti eredi di

mi.gi. con beneficio d’inventario, MI.CA.;

– intimati –

nonchè da:

CA.AU., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIAVE 52

presso lo studio di RENATO CARCIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GUIDO SINATRA giusta procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA DI GIRGENTI SPA IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in

persona del Dott. G.L., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GAETANO DONIZETTI 7, presso lo studio dell’avvocato GIROLAMO

BONGIORNO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CARMELO LATINO giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

M.P.G., C.R., D.M.,

PE.EN., MI.GI.;

– intimati –

nonchè da:

D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MICHELE

MERCATI 42, presso lo studio dell’avvocato CARLO ROTILI,

rappresentato e difeso dall’avvocato MICHELE PERRINO giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

BANCA DI GIRGENTI SPA IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA, in

persona del Dott. G.L., elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA GAETANO DONIZETTI 7, presso lo studio dell’avvocato GIROLAMO

BONGIORNO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CARMELO LATINO giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

M.P.G., C.A., PE.EN.,

C.R. e MI.GI., P.V.,

MI.VI.LU., MI.SI., MI.MA., MI.CA.

nella qualità di eredi con beneficio d’inventario di

mi.gi.;

avverso la sentenza n. 487/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 24/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2018 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE ALESSANDRO, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi 5 per

Ca. e 3 per Pe., rigetto per tutti gli altri ricorsi;

udito l’Avvocato GIUSEPPE NACCARATO per delega orale;

udito l’Avvocato FRANCESCA LATINO per delega;

udito l’Avvocato GUIDO SINATRA per delega per Ca.;

udito l’Avvocato ANNA CASTAGNA per delega;

udito l’Avvocato GUIDO SINATRA per Pe. e Mi. G. + altri.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.P.G. ha proposto ricorso per cassazione contro la Banca di Girgenti S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 487 del 24 marzo del 2014 e tale ricorso è stato iscritto a ruolo prima di altri quattro ricorsi proposti separatamente contro la stessa sentenza, così assumendo il valore di ricorso principale.

2. Tali ricorsi sono stati separatamente proposti:

a) da Ca.Au. contro la stessa Banca e nei confronti del M., di C.R., D.M., Pe.En. e mi.gi.;

b) dal D. contro la Banca e nei confronti del M., del C., del Ca., del Pe. e altresì nei confronti di Mi.Gi., P.V., Mi.Vi.Lu., Mi.Si., Mi.Ca., tutti nella qualità di eredi con beneficio d’inventario di mi.gi.;

c) dal Pe. contro la Banca e nei confronti del M., del C., del Ca., del D. e dei detti eredi nella qualità;

d) dai detti eredi nella qualità contro la Banca e nei confronti del Pe., del M., del C., del Ca. e del D..

3. La Banca di Girgenti S.p.A. in liquidazione coatta amministrativa ha resistito con controricorso a ciascuno dei proposti ricorsi per cassazione.

4. La sentenza d’appello qui impugnata ha definito il giudizio di rinvio, scaturito dalla pronuncia resa da questa Corte di Cassazione in sede penale il 26 giugno 2008 ai sensi dell’art. 622 c.p.p., all’esito di un giudizio penale instaurato nei confronti di ex amministratori e sindaci della Banca di Girgenti, a seguito della dichiarazione nel 1991 di insolvenza della stessa, resa dal Tribunale di Agrigento con la formulazione di capi d’imputazione ai sensi della L. Fall., art. 216 e art. 223,comma 2, ossia per bancarotta fraudolenta reale e documentale, propria ed impropria.

In particolare, il M. veniva attinto dal procedimento penale nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Banca, il C. nella qualità di amministratore delegato, il D. ed il de cuius mi.gi. nella qualità di componenti del consiglio di amministrazione, ed il Pe. ed il Ca. nella qualità di sindaci.

4.1. La pronuncia resa da questa Corte di Cassazione in sede penale ai sensi dell’art. 622 citato, accogliendo il ricorso delle parti civili, annullava la sentenza resa in sede penale dalla Corte d’appello di Palermo nel novembre 2005 “limitatamente ai capi A1) nei confronti di C., M., Mi. e D., al capo A2) nei confronti di C., M. e Mi. ed al capo G) nei confronti di Ca. e Pe. rinviando per un nuovo esame”.

5. La Corte d’Appello di Palermo in sede civile, investita del rinvio, ha ritenuto la responsabilità di C.R., mi.gi., M.G.P., D.M., Pe.En. e Ca.Au., per l’insolvenza della Banca di Girgenti e ha condannato i suddetti in solido al risarcimento nei confronti della stessa banca oltre che alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione.

6. La trattazione dei ricorsi veniva fissata alla pubblica udienza del 16 maggio 2017 ed in relazione ad essa venivano depositate memorie da parte del D., del Pe., degli eredi Mi. e della Banca.

7. All’esito della discussione e della successiva camera di consiglio, il Collegio pronunciava l’ordinanza n. 22766 del 20 settembre 2017, con la quale:

a) osservava: a1) che, con riferimento ai ricorsi successivi a quello originario del M., tutti proposti anche nei confronti di C.R., non risultava “essere stata documentata la ritualità della notificazione nei suoi confronti, in quanto, dopo che si è tentata inutilmente la notificazione una prima volta presso una casa circondariale sull’assunto che fosse colà detenuto, all’esito dell’attestazione che la detenzione era cessata, la notificazione è stata effettuata presso un luogo indicato dalla casa circondariale ai sensi dell’art. 140 c.p.c., (…) ma non è stato prodotto l’avviso di cui a tale norma”; a2) che “la mancata produzione dell’avviso de quo, poichè i motivi dei ricorsi proposti nei confronti del C. concernono il comune accertamento della responsabilità del medesimo, dei detti ricorrenti e degli altri intimati in ciascuno dei detti ricorsi, sì da dar luogo al riguardo ad un profilo di inscindibilità della causa”, giustificava “l’applicazione del precetto di cui a Cass., Sez. Un. n. 14124 del 2010” e, dunque, l’ordine alle parti ricorrenti di cui a detti ricorsi di provvedere al rinnovo della notificazione nei confronti del C., ai sensi dell’art. 371-bis c.p.c.; a3) che “il conseguente rinvio a nuovo ruolo della trattazione si” doveva “estendere anche al ricorso proposto dal M., giacchè la decisione sui ricorsi proposti contro la stessa sentenza – al di là delle relazioni possibili nella specie fra i distinti ricorsi – è comunque opportuno che avvenga congiuntamente”;

b) sulla base di tale motivazione, visto l’art. 371-bis c.p.c., il Collegio ordinava ai detti ricorrenti di provvedere al rinnovo della notificazione dei rispettivi ricorsi nei confronti del medesimo, unitamente a copia dell’ordinanza e concedeva all’uopo termine di giorni sessanta dalla comunicazione del deposito della presente, rinviando la trattazione a nuovo ruolo.

8. All’ordinanza si è ottemperato da parte di tutti i ricorrenti che erano destinatari dell’ordine di rinnovo ed all’esito è stata fissata nuovamente la trattazione nell’odierna pubblica udienza, in vista della quale sono state depositate memorie da parte del D., del Pe., degli eredi Mi. e della Banca.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Poichè il ricorso proposto da M.P.G. è stato iscritto a ruolo prima degli altri, che assumono, pertanto, natura oggettivamente incidentale e vanno ad esso riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c., si procede prioritariamente al suo esame e, quindi, a quello degli altri ricorsi.

A) Esame del ricorso M..

2. Il ricorso proposto dal M. si articola in cinque motivi.

2.1. Con il primo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3 (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

La violazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, è prospettata con riferimento all’affermazione con cui la sentenza impugnata avrebbe rigettato l’eccezione relativa alla mancanza dell’autorizzazione da parte del Governatore della Banca d’Italia, osservando che “erano state prodotte l’autorizzazione del 26/11/91 per il giudizio civile e quella del 6/3/98 per la costituzione di parte civile nel giudizio penale (anche la Corte di Cassazione aveva dato atto di quest’ultima), nonchè del 10/3/2009 per il presente giudizio”.

La critica è svolta sostenendo che dal verbale di udienza del 12 novembre 2010 e dalle allegate conclusioni precisate in quella sede dalla Banca di Girgenti sarebbe, invece, emerso che quest’ultimo documento “ed altri due relativi al precedente giudizio civile poi trasferito in sede penale” erano stati depositati “per la prima volta in sede di appello senza alcuna autorizzazione della Corte di Appello”, onde la produzione sarebbe stata “tardiva e come tale inammissibile” e “la domanda avversaria avrebbe, quindi, dovuto essere (…) dichiarata improponibile, per difetto di prova della necessaria autorizzazione”.

2.1.1. Il motivo è privo di attività deduttiva della violazione della norma dell’art. 345 c.p.c., comma 3, la cui rilevanza nel giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. non viene, peraltro, spiegata, occorrendo evidentemente parametrarla ad un pregresso svolgimento di un giudizio di primo grado e considerato, del resto, che il giudizio nel quale è stata resa la sentenza impugnata è un giudizio di rinvio ex art. 392 c.p.c. e segg.. Inoltre, nemmeno è chiarito se la doglianza è riferita alla produzione di tutte le autorizzazioni evocate o solo a quella alla riassunzione a seguito del disposto rinvio.

In ogni caso, per quanto attiene all’autorizzazione alla costituzione di parte civile nel processo penale, il motivo, se lo si deve intendere riferito ad essa, si disinteressa dell’affermazione che la Corte di Cassazione in sede penale aveva fatto in riferimento alla sua esistenza, mentre, se lo si deve intendere riferito all’autorizzazione alla riassunzione, risulta privo di pregio, perchè l’eventuale produzione d’iniziativa della Banca non avrebbe fatto altro che realizzare spontaneamente l’effetto che si sarebbe potuto realizzare attraverso un ordine ai sensi dell’art. 182 c.p.c. da parte della corte territoriale (ordine doveroso, giusta Cass. Sez. Un. n. 9217 del 2010).

2.2. Il secondo motivo di ricorso si duole della “violazione e falsa applicazione degli artt. 651 e 652 c.p.p. in relazione all’art. 75 cit. codice (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Vi si denuncia “il basilare errore” che la corte territoriale avrebbe commesso ritenendosi investita della cognizione di tutte le ipotesi delittuose originariamente imputate al ricorrente per le quali era stato assolto con formula diversa da quella indicata dall’art. 652 c.p.p. (perchè il fatto non sussiste, perchè l’imputato non lo ha commesso, perchè il fatto è stato compiuto nell’esercizio di una facoltà legittima), “e non solo di quelle (capi A1 e A2) rispetto alle quali la Corte di Cassazione aveva disposto l’annullamento con rinvio al Giudice civile competente per valore in grado di appello”. I giudici palermitani avrebbero “completamente travisato l’ambito della devoluzione operata nei loro confronti, ignorando che esso era limitato alla materia oggetto dell’annullamento e giudicando come se – piuttosto che un giudizio in grado di appello, come inequivocamente statuito dalla sentenza penale della Corte di Cassazione – essi fossero competenti a conoscere dell’intera e complessa domanda risarcitoria trasferita, sin dall’inizio del processo penale, ex art. 75 c.p.p. in sede penale.”. In tal modo sarebbero incorsi in un “errore percettivo e di giudizio ancor più netto e decisivo in quanto la sentenza impugnata non ha in alcun modo considerato che entrambe le sentenze penali di merito si erano già pronunciate, accogliendole, sulle domande risarcitorie proposte dalle parti civili costituite (il capo della sentenza del Tribunale di Agrigento è stato confermato dalla corte territoriale), riservandone la liquidazione alla competente sede civile.” Sarebbe, quindi, “del tutto evidente che la Corte di Appello civile avrebbe dovuto considerare che, quanto alle domande risarcitorie proponibili in sede civile ai fini della liquidazione del danno (per tali dovendosi intendere quelle concernenti fatti non coperti dalla preclusiva sentenza penale d’assoluzione di cui al citato art. 652 c.p.p.), si sarebbe dovuta operare una distinzione tra quelle riguardanti le uniche due ipotesi delittuose oggetto di rinvio (capi A1 A2, relative alle vicende Silfi e Consorzio Club Gioiello) e le altre afferenti ai delitti non coperti dalla detta preclusione (capi A6, A7, D, Ha, a).

In particolare, solo in relazione alle prime, la Corte di Appello in sede di rinvio era competente ad esprimersi, e non anche rispetto alle altre diverse dalla statuizione di rinvio, che avrebbero dovuto seguire una sorte autonoma attraverso un ordinario giudizio civile per la liquidazione del danno: esse, infatti, non avevano ragione alcuna per essere attratte nel giudizio di rinvio, essendo state le statuizioni iniziali del primo grado penale confermate nei successivi gradi (di appello e di cassazione). Rispetto a queste ultime difettava in radice la competenza del giudice del rinvio, che intorno ad esse non avrebbe potuto in alcun modo giudicare (si noti incidentalmente che la sentenza impugnata, aggiungendo errore ad errore, dichiara a pag. 10 in modo generico ed impersonale che esistono capi per i quali alcuni imputati – tra i quali l’odierno ricorrente – avrebbero “riportato condanne irrevocabili”: la circostanza è del tutto destituita di fondamento come è agevole rilevare dall’esame coordinato delle tre sentenze penali.”.

Sulla base di tali asserti si chiede “l’annullamento senza rinvio della parti della sentenza impugnata che hanno trattato di ipotesi delittuose ulteriori e diverse rispetto alle due oggetto di rinvio” e ciò perchè la corte d’appello sarebbe intervenuta “su due vicende processuali separabili ed asimmetriche: l’una riguardante l’accertamento, in sede di rinvio per un nuovo esame, della responsabilità penale presupposto di quella civile in relazione ai reati di cui alle lettere A1 e A2 e l’altra avente ad esclusivo oggetto la liquidazione in autonoma sede civile dei danni eventualmente connessi – se provati nella loro esistenza – ad ipotesi delittuose per le quali vi era già stata pronuncia definitiva di assoluzione con formule diverse da quelle indicate nell’art. 652 c.p.c., comma 1”, atteso che “in nessun caso i piani di giudizio avrebbero potuto essere identici ed unitariamente affidati al medesimo Giudice”.

2.2.1. Il motivo, per un verso omette di individuare in modo chiaro la motivazione con cui la sentenza impugnata sarebbe incorsa nella lamentata violazione, delegando così a questa Corte di ricercare nella sentenza stessa ciò che potrebbe evidenziare l’errore denunciato, e, per altro verso, fondandosi sia sulla sentenza penale dispositiva del rinvio sia sulla sentenza penale di primo grado del Tribunale di Agrigento, omette sia di riprodurre direttamente il contenuto che giustificherebbe l’efficacia fondante del motivo oppure di riprodurlo indirettamente, indicano – in questo secondo caso – la parte dell’atto in cui l’indiretta riproduzione troverebbe corrispondenza, sia di localizzare almeno la sentenza del detto Tribunale, posto che quella di questa Corte in sede penale è localizzabile nell’archivio di questa stessa Corte.

Sotto il primo aspetto si rileva che il motivo di ricorso per cassazione, allorquando addebita alla sentenza di merito impugnata di avere commesso la violazione di norme di diritto con la sua motivazione, deve necessariamente individuare tale motivazione, in quanto tale individuazione fa parte della stessa struttura argomentativa di un motivo di impugnazione e non può affidare alla Corte di Cassazione la ricerca di quella parte della motivazione con cui la pretesa violazione sarebbe stata commessa.

Sotto il secondo aspetto il motivo viola l’art. 366 c.p.c., n. 6 quanto alle indicate carenze riproduttive dirette od indirette e quanto alla localizzazione in questo giudizio di legittimità riguardo alla sentenza del Tribunale. Indicazioni che la consolidata giurisprudenza della Corte, a partire da Cass. (ord.) n. 22303 del 2008 e Cass., Sez. Un., n. 28547 del 2008, considera imposte dal requisito previsto da detta orma, che costituisce il precipitato normativo del c.d. principio di autosufficienza del motivo di ricorso per cassazione (ex multis, Cass. n. 7455 del 2013).

2.2.2. Il Collegio rileva, peraltro, che l’astratta (e non verificabile in ordine alla sua rispondenza negli atti processuali) prospettazione del motivo risulterebbe come tale priva di fondamento in iure e che, dunque, il motivo sarebbe infondato. Ciò, giusta l’arresto con cui recentemente questa Corte, con ampia motivazione che ha superato il vecchio orientamento enunciato da Cass. n. 417 del 1996 e più di recente condiviso da Cass. n. 7704 del 2015, ha statuito che: “Nell’ipotesi di annullamento, ai soli effetti civili, da parte della Corte di cassazione, della sentenza penale contenente condanna generica al risarcimento del danno, si determina una piena translatio del giudizio sulla domanda civile al giudice civile competente per valore in grado di appello, il quale può procedere alla liquidazione del danno anche nel caso di mancata impugnazione dell’omessa pronuncia sul quantum ad opera della parte civile, atteso che, per effetto dell’impugnazione dell’imputato contro la pronuncia di condanna penale – la quale estende la sua efficacia a quella di condanna alle restituzioni ed al risarcimento del danno, ai sensi dell’art. 574 c.p.p., comma 4, – deve escludersi che si sia formato il giudicato interno sull’azione civile, sicchè questa viene sottoposta alla cognizione del giudice del rinvio nella sua integrità, senza possibilità di scissione della decisione sull’ “an” da quella sul “quantum”.” (così Cass. n. 15182 del 2017). Sicchè, è privo di pregio che i fatti delittuosi per cui era stata disposta la condanna generica agli effetti civili fossero estranei al giudizio di rinvio ex art. 622 c.p.p. e che il giudizio civile sul quantum dovesse seguire per esse il suo corso in via separata. Le ampie motivazioni enunciate nel recente arresto di questa Sezione danno esauriente spiegazione del superamento della vecchia diversa soluzione.

2.3. Con il terzo motivo si prospetta: “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. Vizi di extrapetizione e di violazione del contraddittorio (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Vi si sostiene che la sentenza sarebbe incorsa in extrapetizione, in quanto si sarebbe pronunciata “su materie estranee all’atto di citazione in riassunzione”, giacchè non avrebbe tenuto conto del fatto che in esso la Banca aveva circoscritto l’ambito del giudizio di rinvio in questi termini a pag. 6 dell’atto di riassunzione: “Ferma, perchè non più contestabile, la sussistenza, ancorchè soltanto ai fini del risarcimento dei danni alla parte civile, dei reati di cui ai capi A1, A2 e G del decreto di rinvio a giudizio, sottratti, per effetto della decisione del Supremo Collegio, alla declaratoria di estinzione per prescrizione, va detto che l’improcedibilità dei reati di cui al capo H di tale decreto, per non essere, i fatti in esso contestati più previsti come reato dalla legge, non riverbera alcun effetto sul diritto della parte civile al risarcimento dei danni derivati dalle violazioni in argomento E nella specie, non è ipotizzabile alcun ragionevole dubbio sulla certezza delle azioni e delle omissioni di cui al citato capo H….”.

Si assume, quindi, che “ferma restando la genericità del richiamo di una possibile responsabilità per violazione del capo H (estraneo al rinvio) non può recuperarsi il (carente) riferimento agli altri illeciti penali originariamente contestati all’odierno ricorrente, diversi da quelli oggetto del rinvio, attraverso le conclusioni (pag. 8) in cui genericamente si chiedeva alla Corte di Appello la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni causati “dalla loro illecita attività gestionale, sfuggita a qualsiasi pur sommaria vigilanza, dei danni subiti dalla Banca di Girgenti S.p.A. in l.c.a.”.”.

Mancherebbe “qualsiasi chiaro richiamo alle specifiche violazioni sussumibili nelle ipotesi delittuose (non contemplate nella sentenza di rinvio) dalle quali il ricorrente era stato assolto con formule diverse da quelle di cui all’art. 652 c.p.p.” e per il ricorrente non sarebbe stato “possibile – nè era necessario secondo il tenore dell’atto di riassunzione elaborare una difesa su tali fattispecie, in quanto non era immaginabile che su di esse potesse – in difetto di specifiche allegazioni e domande di parte – intervenire una sentenza”, la quale, dunque, sarebbe stata emessa “anche su temi rispetto ai quali era del tutto mancato il contraddittorio, non avendo essi formato materia di deduzioni o richieste dell’attrice”.

2.3.1. Il motivo è in primo luogo inammissibile, in quanto omette di localizzare, come imponeva l’art. 366 c.p.c., n. 6, l’atto di riassunzione in quanto prodotto in questo giudizio di legittimità e ciò perchè si astiene sia dall’indicarlo come prodotto, siccome indicato e richiesto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (sebbene all’ulteriore effetto dell’evitare la sanzione di improcedibilità colà prevista), sia – siccome ammesso da Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011, che, però, sottolineò l’onere di osservanza della detta norma dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e, dunque, di farne indicazione in tal senso – dichiarando invece, al fine di esentarsi dall’onere di produzione diretto, di voler fare riferimento alla sua presenza nel fascicolo d’ufficio della corte palermitana.

2.3.2. In ogni caso il motivo, se fosse esaminabile nonostante che la Corte non si stata posta in grado di verificarne i fatti fondanti, risulterebbe palesemente privo di fondamento nella sua pur non verificabile prospettazione.

Invero, quanto si riproduce del tenore dell’atto riassuntivo risulta di per sè pienamente idoneo a determinare la riassunzione con riferimento all’intero ambito della pretesa risarcitoria civile siccome devoluta al giudice di rinvio, giusta quanto si è rilevato a proposito del motivo precedente.

Si rammenta, in proposito, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, “Il giudizio di rinvio avanti al giudice civile designato, che abbia luogo a seguito di sentenza resa dalla Corte di cassazione in sede penale, ai sensi dell’art. 622 c.p.p.del 1989, è da considerarsi come un giudizio civile di rinvio del tutto riconducibile alla normale disciplina del giudizio di rinvio quale espressa dall’art. 392 c.p.c. e ss. ” (Cass. n. 17457 del 2007; adde, Cass. n. 7175 del 2015 per l’affermazione che ” Il giudizio in grado si appello sulle domande civili, celebrato a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione della sentenza penale, presenta struttura “chiusa”, ai sensi dell’art. 394 c.p.c.”).

Tanto premesso, si rileva ulteriormente che, sui contenuti dell’atto di riassunzione di cui all’art. 392 c.p.c., è altrettanto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il seguente insegnamento: “L’atto di riassunzione della causa innanzi al giudice di rinvio, poichè non dà luogo ad un nuovo procedimento, ma ad una prosecuzione dei precedenti gradi di merito, non deve contenere, ai fini della sua validità, la specifica riproposizione di tutte le domande, eccezioni e conclusioni originariamente formulate, essendo sufficiente che siano richiamati l’atto introduttivo del giudizio ed il contenuto del provvedimento in base a cui avviene tale riassunzione. Ne consegue che il giudice innanzi al quale sia stato riassunto il processo non incorre nel vizio di ultrapetizione qualora pronunci su tutta la domanda proposta nel giudizio ove fu emessa la sentenza annullata e non sulle sole diverse conclusioni formulate con il suddetto atto di riassunzione.” (Cass. n. 30529 del 2017).

E in aggiunta si ricorda che è pure pienamente condivisibile l’affermazione esplicativa secondo la quale “L’atto di riassunzione del procedimento dinanzi al giudice del rinvio deve soltanto esplicitare la volontà di ottenere la pronuncia di merito favorevole, atteso che l’accertamento fattuale derivante dalla sentenza di cassazione riguarda i poteri del giudice di rinvio, non la domanda giudiziale, che si forma e si definisce esclusivamente nel giudizio di primo grado, e che in sede di rinvio non sono ammissibili domande nuove (già precluse in appello), mentre sono consentite – e dunque non imposte quoad validitatem relativamente all’atto di riassunzione – le sole conclusioni diverse eventualmente necessitate dalla sentenza di cassazione (art. 394 c.p.c., comma 3).” (Cass. n. 3883 del 2017).

2.4. Con un quarto motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 652 c.p.p. in relazione all’art. 2395 c.c. e dei principi in materia di giudizio di appello in sede di rinvio (art. 360 c.p.c., n. 3). Difetto di congruenza della motivazione.”.

Il motivo dichiara di riferirsi ai capi della sentenza impugnata afferenti alla condanna al risarcimento discendente dalle ipotesi delittuose di cui ai capi A1 e A 2 e sostiene che la sentenza non avrebbe fatto “in alcun modo retta e persuasiva applicazione delle regole in materia di responsabilità degli amministratovi di società di capitali ai sensi dell’art. 2393 c.c.e di coerenza ed adeguatezza del processo argomentativo”.

2.4.1. Il Collegio ritiene che si tratti di motivo inammissibile sia quanto alla denuncia di violazione dell’art. 652 c.p.p., dato che nella illustrazione non si fa alcun riferimento a tale norma, sia quanto alla denuncia di violazione dell’art. 2393 c.c., atteso che parimenti detta illustrazione non contiene alcuna attività assertiva e dimostrativa che evochi tale norma e ne individui in modo chiaro la violazione da parte di una motivazione della sentenza impugnata. Ciò tanto per quanto concerne l’attività illustrativa riguardante il capo A1, quanto per quella riguardante il capo A2.

2.4.2. Peraltro, a proposito del capo A1, l’illustrazione si duole della individuazione di un danno risarcibile alla luce di una perizia d’ufficio espletata in sede di giudizio di appello penale, riguardo alla quale non fornisce l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366, n. 6 già citato, astenendosi sia dagli oneri riproduttivi diretti od indiretti a questa norma correlati, sia da quello di localizzazione.

Contesta, del resto, la valutazione con cui la corte palermitana ha ritenuto esistente il danno e la fa evocando circostanze fattuali, che ineriscono alla ricostruzione della quaestio facti.

Ne segue l’inammissibilità della censura sotto il primo profilo e pure sotto il secondo, in quanto essa si rivela proposta – come suggerisce il riferimento al “difetto ed incongruenza della motivazione” – al di fuori di quanto il nuovo n. 5 dell’art. 360 c.p.c. consente (secondo gli insegnamenti di Cass., Sez. Un. nn. 8053 e 8054 del 2014) a questa Corte di controllare riguardo alla motivazione sulla ricostruzione del fatto poi qualificato in iure dal giudice di merito.

Rispetto alla seconda censura, quella relativa al capo A2, vale lo stesso rilievo.

2.4.3. Per entrambe le censure, se si passasse, poi, alla lettura della sentenza, peraltro evocata con rinvii generici, salvo cinque righe riprodotte a pagina 10 del ricorso, si dovrebbe constatare che essa ha svolto su entrambi i capi di cui trattasi considerazioni che iniziano alla pagina 13 e terminano alla pagina 20. Esse risultano ampiamente articolate anche quando si confrontano con la perizia e pertanto l’illustrazione del motivo, là dove rinvia genericamente alle sue pagine, appare allora anche in concreto pretermissiva del suo dipanarsi. Tanto si rileva non senza che debba osservarsi che quelle considerazioni, avuto riguardo alla parte finale della sentenza, là dove essa ha individuato il danno in concreto risarcibile in quanto ricollegato ad una condotta idonea alla causazione del dissesto della banca, hanno anche una incidenza che oggettivamente risulta correlativamente ridimensionata per questa individuazione.

2.5. Con un quinto motivo si denuncia: “violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. Vizi di extrapetizione e di violazione del contraddittorio (art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Il motivo, dopo aver ribadito le censure di cui ai primi due motivi, contesta la sentenza impugnata quanto al riconoscimento della responsabilità riguardo agli illeciti per cui non vi era stata assoluzione con le formule di cui all’art. 652 c.p.p. e particolarmente riguardo ai capi A3, A6, A7, e G.

In una prima parte (pag. 13 e prime cinque righe della successiva) si imputa alla sentenza impugnata di avere “del tutto trascurato l’assoluta mancanza di prova (documentale, testimoniale) a sostegno dei capi contenenti”.

L’illustrazione si risolve in una generica manifestazione di dissenso dalla motivazione della sentenza impugnata, evocata in modo frammentario.

Sicchè, non solo essa non denuncia quanto indicato nella intestazione, ma risulta del tutto carente del requisito della specificità (che deve assistere il motivo di ricorso per cassazione, come recentemente hanno ribadito le Sezioni Unite: si veda Cass. sez. un. n. 7074 del 2017, che fa proprio il principio affermato da Cass. n. 4741 del 2005 e successivamente ribadito da numerose conformi).

2.6. Conclusivamente, sulla base delle svolte considerazioni, il ricorso del M. dev’essere rigettato.

B) Esame del ricorso Ca..

3. Il ricorso del Ca. si articola con undici motivi.

3.1. Con il primo motivo si denuncia: “violazione e falsa applicazione degli artt. 392 e 393 c.p.c., art. 615 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Con una prima censura si assume che la sentenza di questa Corte in sede penale era stata pronunciata con lettura del dispositivo il giorno 26 giugno 2008 e si sostiene che da esso sarebbe decorso il termine di un anno e quarantasei giorni (al lordo del periodo feriale) per la riassunzione, mentre infondatamente la corte palermitana avrebbe, disattendendo la relativa eccezione di estinzione per tardività, dato rilievo al momento della pubblicazione, avvenuta il 26 settembre 2008.

Con una seconda censura, si sostiene comunque che, anche a voler far decorrere il termine di riassunzione da quella data, la riassunzione, avvenuta il 12 novembre 2009, sarebbe stata tardiva, in quanto sarebbe stato applicabile il termine di tre mesi di cui all’art. 392 novellato dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 21.

3.1.1. Entrambe le censure sono manifestamente infondate.

A proposito della prima il ricorrente evoca la remota Cass. n. 29 del 1967, ma non considera che la giurisprudenza di questa Corte da lungo tempo ha superato il principio di diritto affermato da quella antica decisione ed ha statuito che: “Nel caso in cui la Corte di cassazione annulli, ai soli effetti civili, una decisione penale, il termine di un anno dalla pubblicazione della sentenza della stessa Corte, stabilito dall’art. 392 c.p.c. ai fini della riassunzione della causa davanti al giudice di rinvio, decorre, secondo le norme del codice di rito civile, dal deposito in cancelleria della sentenza stessa e non dal giorno della lettura del dispositivo in udienza.” (Cass. n. 846 del 1996; n. 5287 del 1997; n. 14384 del 1999).

Principio di diritto che è stato richiamato dalla sentenza impugnata proprio evocando queste decisioni.

La censura è, pertanto, inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1.

La seconda censura è manifestamente infondata, giacchè il nuovo testo dell’art. 392 c.p.c., giusta la norma transitoria della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1 non trova applicazione in quanto l’azione civile e, dunque, il giudizio di cui ci si occupa è da ritenersi iniziato con l’introduzione del giudizio civile poi trasferito in sede penale nel lontano 1992.

3.2. Con un secondo motivo si prospetta: “violazione e falsa applicazione degli artt. 383 e 384 c.p.c. ed artt. 622 e 627 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Il motivo pone la stessa questione esaminata in precedenza a proposito del ricorso M. sub 2.2.2. ed è infondato sulla base del principio di diritto colà evocato, di cui a Cass. n. 15182 del 2017.

3.3. Con il terzo motivo si denuncia: “violazione e falsa applicazione dell’art. 164 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 “.

Vi si pone – sebbene evocando la norma sulla nullità della citazione, peraltro inapplicabile all’atto di riassunzione ex art. 392 c.p.c. la stessa questione già esaminata a proposito del ricorso M. sub 2.3., 2.3.1. e 2.3.2.

Non solo si omette l’indicazione specifica dell’atto di riassunzione anche qui in violazione dell’art. 366, n. 6 già citato (tanto che ci si limita a rinviare ad esso, assumendo che quanto sostenuto “si ricava dalla lettura dell’atto di citazione in riassunzione, il cui esame è consentito in sede di legittimità, trattandosi della deduzione di un error in procedendo”, così non considerando che l’accesso agli atti processuali – come fa manifesto il riferimento ad essi dell’art. 366 c.p.c., n. 6 – suppone la precisa indicazione contenutistica, diretta od indiretta, con specificazione della parte dell’atto cui l’indiretta riproduzione corrisponderebbe, del contenuto dell’atto da esaminare, nonchè la loro localizzazione: in termini, ex multis, la già citata Cass, Sez. Un., n. 22726 del 2011; da ultimo, Cass. (ord.), n. 22280 del 2017), ma comunque non si considera, sotto il profilo della valutazione nel merito della doglianza la giurisprudenza lì richiamata.

Il motivo è, pertanto, prima inammissibile e, gradatamente, infondato nella sua astratta prospettazione.

3.4. Con il quarto motivo si prospetta: “violazione e falsa applicazione degli artt. 2393,2394,2395 c.c., art. 2947 c.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il motivo è inammissibile perchè del tutto generico ed inosservante del requisito della specificità, là dove si duole che, pur applicata la prescrizione di cui all’art. 2947 c.p.c., comma 3, la corte palermitana si sia astenuta dall’indicare “per ciascuno dei convenuti, quale “fatto”” fosse “da considerare reato, in guisa da consentire la verifica in ordine all’applicazione del più lungo termine di prescrizione, vieppiù dinanzi alla specifica contestazione da parte dell’odierno ricorrente (in termini, Cass., sez. 1, 5 aprile 2013, n. 8426)”.

L’invocazione del principio di diritto di cui alla richiamata decisione (secondo cui, “L’applicazione del termine prescrizionale ex art. 2947 c.c., comma 3, postula, in ipotesi di azione di responsabilità contro amministratori e sindaci di una società, che l’istante alleghi specificamente l’attribuzione di fatti integranti illecito penale in capo ai convenuti con riferimento alle diverse mansioni da essi svolte, ai differenti periodi dei rispettivi incarichi ed a loro precise condotte od omissioni, a tal fine rivelandosi insufficiente la mera allegazione che i fatti addotti a fondamento della domanda risarcitoria risalgono al tempo in cui gli stessi ricoprivano cariche sociali.”) viene fatta senza indicare quale sarebbe stata la posizione del ricorrente da considerarsi in ordine alla decorrenza della prescrizione in relazione al fatto o ai fatti addebitati come fonte della responsabilità e senza argomentare che cosa al riguardo egli avesse dedotto in proposito. Il motivo, in ragione di tale mancanza di specificità difetta pure di decisività, in quanto si risolve nella prospettazione di una questione in termini soltanto astratti e non idonei ad evidenziare l’erroneità della sentenza nel punto in cui ha disatteso l’eccezione di prescrizione. Gli stessi termini in cui essa era stata prospettata nel giudizio di rinvio restano oscuri, sicchè non è dato nemmeno avere certezza che in esso fosse stata prospettata ed in quali termini.

3.5. Con il quinto motivo si denuncia: “violazione e falsa applicazione degli artt. 74,75,76,576,622 e 627 c.p.p., art. 2907 c.c., artt. 383 e 384 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

Vi si censura la sentenza impugnata là dove ha respinto l’eccezione di inammissibilità dell’azione risarcitoria proposta dalla Banca di Girgenti in l.c.a., fondata sull’esistenza di un giudicato interno a favore del ricorrente. Tale giudicato si sarebbe formato per effetto della mancata impugnazione dinanzi alla Corte di Cassazione in sede penale, da parte della Banca di Girgenti, della statuizione assolutoria relativa ai fatti inerenti alla concessione di finanziamenti non assistiti da garanzia con riferimento alle operazioni in favore della s.p.a. Silfi e della s.p.a. I.B.F. Leasing, i quali facevano parte della contestazione penale oggetto del capo G. Detta statuizione era stata resa dalla Corte di Appello di Palermo in sede penale sull’appello proposto dal Ca. riguardo alla statuizione della sentenza di primo grado del Tribunale di Agrigento, che, invece, per le condotte inerenti a quelle operazioni aveva condannato il Ca.. La statuizione assolutoria del giudice d’appello penale riguardo alle condotte in questione non era stata oggetto dell’impugnazione in Cassazione ai fini civili da parte della Banca di Girgenti, ma lo era stata soltanto da parte delle altre parti civili. Il ricorso della banca, infatti, era stato proposto soltanto nei confronti del M., del C., del F., del Mi. e del D. e tanto aveva comportato il passaggio in cosa giudicata della sentenza di appello penale relativamente alla statuizione assolutoria agli effetti civili riguardo alla pretesa risarcitoria della Banca nei confronti del Ca..

Di fronte al rilievo dell’esistenza del giudicato nel giudizio di rinvio ai sensi dell’art. 622 c.p.p., la sentenza qui impugnata avrebbe reso una motivazione erronea, rigettando la relativa eccezione con queste considerazioni: “L’eccezione di giudicato sollevata da Pe.En. e C.A. è destituita di fondamento. Difatti, le altre parti civili (distinte dalla Banca di Girgenti) avevano proposto ricorso per cassazione anche nei confronti di pe.En. e C.A. relativamente all’assoluzione per il credito di firma a favore di ICCREA (non contestato ai Sindaci), per il capo E) per il capo G): quindi, tali assoluzioni non erano passate in giudicato, tanto è vero che la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza relativamente al capo G) (rigettando invece il ricorso relativamente al capo E)”.

3.5.1. L’argomentazione della corte di rinvio, ad avviso del Ca., sarebbe errata là dove ha ritenuto che l’impugnazione delle altre parti civili potesse giovare alla Banca di Girgenti e che quest’ultima potesse beneficiare dell’annullamento della statuizione della sentenza di appello penale riguardo alla statuizione assolutoria sul capo G) e ciò perchè la costituzione di parte civile costituirebbe “l’esercizio, in sede penale, dell’azione civile volta al risarcimento del danno e/o alle restituzioni, per cui l’eventuale impugnazione della sentenza assolutoria, di una delle parti civili, non può certo giovare all’altra parte che siffatta iniziativa abbia omesso – come nella specie – di assumere. Invero, l’azione civile, benchè esercitata nell’ambito del processo penale, non perde di certo la sua identità, a cominciare dalla piena disponibilità del diritto e, conseguentemente, della legittimazione e dei relativi limiti”.

3.5.2. Il motivo – pur somministrando ad avviso del Collegio una questione la cui soluzione certamente impone un iter argomentativo complesso in relazione alla particolarità della vicenda processuale – non può essere accolto.

Queste le ragioni.

3.5.3. Giova premettere che il Collegio non ignora che recentemente questa Corte in sede penale – a quel che consta dall’esame dell’archivio (OMISSIS) per la prima volta (risultando, invece, una decisione che si era occupata, dando soluzione negativa, del problema dell’effetto estensivo dell’impugnazione del coimputato sulla statuizione relativa agli effetti civili: Cass. Pen., n. 32352 del 2014, si era, infatti, così pronunciata: “L’effetto estensivo dell’impugnazione concerne i soli casi in cui l’impugnazione investe, sia pure con eventuali ricadute civilistiche, il profilo della responsabilità penale e non anche quelli in cui la stessa attiene ad aspetti relativi ad interessi assunti come disponibili dall’ordinamento, sicchè esso non opera in favore dell’imputato, coobbligato in solido, che non impugna il capo della sentenza che riguarda la sua condanna risarcitoria quando altro imputato coobbligato abbia invece scelto di censurare tale parte della decisione. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto non estensibile agli imputati non appellanti gli effetti della ordinanza con cui la Corte territoriale aveva dichiarato inammissibili alcune costituzioni di parte civile)”; in precedenza, si veda per qualche riferimento, da essa richiamata, Cass. n. 12489 del 2000) – con la sentenza Cass. Pen., n. 50426 del 2016, all’esito di un’approfondita motivazione sulle implicazione nel sistema del processo penale della costituzione di parte civile, ha affermato il principio di diritto, secondo cui: “Nel caso di accoglimento del ricorso per cassazione avverso una sentenza di assoluzione proposto da una soltanto delle parti civili, il conseguente giudizio di rinvio non si estende alle domande delle altre parti civili non ricorrenti, in quanto la mancata impugnazione da parte di queste ultime determina acquiescenza rispetto al “decisum” assolutorio.”.

3.5.4. Secondo una prima ipotesi che risulta prospettabile, l’applicazione di tale principio allorquando questa Corte in sede penale venne investita dei ricorsi decisi con la sentenza del 2008 dispositiva del rinvio ai sensi dell’art. 622 c.p.p.avrebbe dovuto comportare che, in mancanza dell’impugnazione da parte della Banca di Girgenti, quale parte civile, dell’assoluzione del Ca., l’esame dell’impugnazione delle altre parti civili, che invece era stata da esse proposta anche nei suoi confronti, dovesse implicare, nel caso di esito positivo, l’effetto dell’annullamento dell’assoluzione del Ca. senza che esso potesse dispiegare effetti a favore della Banca di Girgenti, potendo tali effetti operare soltanto per le altre parti civili, che avevano impugnato l’assoluzione del Ca..

Questa che si definisce qui “prima ipotesi” sarebbe stata giustificata a condizione che il principio affermato dalla ricordata decisione del 2016 lo si ritenga praticabile anche nel caso in cui – a differenza di quello deciso dalla detta decisione, in cui vi era stata solo l’impugnazione di una parte civile e non anche quella di altre parte civili sebbene con diversa estensione – nel processo penale abbiano luogo, come accaduto nella vicenda che si giudica, distinte impugnazioni di parti civili che realizzino dinanzi al giudice penale comunque un cumulo di azioni civili dirette a postulare l’esistenza del reato agli effetti civili quale presupposto comune rispetto alle responsabilità di diversi imputati, ma senza totale coincidenza soggettiva dei destinatari delle impugnazioni e ciò ancorchè nel grado precedente tale coincidenza avesse riguardato la legittimazione passiva di tutti i detti imputati.

3.5.5. Tanto premesso, si rileva, tuttavia, che la lettura della sentenza dispositiva del rinvio evidenzia che essa non fece applicazione del principio affermato dalla sentenza del 2016, ma in modo palese attribuì all’accoglimento dell’impugnazione proposta dalle parti civili diverse dalla Banca di Girgenti anche contro il Ca. un effetto espansivo a favore della Banca, che invece, non aveva proposto il suo ricorso riguardo alla assoluzione del medesimo.

Ne consegue che la corte territoriale, allorquando ha disatteso l’eccezione di cosa giudicata sull’assoluzione agli effetti civili, dando rilievo alla proposizione dell’impugnazione contro il Ca. delle altre parti civili ed assegnandole il rilievo di giovare alla banca di Girgenti non ha fatto altro che applicare il disposto della sentenza di rinvio.

3.5.6. Tanto si desume anche dalla lettura della sua motivazione oltre che del suo dispositivo.

La motivazione della sentenza di rinvio che viene al riguardo in considerazione è quella enunciata nel paragrafo 3 alla pagina 16 della sentenza e che, per quanto interessa, è così articolata:

“Premesso che il motivo del ricorso delle Parti Civili diverse da GIRGENTI concernente il capo E è manifestamente infondato (il ricorso travisa l’elemento di prova, senz’altro rilevante, che GIRGENTI ha eseguito movimenti borsistici di Dominion, senza registrare il proprio operato, per estremo di bancarotta, laddove già non concerne i propri movimenti patrimoniali). Sono sostenute con argomenti di merito qui inverificabili altre questioni (come ha rammentato, tuttavia generalizzando, il difensore di D.). Ma risultano fondati ed assorbenti quelli connessi ai capi A/1, A/2 e G. Osservano che la sentenza d’appello ritiene solo incaute le operazioni incriminate, trascurando che i fatti si inquadrano in una prassi progressivamente accentuata, alla luce del duplice ruolo di C., cui sino a conseguenze irrimediabili sono state lasciate mani libere nell’asservire GIRGENTI a Dominion, con sacrificio dell’autonomia bancaria. E si rifanno all’uopo al senso dell’art. 2392 c.c., comma 2. In sintesi i membri del C.d.A. hanno autorizzato le operazioni Silfi e Consorzio Credito club Gioiello, in contrasto con la legge bancaria, che si combina con le norme del Codice Civile, specificandone le implicazioni. In questa luce gli stessi Sindaci hanno, per quanto li concerne, avallato delibere all’evidenza viziate, posto che in ciascun caso si trattava di collegate, sia pure per via indiretta (nel caso del Consorzio, F. socio responsabile, era amministratore di Dominion, proprietaria di GIRGENTI). E la sentenza nulla adduce per escludere la consapevolezza, a fronte di evidenze documentali. All’uopo non prende realmente conto di quanto ricostruito, ma giustifica la sua scelta, ancorandola a valutazioni di contesto storico, per sè indimostrate. Le P.C. sottolineano inoltre che nel caso Silfi la Corte di appello valorizza erroneamente l’eccezione di aggredibilità dei mobili che ne erano oggetto. Ma la Corte non valuta che l’eccezione risulta indimostrata quanto alle possibilità concrete di “aggressione”, non esistendo i trasferimenti dei beni e, di più, in una situazione di limitata disponibilità della Banca, che avrebbe paradossalmente dovuto svolgere attività connessa a leasing. Del pari, quand’anche sia modesta l’incidenza della vicenda nel contesto gestionale, risulta gratuita la valutazione meramente erronea di prospettive nel caso del Consorzio, alla luce di quanto sopra rilevato. In altri termini, in questi casi la sentenza ribalta le sue stesse premesse, senza verificare compiutamente le ragioni che si eccepiscono in ragione di responsabilità personale, per escludere la presunzione di consapevolezza correlata ad obblighi di legge. Le spese di P.C. del presente grado di giudizio saranno liquidate dal Giudice di rinvio che, a seguito di riesame, adotterà i criteri di legge all’uopo implicati.”.

3.5.7. Ebbene, mette conto di rilevare che questa motivazione deve essere stata enunciata con la piena consapevolezza di esaminare motivi di ricorso proposti da due distinte impugnazioni delle parti civili, cioè dalla Banca di Girgenti da un lato e dalle altre parti civili dall’altro. La percezione di tale diversità nella motivazione si disvela quando si allude al “motivo di ricorso delle parti civili diverse da Girgenti concernente il capo E”, che concerneva un’imputazione relativa sia agli amministratori che ai due sindaci. Non è espressamente enunciata quanto alle imputazioni di cui ai capi A/1, A/2 e G.

Peraltro, al di fuori della ricordata motivazione, è certo che la sentenza penale dispositiva del rinvio abbia avuto a monte l’esatta percezione della diversa estensione soggettiva passiva delle due impugnazioni delle parti civili, cioè che il ricorso della parte civile Girgenti era rivolto solo contro gli imputati ricorrenti, fra i quali non vi erano i due sindaci ( Ca. e Pe.), e che, invece, il ricorso delle altre parti civili aveva investito anche i sindaci.

Infatti, nella parte riassuntiva del fatto sostanziale e processuale e del tenore dei vari ricorsi su cui era chiamata a decidere, la sentenza dispositiva del rinvio:

a) a pagina 9, sub V, enuncia espressamente che “il ricorso dell’Avv. Siracusano, per la P.C. Banca GIRGENTI s.p.a. in L.C.A., (è stato proposto) nei confronti di tutti gl’imputati ricorrenti, nonchè di F.,” e, quindi espone effettivamente censure che erano rivolte soltanto nei confronti delle assoluzioni disposte dalla sentenza penale d’appello palermitana n. 3106 del 2005 riguardo ad essi, fra i quali non vi erano i due sindaci;

b) alle ultime due righe della stessa pagina 9, sub 6, e nelle prime tre righe della pagina 10, enuncia espressamente che: “Il ricorso dell’Avv. Bonfiglio, per le P.C. CO.Ro. ed altri 13 investe: 1 – M., Mi. e D. in relazione all’affidamento Silfi, riproponendo gli stessi argomenti del ricorso per GIRGENTI); 2 – tutti gli amministratori prosciolti in appello per l’affidamento al Consorzio Credito Club Gioiello e 3 – tutti ed anche i sindaci C.A., e PE.En., per il credito di firma a favore di ICCREA.

Denuncia inoltre contro i medesimi: 4 – vizio di motivazione in relazione alla ritenuta insussistenza del reato di Bancarotta documentale, per la mancata annotazione delle operazioni di riporto (operazioni di borsa di Dominion) nei libri contabili, per l’erroneità della ritenuta inoffensività, essendo le operazioni altrimenti desumibili, e non dovuta l’annotazione, perchè non costituiscono oggetto della normale attività creditizia. Ma ciò che rileva non è la mancata incidenza sulla situazione patrimoniale, bensì la strumentante rispetto al ruolo ed ai fini di Dominion (servizio gratuito reso alla consociata di maggioranza, pg. 20 della sentenza), ed è erroneo ritenere escluso il movente di “occultamento”. La responsabilità involge anche i sindaci, che non sono tenuti a mera verifica formale. Il 5^ ed ultimo motivo corrisponde al 4 del ricorso per GIRGENTI.”.

Non è dubbio, dunque, che la sentenza penale di rinvio, al di fuori della riportata motivazione, abbia avuto ben presente nell’enunciarla che la Banca di Girgenti non aveva proposto ricorso agli effetti civili contro i due sindaci e che esso era stato proposto solo dalle altre parti civili.

3.5.8. Tuttavia, la ricordata motivazione non contiene l’enunciazione in positivo che l’esame cui procede, per quanto attiene alla posizione dei sindaci, gioverà solo alle parti civili diverse dalla Banca di Girgenti, come avrebbe dovuto essere secondo la logica ora affermata dalla sopra citata sentenza penale (e che si è detto integrare la “prima ipotesi” applicativa) e prosegue invece promiscuamente a tale esame senza distinguere fra l’una e le altre, sicchè, quando afferma espressamente la responsabilità dei sindaci lo fa senza la limitazione della riferibilità dell’affermazione alla sola posizione assunta con il ricorso dalle altre parti civili. Ed anzi questo esame promiscuo risulta in positivo riferibile a tutte le parti civili quando la sentenza così si esprime: “Le P.C. sottolineano inoltre che nel caso Silfi la Corte di appello valorizza erroneamente l’eccezione di aggredibilità dei mobili che ne erano oggetto”. La sentenza dispositiva del rinvio si riferisce a tutte le parti civili e lo fa, elemento rilevantissimo, in un momento in cui ha già evocato la figura dei due sindaci.

L’assenza di limitazione dell’affermazione della responsabilità dei sindaci soltanto alla posizione delle parti civili diverse dalla Girgenti, in particolare sia di affermazioni espresse in tale senso, sia anche solo di affermazioni idonee a rivelare indirettamente quella riferibilità, già per tali ragioni non potrebbe – rileva il Collegio – essere superata nel senso di ritenere che essa sia rivelata dal già segnalato elemento esterno alla motivazione che qui si considera e che è rappresentato dalla rilevata percezione da parte della Corte nell’esposizione del fatto sostanziale e processuale, in particolare, dell’oggetto dei vari ricorsi, della già ricordata mancanza di proposizione del ricorso della Banca di Girgenti contro i due sindaci e della proposizione contro di essi del ricorso da parte delle altre parti civili.

Va detto anzi che, il confronto fra la percezione della distinta estensione soggettiva delle due impugnazioni di parte civili e l’essere stata essa espressa nell’esposizione del fatto e, dunque, in una parte non motivazionale della sentenza, da un lato, l’assenza totale di rilievo in positivo di essa nella motivazione ed anzi la presenza in positivo di un indice contrario anche al di là di quello rappresentato dal silenzio, dall’altro, induce a reputare la motivazione, là dove non distinse, come enunciata nel presupposto della irrilevanza della differente estensione soggettiva delle distinte impugnazioni delle parti civili e, quindi, come se l’impugnazione delle parti civili diverse dalla Girgenti contro i due sindaci avesse dispiegato effetti anche a favore di essa.

3.5.9. Una lettura della motivazione con assegnazione di prevalenza alla consapevolezza della diversa estensione soggettiva delle due impugnazioni enunciata nell’esposizione del fatto processuale, se ve ne fosse bisogno, risulterebbe comunque preclusa dalla lettura del dispositivo della sentenza.

Essa assume un particolare rilievo, atteso che nel processo penale la decisione, nel suo significato e nella sua incidenza sull’oggetto del processo, si forma con la lettura del dispositivo e tanto fa assumere ad esso efficacia decisiva ai fini della sua effettiva dimensione soggettiva ed oggettiva, non dubitandosi che, nel caso di contrasto fra dispositivo e motivazione prevalga il primo sulla seconda, con il solo limite che dallo stesso dispositivo possa emergere che il contrasto è dovuto ad un mero errore materiale obiettivamente riconoscibile (da ultimo Cass. Pen., n. 24157 del 2018).

Principio, del resto, non dissimile da quello applicabile all’ipotesi della pronuncia della sentenza civile con lettura immediata del dispositivo.

3.5.10 Ebbene, nella specie il tenore del dispositivo della sentenza penale del 2008 cassatoria con rinvio ex art. 622 c.p.p.risulta espresso in questi termini: “Annulla senza rinvio l’impugnata sentenza nei confronti di F.M. per essere i reati ascrittigli estinti per morte dell’imputato. Annulla la medesima sentenza limitatamente ai capi Al nei confronti di C., M., Mi. e D., A2 nei confronti degli stessi ad esclusione di D. e G nei confronti di C.A. e Pe.En., con rinvio per nuovo esame al Giudice competente per valore in grado di appello. Rigetta i ricorsi degl’imputati e condanna gli stessi in solido al pagamento delle spese del procedimento.”.

L’annullamento della sentenza di appello penale agli effetti civili riguardo al capo G, con riferimento al quale essa aveva disposto l’assoluzione sia del D., sia del Mi. e del M., sia dei due sindaci, cioè del Ca. e del Pe., è sancito senza alcun distinguo che valga a delimitare sotto il profilo soggettivo l’annullamento quanto alle parti civili soltanto a quelle diverse dalla Girgenti. E, dunque, venne disposto con effetti favorevoli anche per essa.

Il fatto che siano state considerate le posizioni dei vari imputati e che lo siano state con riferimento ai distinti capi di imputazione e che lo si sia fatto senza un riferimento ai distinti ricorsi delle parti civili non si presta, d’altro canto, ad evidenziare in modo obiettivamente riconoscibile un errore materiale.

Non vi è alcun elemento che all’interno del dispositivo possa evidenziare che per mero errore materiale in esso non si limitò espressamente l’annullamento dell’assoluzione per il capo G disposto dalla sentenza di appello quanto ai sindaci soltanto al rapporto processuale inerente l’azione delle parti civili diverse dalla Banca di Girgenti, quale avrebbe potuto essere ad esempio la presenza di un indice rivelatore come l’enunciazione preliminare del provvedere sui ricorsi. Indice che avrebbe implicato il rapportarsi del dispositivo e, in particolare, dell’annullamento del capo G ai ricorsi distintamente proposti dalla Banca di Girgenti e dalle altre parti civili e che, dunque, avrebbe potuto implicare la limitazione soggettiva riguardo al primo ai soggetti diversi dai due sindaci.

3.5.11. Mette conto, del resto, di rilevare che la stessa individuazione di un errore materiale nel dispositivo nel caso di specie si presenta preclusa, oltre che dalle considerazioni che nella motivazione non v’è nulla che riveli l’errore materiale, anche dalla circostanza che la sentenza recava un annullamento parziale.

Al riguardo, osserva il Collegio che il codice di procedura penale disciplina l’annullamento parziale all’art. 624 collegandovi la possibilità di un procedimento di correzione diretto a risolvere i dubbi sull’estensione dell’annullamento.

La norma, infatti, dopo che nel comma 1, ha disposto che “se l’annullamento parziale non è pronunciato per tutte le disposizioni della sentenza, questa ha autorità di cosa giudicata nelle parti che non hanno connessione essenziale con la parte annullata”, prevede nel comma 2 che la Corte di Cassazione “quando occorre, dichiara nel dispositivo quali parti della sentenza diventano irrevocabili” e stabilisce, poi, che “l’omissione di tale dichiarazione è riparata dalla corte stessa in camera di consiglio con ordinanza che deve trascriversi in margine o in fine della sentenza”, nonchè che l’ordinanza può “essere pronunciata d’ufficio, ovvero su domanda del giudice competente per il rinvio, del pubblico ministero presso il medesimo giudice o della parte privata interessata”.

Nel caso di specie si rileva che la Corte di Cassazione Penale, anche a non voler considerare che pronunciava in un contesto nel quale non si era ancora manifestato il principio di diritto di cui alla sentenza del 2016, di fronte all’investitura di due distinti ricorsi delle parti civili, l’uno della banca di Girgenti, l’altro delle altre parti civili ed alla diversa loro estensione soggettiva, avrebbe dovuto certamente specificare, se avesse inteso considerare rilevante tale diversa estensione, che l’annullamento per il capo G operava anche per i sindaci solo per il ricorso di dette altre parti e che non operava, invece, per lo stesso capo anche per loro, ma solo per gli amministratori, quanto al ricorso della Banca di Girgenti, e ciò nel presupposto che la statuizione assolutoria su quel capo fosse passata in giudicato riguardo al rapporto processuale fra essi e la banca, in ragione della mancata impugnazione da parte d quest’ultima.

La fattispecie integrativa dei presupposti per la correzione e, quindi, l’essere stato il dispositivo frutto di una omessa precisazione nel senso indicato per errore avrebbe potuto trovare una epifania all’atto della redazione della motivazione se essa si fosse articolata con un qualche indice di una limitazione dell’annullamento per il capo G riguardo ai sindaci solo al ricorso delle altre parti civili.

Ma si è visto che nessun indice è presente in quel senso ed anzi ve ne sono in senso contrario e decisivi.

3.5.12. D’altro canto, deve considerarsi che la sentenza di rinvio ha provveduto – a differenza del caso di cui al precedente del 2016 – su un caso nel quale vi erano due distinti ricorsi di parti civili e che, se la Corte di Cassazione avesse effettivamente considerare che il ricorso della Banca di Girgenti escludeva l’annullamento del capo G a suo beneficio quanto ai sindaci e dare atto che nei loro confronti si era formato giudicato per mancata impugnazione avrebbe dovuto dirlo, o espressamente o almeno indirettamente.

Giusta le svolte considerazioni, l’assenza di elementi che nella motivazione depongano in quel senso esclude dunque, una volta tenuto conto che nel processo penale il dispositivo viene letto hic et inde ed esprime immediatamente la decisione, qualsivoglia lettura limitativa del significato della decisione siccome claris verbis espresso nel dispositivo al lume della motivazione.

Nel caso che si esamina non può per tale ragione venire in rilievo il principio di diritto secondo cui: “In tema di annullamento con rinvio, il dispositivo non può essere letto ed interpretato disgiuntamente dalla motivazione, che rappresenta un imprescindibile elemento di integrazione, concorrendo ad illustrare e chiarire i termini del devolutum e a specificare i capi ed i punti della sentenza su cui si è formato il giudicato. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha reputato corretta la sentenza della Corte d’Appello che aveva ritenuto che l’oggetto del devolutum riguardasse solo la qualificazione dei fatti eversivi cui era finalizzata la banda armata e non il nuovo esame degli elementi costitutivi dei reati associativi contestati o dei dati probatori fondanti la responsabilità di ciascuno degli imputati).” (Cass. Pen. n. 45002 del 2012).

Infatti, nella motivazione della sentenza dispositiva del rinvio non v’è alcunchè che consenta di giustificare una lettura del dispositivo tale da limitare la caducazione dell’assoluzione per il capo G dei due sindaci solo alle parti civili diverse dalla Banca di Girgenti. Ed anzi, lo si è già ripetuto, vi sono indici consistenti in senso contrario.

3.5.13. mette conto ancora di rilevare che la giurisprudenza penale di questa Corte bene ha anche statuito che: “Nei casi in cui sia ravvisabile non contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza ma soltanto incompletezza del primo, non sussiste nullità della sentenza stessa, potendo la Corte individuare gli elementi idonei ad identificare la statuizione del giudice, attraverso l’interpretazione del dispositivo in correlazione con la motivazione che ne costituisce la premessa. (Fattispecie in cui la Corte di Cassazione ha integrato il dispositivo della sentenza di merito che nella motivazione aveva dichiarato l’estinzione per amnistia di taluni reati e provveduto alla conseguente riduzione della pena complessivamente inflitta, limitandosi, invece, nel dispositivo a dichiarare l’operatività della detta causa estintiva con indicazione dei reati nei confronti dei quali questa era stata applicata ma omettendo di enunciare la riduzione necessariamente conseguente al permanere della condanna per i residui reati).” (Cass. Pen., n. 10957 del 1993).

Nel caso che si giudica motivazione e dispositivo sono in definitiva del tutto congruenti e l’ipotetica incompletezza del secondo non trova nella motivazione alcunchè che consenta di risolverla nel senso della limitazione a favore delle sole parti civili diverse dalla Girgenti del disposto annullamento.

3.5.14. La corte territoriale, in conseguenza, allorquando nella sentenza qui impugnata, dopo aver fatto leva sulla circostanza che le statuizioni assolutorie del Ca. e del Pe. non erano passate in cosa giudicata verso la Banca di Girgenti in quanto impugnate dalle altre parti civili ha certamente supposto l’esistenza nella sentenza dispositiva di rinvio di un principio contrario a quello che è stato affermato dalla sentenza del 2016, ma lo ha fatto comunque trovandovi conferma nel disposto di essa, che, come si è visto, doveva intendersi proprio nel senso in cui è stato inteso.

Sia il disposto della sentenza di rinvio, sia l’assunto implicito in esso – a meno di non voler pensare ad un errore – che l’impugnazione proposta dalle altre parti civili quanto alla statuizione assolutoria concernente i sindaci avesse impedito la formazione del giudicato su di essa anche nei riguardi della Banca di Girgenti, d’altro canto, stante l’emersione soltanto nel 2016 di un orientamento espressamente affermativo della idoneità della mancanza di impugnazione della parte civile, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, a determinare la cosa giudicata sulla statuizione assolutoria ai fini civili pur in presenza di impugnazione da parte di altra parte civile, potrebbero d’altro canto spiegarsi – in mancanza di giurisprudenza anteriore sul punto – con un surrettizio convincimento della Corte di Cassazione Penale ancora all’epoca del disposto rinvio dell’esistenza di una sorta di effetto estensivo, almeno a favore della parte civile presente in sede di legittimità ed impugnante l’assoluzione di taluni imputati e non di altri, dell’effetto dell’impugnazione di un’altra parte anche nei confronti di questi ultimi.

3.5.15. Mette conto, del resto, di rilevare che l’orientamento affermato dalla sentenza del 2016 concerne – come s’è già rimarcato un caso nel quale la Corte di Cassazione in sede penale era stata investita unicamente del ricorso di una delle parti civili e non, come accaduto nella specie, di ricorsi di distinte parti civili con estensione da parte di una a tutti gli imputati e da parte di altra solo ad alcuni e con costituzione in conseguenza di entrambe dinanzi alla Corte.

Fattispecie di cui la sentenza del 2016 non si è occupata e che potrebbe dare luogo ad una seconda ipotesi circa le implicazioni del principio da essa affermato, cioè che esso non riguardi il caso in cui si cumulino nello stesso giudizio di impugnazione impugnazioni con diversa efficacia soggettiva passiva di diverse parti civili riguardo ad un’assoluzione penale comune a più imputati. Operando invece in questo caso, in ragione dell’ambiente in cui la discussione sul fatto di reato comune avviene una sorta di effetto estensivo.

3.5.16. Si rileva ancora che, se la Corte di Cassazione fosse incorsa in un errore nel non limitare l’annullamento dell’assoluzione riguardo al capo G solo alle parti civili diverse dalla Girgenti, errore determinato dall’esistenza di un giudicato da essa non rimesso in discussione, è palese che si sarebbe trattato di un errore irrimediabile in sede di rinvio.

3.5.17. Tanto si osserva non senza doversi rilevare che sorprende che i due sindaci, attinti dal giudizio riassuntivo della Banca di Girgenti, che, secondo la loro testi non doveva riguardarli, non abbiano ritenuto di proporre alla Corte di Cassazione domanda ai sensi del già ricordato art. 624 c.p.p., comma 2: una domanda di tal genere avrebbe consentito una risposta al dubbio sui limiti soggettivi dell’annullamento dell’assoluzione dei sindaci quanto al capo G da parte della stessa Corte di Cassazione e l’avrebbe consentita prima dello svolgimento del giudizio di invio.

Nè può dirsi che l’art. 624, comma 2 – l’istituto previsto nel quale non pare, peraltro, avere avuto molta fortuna applicacativa – non sarebbe stato applicabile nel caso di specie, a motivo che il ricorso per cassazione della Girgenti non aveva attinto quanto al capo G i sindaci e che – secondo la logica del pronunciamento del 2016 – l’assoluzione dei medesimi verso la banca era passata in cosa giudicata per mancata proposizione del ricorso e non per effetto dell’esito del giudizio di cassazione. E’ vero che il comma 2, là dove allude alle parti della sentenza che diventano irrevocabili, parrebbe supporre un fenomeno per cui l’irrevocabilità consegue all’esito del giudizio di cassazione sull’impugnazione proposta, ma non può dubitarsi che nella fattispecie che si giudica l’esistenza dell’impugnazione della Banca di Girgenti sia pure senza estensione soggettiva ai sindaci integrava proprio un’impugnazione che la Corte aveva deciso e la delimitazione del cui esito in ragione dell’estensione ad essa competeva. Tanto è vero che, a seguire la logica della sentenza del 2016, tale delimitazione si sarebbe dovuta esprimere con un dispositivo che avrebbe dovuto annullare l’assoluzione dei sindaci riguardo al capo G non in toto, ma appunto con effetto limitato alla sola pretesa risarcitoria avanzata dalle parti civili diverse dalla Banca.

Sicchè, non è dubbio che la fattispecie che ha occasionato il rinvio fosse in thesi riconducibile all’art. 624, comma 2.

3.5.18. Il Collegio osserva in fine, per dovere di completezza, che a conclusione non diversa da quella raggiunta, cioè che l’annullamento dell’assoluzione dei sindaci venne disposto senza alcuna limitazione soggettiva e dunque in toto, si dovrebbe pervenire anche se si desse rilievo al non recente principio di diritto secondo cui: “In tema di disposizioni di carattere civilistico recate dalla sentenza penale, non vale la regola applicabile nell’ambito dell’ordinamento processuale penale, secondo la quale quel che esprime l’applicazione della volontà della legge nel caso concreto è unicamente il dispositivo e non la motivazione della sentenza. Al contrario, dovendosi far capo ai principi che disciplinano l’Esercizio dell’attività giurisdizionale nel campo del diritto privato, bisogna ritenere che l’individuazione della portata precettiva della pronunzia del giudice debba esser effettuata tenendo conto non solo del dispositivo ma anche delle enunciazioni ed affermazioni deliberative racchiuse nella motivazione, le quali debbono considerarsi integrative del dispositivo, che si riveli privo di menzioni esplicite circa il risultato del giudizio oggetto dell’accertamento giurisdizionale. Conseguentemente non può ravvisarsi il vizio di omessa pronunzia su un capo di domanda nella circostanza del difetto in dispositivo di specifica statuizione, che sia stata tuttavia espressa nella parte motivo della sentenza” (Cass. Pen. n. 16300 del 1989).

Anche a voler condividere tale principio – che per la verità si deve revocare in dubbio ed anzi criticare e non condividere, tenuto conto che in àmbito processualcivilistico vige il principio secondo cui la sentenza pronunciata con lettura immediata del dispositivo assume l’estensione del suo valore decisorio sulla base del suo tenore, senza alcuna possibilità che la motivazione integri il dispositivo, aggiungendo un disposto che in esso non c’è o ridimensionando l’ampiezza di un disposto che in esso c’è – assumerebbe rilievo assorbente quanto si è già detto circa il fatto che la motivazione della sentenza impugnata non contiene alcuna indicazione idonea ad evidenziare un ridimensionamento soggettivo del dispositivo quanto al capo G nel senso di escludere l’annullamento di esso agli effetti civili a favore della banca di Girgenti.

3.5.19. Il motivo, conclusivamente, non può essere accolto per le plurime ragioni esposte.

3.6. Con il sesto motivo si prospetta “violazione e falsa applicazione dell’art. 622 c.p.p. ed artt. 392 e 394 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Vi si sostiene che la corte palermitana, come emergerebbe da quanto affermato a pagina 11, si sarebbe ritenuta erroneamente investita nei confronti del Ca. oltre che in ordine all’imputazione concernente il capo G per la parte per cui era stata disposta la cassazione con rinvio, anche per l’imputazione riguardo al capo D, per la residua parte dell’imputazione di cui al capo G “con riferimento alle operazioni di deposito dei titoli presso Dominion Trust e “pronti contro termine””, per il capo H), lett. d) “in quanto i sindaci (erano stati) assolti dal tribunale perchè il fatto non costituisce reato, nonchè per il capo H) lett. a) perchè (erano stati) assolti dalla Corte di appello perchè il fatto non è più previsto come reato”.

L’errore addebitato alla corte insulare è che essa non si sarebbe potuta occupare delle imputazioni per cui il Ca. era stato assolto dalla sentenza di primo grado, in quanto quel giudice aveva condannato esso ricorrente al risarcimento del danno da liquidarsi in separata sede e quello di appello aveva riformato detta statuizione. La corte territoriale si sarebbe dovuta occupare solo delle condotte ascrivibili al capo G nei limiti per cui era stata disposta la cassazione, mentre tutte le altre erano coperte da cosa giudicata.

Il motivo viola l’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto si fonda sulla sentenza penale di primo e di secondo grado, ma non ne fornisce l’indicazione specifica, riproducendone direttamente od indirettamente il contenuto per la parte che sorregge l’argomentare della censura.

Inoltre, risulta del tutto privo di specificità, in quanto non svolge alcuna considerazione individuatrice della motivazione con cui la corte territoriale avrebbe proceduto a dare rilevanza a condotte diverse da quelle ascrivibili al capo G come fondamento della sua decisione. In sostanza, nessuna precisazione è fatta di come e dove la sentenza impugnata alla individuazione delle questioni di cui a suo dire si era ritenuta investita a pagina 11 abbia atto conseguire ai fini della decisione assunta delle conseguenze. Quanto riportato a pagina 11, infatti, se vale a definire l’ambito del giudizio di rinvio secondo la corte palermitana non individua affatto come essa abbia deciso su tale ambito.

In pratica il motivo si astiene dall’individuare la motivazione con cui la corte territoriale avrebbe riconosciuto la responsabilità del ricorrente ai fini civili al di là di quanto riconducibile al capo G.

Il motivo è, conseguentemente inammissibile alla stregua degli insegnamenti di cui a Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017:

aa) sia là dove essa, dando continuità a Cass. n. 4741 del 2005 ed alle numerose conformi ha statuito che il motivo di ricorso per cassazione dev’essere specifico (“Il requisito di specificità e completezza del motivo di ricorso per cassazione è diretta espressione dei principi sulle nullità degli atti processuali e segnatamente di quello secondo cui un atto processuale è nullo, ancorchè la legge non lo preveda, allorquando manchi dei requisiti formali indispensabili per il raggiungimento del suo scopo (art. 156 c.p.c., comma 2). Tali principi, applicati ad un atto di esercizio dell’impugnazione a motivi tipizzati come il ricorso per cassazione e posti in relazione con la particolare struttura del giudizio di cassazione, nel quale la trattazione si esaurisce nella udienza di discussione e non è prevista alcuna attività di allegazione ulteriore (essendo le memorie, di cui all’art. 378 c.p.c., finalizzate solo all’argomentazione sui motivi fatti valere e sulle difese della parte resistente), comportano che il motivo di ricorso per cassazione, ancorchè la legge non esiga espressamente la sua specificità (come invece per l’atto di appello), debba necessariamente essere specifico, cioè articolarsi nella enunciazione di tutti i fatti e di tutte le circostanze idonee ad evidenziarlo.”);

bb) sia là dove, dando continuità a Cass. n. 359 del 2005 ed alle numerose conformi, ha statuito che il motivo di ricorso per cassazione deve necessariamente individuare la motivazione criticanda (“Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto, per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4″.)”.

3.7. Con il settimo motivo si prospetta “violazione e falsa applicazione dell’art. 2407 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il motivo sostiene che la sentenza impugnata, nelle pagine 27-29, conforme all’avviso espresso a pagina 11 sulla necessità che si effettuasse una nuova valutazione della responsabilità per il Ca. ed il Pe. anche per il capo “H lett. d)” e muovendo da tale premessa avrebbe “omesso del tutto di verificare, e dare conto, delle ragioni per cui le condotte per le quali è stata esclusa la responsabilità penale del Ca., siano egualmente allo stesso addebitabili, seppure ai soli effetti civili”.

L’illustrazione si articola ripercorrendo le considerazioni che la sentenza impugnata ha svolto nelle pagine 27-29 a proposito del capo D) e lamenta che alla fine di essa ha concluso che “l’amministratore delegato C. era stato lasciato agire indisturbato: difatti non può condividersi la tesi che gli amministratori Mi., M. e D. non avrebbero avuto il compito di vigilare sull’adempimento esecutivo dell’estinzione del pegno e sulla sorte dei titoli in possesso di Dominion”, per poi lamentare la corte territoriale non avrebbe speso una sola parola a proposito del collegio sindacale “al fine di rivalutarne, seppure ai soli effetti civili, la condotta, onde superare la sentenza assolutoria (“il fatto non costituisce reato”) emessa in sede penale”.

3.7.1. La censura non è comprensibile.

Immediatamente dopo il passo riportato la sentenza impugnata dice – ai righi sesto e settimo della pagina 30 – che “dalla condotta di colpevole inerzia era derivato un danno nella misura di Lire 19.000.000.000″: ebbene, essendo evidente che l’affermazione di responsabilità è riferita alla condotta colpevole di Mi., M. e D.” emerge semplicemente che la corte territoriale non ha addebitato alcunchè al Ca. e all’altro sindaco. Onde non si comprende come possa sostenersi che l’addebito vi sia stato e non sia stato individuato nella condotta giustificativa.

3.7.2. Il motivo illustra, quindi, un’altra censura addebitando alla sentenza impugnata di avere configurato una condotta omissiva del Ca. riguardo al fatto oggetto del capo H lettera a), ma non è dato comprendere come possa sostenersi l’assunto, dato che la sentenza dice “inoffensivo” quel capo perchè era stato considerato “inoffensivo” il capo E, volendo sostanzialmente dire che non si configurava alcuna fatto dannoso. Anche in tal caso non si vede come il Ca. possa sostenere che è stata riconosciuta una sua condotta dannosa in relazione a detto capo, dato che essa è stata esclusa (come pure per Mi., D. e Pe.).

3.7.3. L’illustrazione muove una terza censura riguardo alla motivazione enunciata dalla sentenza impugnata con riferimento al capo H d), ma anche qui in modo incomprensibile, dato che si pone in contrasto con l’affermazione che la sentenza, dopo avere ricordato che Mi., M., Pe. e Ca. erano stati assolti dalla sentenza penale di appello perchè il fatto non era più previsto come reato, fa nel senso che anche riguardo a quel capo “nessuna responsabilità neppure a titolo di colpa può essere riconosciuta”.

3.7.4. In sostanza, tutte e tre le censure assumono, contro il tenore della motivazione, che essa avrebbe ritenuto la responsabilità del Ca. per i detti tre capi di imputazione.

Il motivo nella sua interezza è inammissibile perchè impugna una statuizione che la sentenza non ha fatto per la prima quanto al Ca., avendola fatta per gli amministratori, e per le altre due addirittura impugna statuizioni favorevoli al Ca..

3.8. Con l’ottavo motivo si denuncia nuovamente: “violazione e falsa applicazione dell’art. 2407 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Il motivo non contiene alcuna attività argomentativa della violazione della norma di diritto di cui all’art. 2407 c.c. nè sotto il profilo della violazione nè sotto quella della falsa applicazione di tale norma.

Non contiene l’individuazione di un fatto decisivo di cui si sarebbe omesso l’esame secondo la nozione che Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014 hanno enunciato, atteso che lo individua nella “non riconducibilità, al Ca., di tali condotte (cioè di quelle del Mi., del M. e del D.), che assumono una connotazione decisiva ai fini della insolvenza della Banca di Girgenti s.p.a.”: è palese che tale “non riconducibilità” non rappresenta un fatto storico principale o secondario, che è quello supposto dall’art. 360, n. 5 secondo le Sezioni Unite, ma una valutazione.

L’illustrazione, inoltre, omette di individuare la motivazione criticanda e, se si passa alla lettura della sentenza impugnata, si percepisce che essa ha ampiamente motivato la responsabilità ascritta ai due sindaci nelle considerazioni svolte dalle ultime quattro righe della pagina 33 sino alla ventunesima riga della pagina 34. Le relative considerazioni sono ignorate dal motivo.

3.9. Con il nono motivo si fa valere: “violazione e falsa applicazione dell’art. 2407 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Vi si sostiene che, in ragione dell’annullamento disposto per il capo G) dell’originaria imputazione relativamente agli affidamenti Silfi e IFB Leasing la corte territoriale sarebbe stata chiamata “a valutare, peraltro ai soli fini dell’an debeatur, la sussistenza degli addebiti in capo al Ca., nei limiti tracciati dal Supremo Collegio” e che, “trattandosi di annullamento per difetto di motivazione” sarebbe stata “necessaria una attenta rivalutazione del quadro probatorio e delle risultanze emerse dalle precedenti fasi di merito, svoltesi in sede penale, sì da giungere ad un nuovo ed articolato giudizio”.

Sulla base di tale premessa si sostiene che la sentenza impugnata avrebbe proceduto ad una disamina di carattere generale sui compiti e le responsabilità del Collegio sindacale, astrattamente adattabile ad ogni fattispecie, per poi rilevare che “in conclusione, non può dubitarsi della grave violazione da parte di Ca. e Pe. dei doveri inerenti la loro carica, così contribuendo a consentire all’Amministratore delegato e agli altri amministratori la effettuazione di operazioni dolosamente e/o colposamente dirette a favorire Dominion e le società dalla stessa controllate a totale discapito della Banca di Girgenti e dalle quali era derivata l’insolvenza di quest’ultima”.

Dopo di che si assume che tale argomentazione sarebbe “sicuramente priva di fondamento”.

La spiegazione di tale assunto è che la corte territoriale avrebbe omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio, “cioè l’incidenza causale delle operazioni Silfi e IFB Leasing rispetto all’insolvenza della Banca di Girgenti s.p.a., esclusa dalle risultanze delle precedenti fasi processuali, che avevano condotto all’assoluzione del Ca.”.

3.9.1. Il motivo non contiene alcuna attività argomentativa della violazione e falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art. 2407 c.c. e quanto al vizio ai sensi dell’art. 360, n. 5 individua il fatto decisivo di cui si sarebbe omesso l’esame in modo inidoneo: è palese che non si evoca in tal modo un “fatto”, ma una serie di emergenze istruttorie e fra l’altro del tutto genericamente, sicchè il motivo non sfugge anche ad una valutazione di genericità.

Inoltre, avendo la Cassazione Penale cassato agli effetti civili l’assoluzione del Ca., che era stata evidentemente motivata proprio da quelle risultanze, non è nemmeno dato comprendere come si possa sostenere che di esse il giudice civile avrebbe illegittimamente omesso la considerazione, dato che l’annullamento disposto dalla Cassazione Penale aveva censurato proprio la valutazione espressa sulla base di quelle risultanze. Si aggiunga che nemmeno è spiegato perchè la cassazione riguardo al capo G fosse avvenuta “per difetto di motivazione” sulle risultanze di fatto e non per difetto di motivazione in iure ravvisandosi al contrario la responsabilità per l’addebito, con l’effetto di ascrivere al Ca. la responsabilità per il capo G sotto il profilo indicato. Del tutto erroneamente in chiusura dell’illustrazione l’assunto della cassazione per vizio motivazionale e non in iure viene appoggiato sulla evocazione della sentenza dispositiva di rinvio quanto alla sola frase con cui essa osservò che la corte d’appello penale “nulla adduce per escludere la consapevolezza (dei sindaci), a fronte di evidenze documentali”, dimenticando che – come emerge da quanto in precedenza si è riprodotto – si tratta di frase che si inserisce fra precedenti affermazioni ed altre successive.

In conseguenza, il motivo è inammissibile perchè non si fa carico dell’effettiva motivazione della sentenza di rinvio.

Si aggiunga, per mera completezza, che lo scrutinio cui è sollecitata questa Corte è anche inficiato dalla mancanza di esposizione delle prospettazioni della Banca di Girgenti e delle difese del Ca. sulla vicenda di cui trattasi.

La struttura del motivo e le considerazioni svolte impediscono, del resto, ragionando alla stregua de principio di diritto di cui a Cass., Sez. Un., n. 17931 del 2013, di intendere il motivo come deduttivo in realtà di una violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, difettando la necessaria chiarezza espositiva richiesta per una simile conversione.

3.10. Con il decimo motivo si fa valere: “violazione e falsa applicazione dell’art. 2407 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo non illustra alcuna violazione dell’art. 2407 c.c..

Infatti, dopo avere evocato – peraltro senza riprodurlo direttamente, ma fornendone un riassunto – il principio di diritto di cui a Cass. n. 23233 del 2013 (secondo cui “Sussiste il nesso di causalità tra la condotta omissiva dei sindaci, che non abbiano formulato rilievi critici su poste di bilancio palesemente ingiustificate e non abbiano esercitato poteri sostitutivi, che secondo l'”id quod plerumque accidit” avrebbero condotto ad una più sollecita dichiarazione di fallimento, ed il danno, consistente nell’aggravamento del dissesto, determinato dal ritardo con cui il fallimento è stato dichiarato.”), si assume che la corte territoriale avrebbe dovuto accertare il nesso eziologico tra le condotte ascritte al Ca. e l’insorgenza dell’insolvenza della Banca di Girgenti e, quindi, si riproduce un brano motivazionale della sentenza penale di appello in cui l’insolvenza sarebbe stata ricondotta “esclusivamente alla mancata disponibilità dei titoli propri e della clientela”, per inferirne che alla sua causazione sarebbe stato del tutto estraneo il Ca..

Dopo di che si assume che la sentenza qi impugnata si sarebbe limitata ad affermare che le operazioni Silfi e IFB Leasing “abbiano contribuito in maniera non irrilevante alla determinazione dello stato di insolvenza”, mentre, dall’altro lato “contraddicendosi clamorosamente, individua il danno in misura “corrispondente all’importo dei titoli presso Dominion e mai restituito o rinvenuti”, quantificati in Euro 20.709.404,19 e, pertanto, in dipendenza di una condotta non ascrivibile al Ca.”.

3.10.1. La prospettazione non si risolve nella deduzione di una violazione di legge riguardo all’art. 2407 c.c., posto che non individua affermazioni della sentenza impugnata che si siano risolte in una erronea esegesi della norma. Nemmeno ha la sostanza della denuncia di una falsa applicazione della norma, dato che non si concreta nella affermazione che la corte territoriale avrebbe erroneamente sussunto sotto quella norma una fattispecie concreta bene individuata.

La prospettazione in realtà si risolve nel porre in primo piano la ricostruzione della sentenza di appello penale, obliterando che essa è stata censurata dalla Cassazione Penale dispositiva del rinvio e lo è stata con una motivazione che ha affermato in iure l’esistenza di una condotta dei sindaci, là dove – sebbene con affermazione perentoria, ma, evidentemente, basata sulle risultanze processuali – che i sindaci avevano “avallato” le operazioni di cui trattasi. Inoltre, la clamorosa contraddizione che si assume esistente resta del tutto inspiegata. Tra l’altro l’evocazione del passo motivazionale sull’avere le operazioni contribuito all’insolvenza non si comprende che attinenza abbia con il problema del nesso eziologico riferito alle condotte dei sindaci e, dunque, del Ca., che sono quelle – qui nemmeno evocate – svolte dalla sentenza impugnate svolte (come s’è già detto) dalle ultime quattro righe della pagina 33 sino alla ventunesima riga della pagina 34.

Per mera completezza si ricorda che è consolidato il principio di diritto secondo cui: “In tema di responsabilità degli organi sociali, la configurabilità dell’inosservanza del dovere di vigilanza, imposto ai sindaci dall’art. 2407 c.c., comma 2, non richiede l’individuazione di specifici comportamenti che si pongano espressamente in contrasto con tale dovere, ma è sufficiente che essi non abbiano rilevato una macroscopica violazione o comunque non abbiano in alcun modo reagito di fronte ad atti di dubbia legittimità e regolarità, così da non assolvere l’incarico con diligenza, correttezza e buona fede, eventualmente anche segnalando all’assemblea le irregolarità di gestione riscontrate o denunziando i fatti al P.M. per consentirgli di provvedere ai sensi dell’art. 2409 c.c.. (Nella specie, la corte territoriale aveva ritenuto ingiustificata l’inerzia dei sindaci seguita all’esecuzione, da parte degli amministratori, di bonifici per un rilevante importo complessivo in favore di una società dello stesso gruppo, per un’operazione fittizia e con destinazione della fattura al conseguimento di un contributo pubblico; la S.C., in applicazione dell’anzidetto principio, ha rigettato il ricorso).” (Cass. n. 13517 del 2014; in senso conforme, da ultimo, Cass. n. 16314 del 2017).

3.11. Con l’undicesimo motivo si fa valere: “violazione e falsa applicazione dell’art. 2407 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Il motivo si duole che la corte territoriale, una volta riconosciuta la responsabilità del ricorrente, e nonostante che egli avesse lamentato “la scarsa incidenza della propria condotta rispetto al danno ipotizzato dall’attore, chiedendo che venisse operata la giusta graduazione dello stesso”, abbia escluso, in ragione del carattere solidale della responsabilità, graduare la responsabilità dei sindaci rispetto a quella degli amministratori, assumendo che l’irrilevanza della diseguale rilevanza causale delle condotte nei rapporti fra danneggiante e danneggiato, in tal modo applicando il principio di cui a Cass. n. 9384 del 2011.

Si sostiene che tale principio non sarebbe stato pertinente, afferendo il precedente alla responsabilità degli amministratori e si prospetta che sarebbe stato applicabile il principio di cui a Cass. n. 2538 del 2005, “per cui il danno imputabile al sindaco, siccome accertato in sede concorsuale, può avere cause molteplici, non tutte riconducibili all’organo di controllo, appalesandosi necessario l’accertamento dell’esistenza del nesso di causalità tra la condotta illegittima ed il danno nonchè la graduazione delle responsabilità di costoro rispetto agli amministratori”.

3.11.1. Il motivo è inammissibile, perchè non si correla alla motivazione della sentenza impugnata.

Essa, infatti, ha evocato Cass. n. 9384 del 2011 a proposito della valutazione della corresponsabilità fra gli amministratori, mentre, a proposito dei due sindaci ha fatto leva sul principio di diritto di cui a Cass. n. 18497 del 2006, che il ricorrente ignora ed il quale è nel senso che: “In tema di fatto illecito imputabile a più persone, la questione della gravità delle rispettive colpe e dell’entità delle conseguenze che ne sono derivate può essere oggetto di esame da parte del giudice del merito, adito dal danneggiato, solo se uno dei condebitori abbia esercitato l’azione di regresso nei confronti degli altri o, in vista del regresso, abbia chiesto espressamente tale accertamento in funzione della ripartizione interna del peso del risarcimento con i corresponsabili, senza che tale domanda possa ricavarsi dalle eccezioni con cui il condebitore abbia escluso la sua responsabilità nel diverso rapporto con il danneggiato.”.

Principio che ha la sua base normativa nell’art. 2055 c.c. e che proprio come tale è stata evocato con specifico riferimento alla solidarietà fra amministratori di società e sindaci da Cass. n. 23581 del 2010, secondo cui: “Nel giudizio avente ad oggetto l’azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci (nella specie, proposta dal curatore della società fallita), sussiste il vizio di omessa pronuncia se il giudice di merito non provveda, dopo l’affermazione della responsabilità solidale di ciascuno dei convenuti per l’intero danno, in ordine alla domanda di accertamento della quota di responsabilità dell’assicurato, proposta dall’assicuratore chiamato in causa da uno dei convenuti, atteso che la responsabilità solidale di ciascun concorrente all’illecito stabilita dall’art. 2055 c.c., comma 1, non esime il giudice, quando sia stata formulata apposita domanda d’accertamento delle quote di ripartizione della responsabilità, dell’obbligo di provvedere”.

Nella specie il ricorrente non ha sostenuto di avere proposto domanda di regresso e, dunque, la questione di diritto posta inammissibilmente dal motivo sarebbe pure priva di fondamento.

3.12. Il ricorso del Ca. è, conclusivamente, rigettato.

C) Esame del ricorso D..

4. Il ricorso proposto dal D. consta di sette motivi.

4.1. Con il primo motivo si denuncia: “violazione dell’art. 392 c.p.c. come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 21, (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4).

4.2. Con il secondo motivo si denuncia “violazione dell’art. 392 c.p.c. nella formulazione anteriore alla modifica apportata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, comma 21. Violazione dell’art. 615 c.p.p., comma 3, (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4). Violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Motivazione apparente (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

4.2.1. I due motivi pongono le stesse questioni esaminate sopra a proposito del ricorso precedente e colà prospettate con due distinte censure in seno al primo motivo: essi sono manifestamente infondati per le ragioni già esposte riguardo a detto ricorso sub 3.1.1.

4.3. Il terzo motivo denuncia: “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Omesso esame delle sentenze rese nei tre gradi del giudizio penale. Omessa considerazione della circostanza che l’Ing. D.M. era stato assolto con formula piena dal reato di cui al capo “G”; violazione dell’art. 652 c.p.p. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

Il motivo lamenta che, sulla base della premessa fatta nel primo capoverso della sua pagina 11, la sentenza impugnata abbia proceduto alla valutazione della responsabilità, giudicando sul presupposto che con riferimento al capo G (e specificamente per le operazioni di deposito dei titoli presso Dominion Trust Corporation e “pronti contro termine”) il ricorrente fosse stato assolto con la formula “perchè il fatto non costituisce reato”, mentre, in realtà la formula dell’assoluzione, come emergeva dalla sentenza penale di appello, sarebbe stata – a differenza di quella adottata dal tribunale in primo grado (che era stata l’altra) quella “per non avere commesso il fatto”. La conseguenza sarebbe stata che la sentenza impugnata sarebbe incorsa in una violazione dell’art. 652 c.p.p., in quanto la percezione dell’esatta formula assolutoria avrebbe dovuto comportare effetti preclusivi sulla considerazione del fatto ai fini della responsabilità civile.

4.3.1. Il motivo è inammissibile perchè denuncia un preteso errore revocatorio di fatto, cioè l’erronea percezione del fatto della formula assolutoria che si assume espressa nel giudizio di appello penale.

Come tale l’errore avrebbe dovuto denunciarsi con il mezzo della revocazione ordinaria ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4 e non con il ricorso per cassazione.

4.4. Il quarto motivo prospetta, sempre sulla stessa questione e sempre assumendo l’esistenza del detto errore revocatorio, “omessa considerazione della circostanza che l’Ing. D.M. era stato assolto con formula piena dal reato di cui al capo “G”; violazione dell’art. 652 c.p.p. Conseguente insussistenza della responsabilità dell’Ing. D.M. dal preteso danno liquidato nella sentenza impugnata (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

E’ conseguentemente inammissibile per la stessa ragione del precedente. La doglianza avrebbe dovuto farsi valere con il mezzo della revocazione.

4.5. Il quinto motivo denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 2392 e 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Erroneo accoglimento delle domande formulate ex aderso in mancanza dell’assolvimento, da parte della Banca attrice, dell’onere probatorio su di essa gravante”.

L’esordio della illustrazione del motivo assume che com’era stato dedotto nel giudizio di rinvio la Banca di Girgenti nel proprio atto di riassunzione si era limitata ad invocare genericamente elementari principi di colpa ed a rinviare altrettanto genericamente alle decisioni penali, senza preoccuparsi di allegare in concreto il profilo di colpevolezza nella condotta del ricorrente, il nesso di causalità fra essa ed il danno, elementi tutti necessari per l’affermazione di responsabilità ai sensi dell’art. 2392 c.c. Sulla base di tale premessa si addebita alla corte territoriale di non avere considerato “che le domande formulate da controparte erano fondate esclusivamente su generici rinvii alle non meglio analizzate decisioni penali, senza ulteriori allegazioni o argomentazioni idonee a consentire di accertare la sussistenza di tutti gli elementi dell’illecito civile” e di avere proceduto “autonomamente al vero e proprio riesame dei fatti che costituivano oggetto dei (…) capi di imputazione, senza tenere conto che il suddetto generico riferimento della Banca alle decisioni intervenute in sede penale, senza ulteriore specificazione, era assolutamente insufficiente sotto il profilo dell’assolvimento dell’onere probatorio gravante su controparte.”.

4.5.1. Il motivo è inammissibile per plurime ragioni.

In primo luogo, perchè si astiene dall’individuare la motivazione con cui la corte territoriale avrebbe violato le due norme.

In secondo luogo, perchè appare del tutto generico nel sostenere che l’onere di allegazione delle ragioni della domanda risarcitoria con richiamo alle decisioni penali fosse inidoneo ad individuarle e tanto si rileva non senza doversi rimarcare che l’insufficiente adempimento di quell’onere sarebbe stato semmai rilevante sul piano della individuazione dei fatti costitutivi della domanda e non su quello della prova. La riproduzione della citazione in riassunzione, fatta dal ricorso in nota alle pagine 35-36 dl ricorso si risolve, del resto, in una sorta di delega alla Corte a cercare cosa potrebbe sorreggere la censura. Sicchè, il ricorso non sfugge ad una valutazione di inammissibilità per difetto di specificità (citata Cass., Sez. n., n. 7074 del 2017).

In terzo luogo, la censura di violazione dell’art. 2697 c.c. è dedotta al di fuori del criterio indicato da Cass. Sez. Un., n. 15698 del 2016 nel senso che “La violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni”.

Nessuna argomentazione della violazione o falsa applicazione dell’art. 2392 c.c. si coglie nella illustrazione, se non come conseguenza della fondatezza della generica prospettazione.

4.6. Il sesto motivo denuncia: “violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Motivazione apparente. Illogicità manifesta della motivazione relativa alla attribuzione di responsabilità all’Ing. D. con riferimento ai fatti di cui al Capo di imputazione A1 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

La stessa intestazione del motivo – in disparte l’evocazione del paradigma del n. 3 anzichè del n. 4 dell’art. 360 c.p.c.evidenzia la sua inidoneità ad indicare la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 nei termini in cui è individuata dalla consolidata giurisprudenza della Corte. Termini che sono stati ribaditi da Cass. Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014 in sede di individuazione dei limiti del controllo della ricostruzione della quaestio facti nella vigenza dell’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5 statuendosi che: “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.”.

Ebbene, l’allusione ad una illogicità manifesta della motivazione nella intestazione evoca già di per sè un concetto che non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi indicate dalle SS.UU.

La lettura dell’illustrazione del motivo conferma che esso non denuncia l’esistenza di alcuna delle figure indicate dalle Sezioni Unite, dato che dalla pagina 40 sino alla 41 si evocando tre parti della motivazione della sentenza impugnata, la prima a pagina 16 e le altre alla pagina 17 di essa, il che palesa in primo luogo che si è in presenza di motivazione graficamente esistente. Quindi, si argomenta espressamente che “l’illogicità manifesta di detta motivazione è resa evidente” da una serie di circostanze di fatto enunciate alle pagine 41-42 sub 6.2.: ciò palesa che si sta denunciando non un vizio intrinseco della motivazione sotto le altre due figure, ma il contrasto della motivazione, o meglio dei brani della motivazione evocati, con dette circostanze.

Sicchè la sostanza dell’illustrazione sarebbe riconducibile al vecchio paradigma del n. 5 e, peraltro, dette circostanze sono pure indicate senza il rispetto dell’onere di indicazione specifica di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

Il motivo è, dunque, inammissibile.

4.7 Il settimo motivo denuncia: “omessa esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Omessa valutazione da parte del giudice dei passi decisivi delle consulenze svolte in sede penale (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Insussistenza di responsabilità con riferimento ai fatti di cui al Capo di imputazione A6.”.

L’illustrazione del motivo, dopo l’evocazione di brani della motivazione della sentenza impugnata, postula che nel configurare in essa la colpevole violazione dei doveri della carica a carico degli amministratori la corte di rinvio avrebbe omesso di esaminare un fatto storico che risulterebbe dagli atti processuali e che viene individuato in questi termini: “avvenuto accertamento, nel corso del procedimento penale, della mancata conoscenza, non imputabile a responsabilità da inadempimento, da parte dell’Ing. D.M., del trasferimento in apparente deposito di titoli di pertinenza della Banca di Girgenti presso la Dominion Trust Corporation S.p.a.”.

4.7.1. Il Collegio rileva che non è dato capire come possa essere definito fatto un “avvenuto accertamento”, atteso che un’attività accertativa può semmai portare alla conoscenza di un fatto, cioè alla dimostrazione della sua esistenza.

Questa notazione è sufficiente ad evidenziare che la doglianza è in realtà volta a postulare che la corte di rinvio non abbia riconosciuto le risultanze degli atti processuali come idonee all’accertamento.

Ne segue che lo stesso ricorrente invoca nella sostanza un apprezzamento delle risultanze probatorie e la conferma se ne trae dall’attività illustrativa che si svolge di seguito: essa inizia con un incipit in cui si premette che “come già evidenziato dall’Ing. D.M. nei propri atti difensivi” emergerebbero una serie di circostanze “dalle risultanze delle indagini e dei consulenti tecnici e periti cui rinvia la controparte”, le quali poi vengono evocate con riferimenti alla perizia di ufficio del giudizio di appello penale. In fine è dall’evocazione di esse che si sostiene sarebbe emerso l’accertamento cui si fa iniziale riferimento.

E’ palese che il motivo si risolve allora in una censura alla valutazione di emergenze probatorie che avrebbero dovuto condurre la corte di rinvio ad un esito diverso circa l’apprezzamento della posizione del ricorrente.

Si è del tutto al di fuori dal principio di diritto affermato dalle citate sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014 nel senso che “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.”.

Il motivo è pertanto inammissibile.

4.8. Il ricorso del D. è conclusivamente rigettato.

D) Esame del ricorso Pe..

5. Il ricorso del Pe. si fonda su undici motivi.

5.1. Con il primo motivo si denuncia “violazione dell’art. 392 c.p.c. come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46,comma 21, (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4).

5.2. Con il secondo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 392 e 393 c.c., art. 615 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 “.

I due motivi pongono le stesse questioni esaminate sopra a proposito del ricorso Ca. e colà prospettate con due distinte censure in seno al primo motivo: essi sono manifestamente infondati per le ragioni già esposte riguardo a detto ricorso sub 3.1.1.

5.3. Il terzo motivo denuncia: “nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 383 e 384 c.p.c. ed artt. 622 e 627 c.p.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5 per l’omesso esame in ordine ad una eccezione di inammissibilità ed improcedibilità della domanda decisiva per la controversia per formazione di giudicato nei confronti del comparente Pe.En.”.

Vi si pone la stessa questione posta dal ricorso Ca. con il quinto motivo, sostenendosi che la mancata impugnazione della parte civile Banca di Girgenti in Cassazione avesse determinato la formazione a favore del ricorrente (e dell’altro sindaco) di un giudicato preclusivo della domanda risarcitoria ai sensi dell’art. 652 c.p.p. per effetto del passaggio in cosa giudicata delle assoluzioni disposte dalla sentenza penale di appello per il capo E perchè il fatto non sussiste, per quello G per non aver commesso il fatto e per quello di cui al capo H perchè il fatto non è più previsto come reato.

La prospettazione è riferita a tutte e tre le imputazioni e si assume che nella comparsa di costituzione in riassunzione il ricorrente aveva eccepito in ragione di ciò “la inammissibilità ed improcedibilità della domanda nei confronti del ricorrente per formazione di giudicato nei suoi confronti ai sensi dell’art. 652 c.p.p.”.

5.3.1. E’ palese che l’invocazione dell’art. 652 c.p.p. non è pertinente rispetto all’imputazione di cui al capo H, attesa la formula assolutorie diversa da quelle contemplate dalla norma.

5.3.2. Riguardo al capo E il motivo è inconferente, atteso che la sentenza impugnata, come emerge dalla premessa alla pagina 11 e comunque dalla motivazione non ha affatto proceduto ad esaminare l’azione risarcitoria con riguardo ai fatti di cui al detto capo.

5.3.3. Riguardo al capo G il motivo è invece in primo luogo inammissibile e gradatamente privo di fondamento sulla base delle considerazioni che si sono svolte esaminando il quinto motivo del ricorso Ca., che qui si intendono richiamate. La prioritaria inammissibilità discende dal fatto che il ricorrente ha omesso di censurare la motivazione della sentenza qui impugnata nella parte in cui, come si è veduto a proposito del ricorso Ca., ha spiegato la ragione per cui il rinvio concerneva la posizione dei sindaci pure per il capo G. Il motivo si disinteressa di quella motivazione e, pertanto, essa è passata in cosa giudicata.

Per la verità, in chiusura del motivo si sostiene una violazione dell’art. 112 c.p.c. – non indicata nella intestazione – per mancata pronuncia sull’eccezione formulata in comparsa, ma essa quanto al capo G è appunto priva di fondamento per quanto appena osservato.

Tanto si osserva non senza doversi ribadire le complessive ragioni per cui si deve ritenere che la Cassazione Penale annullò comunque agli effetti civili l’assoluzione per il capo G.

5.4. Il quarto motivo deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 132 c.p.c., n. 3.

Vi si premette che nella sentenza impugnata non sono riportate le conclusioni e se ne desume – evocando Cass. n. 27941 del 2012 – che ciò sarebbe indiziante circa la mancata pronuncia sull’eccezione di cui ragiona il motivo precedente.

5.4.1. Il motivo è privo di fondamento quanto all’eccezione riguardo al capo G, atteso che, come si è detto scrutinando il motivo precedente, la corte di rinvio si è pronunciata, mentre l’assenza di pronuncia sugli altri due capi è priva di decisività e inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 2 per le ragioni indicate nello scrutinio del precedente motivo (si ricorda, in proposito che la formulazione di cui a detta norma, sebbene evocativa dei contenuti dell’art. 111 Cost., comma 1, siccome poi specificati dal secondo comma e dagli altri commi della norma, secondo la ricostruzione preferibile si presta a sottendere, piuttosto che la necessità che l’inosservanza della norma del procedimento abbia violato il principio secondo qualcuna di quelle specificazioni (posto che ogni violazione di norma del procedimento si concreta almeno in una lesione del contraddittorio e/o del diritto di difesa come regolato dalle forme previste e, dunque, risulterebbe lesiva delle regole del giusto processo, con conseguente inutilità dell’art. 360-bis, n. 2), in realtà il carattere che la violazione della norma del procedimento deve avere, perchè possa denunciarsi in Cassazione. Carattere che, anche prima dell’introduzione dell’art. 360-bis, n. 2 si esprimeva nell’essere stata la violazione denunciata decisiva, cioè incidente sul contenuto della decisione e, dunque, arrecante un effettivo pregiudizio a chi la denunciava: così Cass. n. 22341 del 2017).

5.5. Il quinto motivo lamenta “violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 – Omessa motivazione circa un fatto decisivo” e si duole che la corte territoriale, avendo fatto precedere la motivazione sul decorso del termine di riassunzione dalla pubblicazione della sentenza penale dispositiva del rinvio per ciò solo non avrebbe motivato sull’eccezione di estinzione del processo.

5.5.1. Il motivo non solo è privo di fondamento perchè la corte territoriale ha motivato, ma è anche relativo ad una questione su cui lo scrutinio del secondo motivo ha già evidenziato la palese infondatezza.

5.6. Con il sesto motivo è denunciata: “violazione e falsa applicazione degli artt. 2393 e 2394 c.c., art. 2941 c.c., n. 7, art. 2945 c.c., n. 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – Prescrizione dell’azione sociale di responsabilità – Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”.

L’illustrazione del motivo esordisce assumendo di voler ricordare una serie di circostanze “al fine di meglio evidenziare l’intervenuta prescrizione dell’azione di responsabilità esperita dalla Banca di Girgenti in l.c.a. nei confronti del comparente” ed all’uopo deduce: a) che il commissariamento della banca venne disposto il 18 maggio 1991 e la stessa venne posa in liquidazione coatta amministrativa il 10 agosto 1991; b) che il Tribunale di Agrigento ne dichiarò lo stato di insolvenza il 20 dicembre 1991; c) che la banca iniziò il giudizio di responsabilità contro gli amministratori ed i sindaci con citazione del 17 aprile 1992 e che quel giudizio venne interrotto per la morte di uno dei convenuti il (OMISSIS), senza essere stato poi riassunto; d) che la banca trasferì l’azione civile nel processo penale costituendosi nel processo penale il 6 ottobre 1998, ma non nei confronti dei sindaci.

Dopo tali deduzioni, l’illustrazione dà atto che la corte territoriale nella sentenza qui impugnata ha fatto decorrere la prescrizione dalla data della sentenza di pronuncia dell’insolvenza e che ha ritenuto applicabile non già il termine quinquennale, ma quello di quindici anni correlato ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 3, al reato di bancarotta fraudolenta aggravata, osservando che alla data di costituzione di parte civile il 6 ottobre 1998 quel termine, peraltro interrotto dalla citazione civile, non era ancora decorso.

Dopo di ciò si sostiene che, avendo la banca trasferito l’azione nel processo penale e comportando l’esercizio di tale facoltà la rinuncia agli atti del giudizio, “e non avendo più coltivato la banca in sede penale l’azione civile nei confronti del ricorrente l’azione sociale di responsabilità ex art. 2393 c.c. è da ritenersi ampiamente prescritta”.

Tale assunto viene definito “troncante” e troverebbe spiegazione sebbene in una deduzione successiva – nell’assunto che la costituzione di parte civile del 6 ottobre 1998 non aveva riguardato il ricorrente e l’altro sindaco. La prospettazione viene sostenuta con un rinvio all’atto di costituzione, che viene indicato come “all. n. 3 atti fascicolo di parte”.

5.6.1. Ora, anche a non voler rilevare che la sentenza impugnata parla di una costituzione di parte civile a data 6 marzo 1998 e parte ricorrente non se ne cura, la suddetta indicazione non è rispettosa dell’art. 366 c.p.c., n. 6 quanto alla riproduzione del contenuto dell’atto in via diretta o almeno in via indiretta, con precisazione della parte dell’atto corrispondente all’indiretta riproduzione, si deve rilevare che nel suo controricorso la Banca di Girgenti ha replicato alla deduzione sostenendo che la costituzione di parte civile contro il ricorrente vi sarebbe stata “risultando dagli atti del processo e segnatamente dalla sentenza 20 luglio 2001 del Tribunale di Agrigento, che i due sindaci sono stati condannati, in solido con gli amministratori, al risarcimento dei danni e al pagamento delle spese processuali in favore della Banca di Girgenti”.

A tale assunto il Pe. non ha replicato in alcun modo nè nella prima memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. nè nella seconda depositata in occasione dell’odierna udienza pubblica.

Si aggiunga che nella stessa esposizione del fatto del ricorso è egli stesso a dare atto che venne condannato a beneficio delle parti civili in sede di primo grado del giudizio penale e lo fa senza dire che quella condanna riguardò le altre parti civili.

Ebbene, essendo intervenuta la condanna in primo grado necessariamente in relazione ad un’azione civile ritenuta esercitata ed essendo essa intervenuta nel 2001 è palese che a quell’epoca il termine di quindici anni non era decorso e ciò anche a voler ritenere che un trasferimento dell’azione civile nel processo penale (che, proprio per essere “trasferimento” avrebbe comunque conservato l’effetto interruttivo istantaneo e permanente ricollegato all’originario esercizio dell’azione in sede civile) non vi fosse stato nel 1998 e fosse avvenuto solo successivamente. La stessa cosa dicasi se, in ipotesi su cui nessuna delle parti ha riferito, vi fosse stata costituzione in un momento successivo.

Tanto renderebbe irrilevante l’assunto che il giudizio civile si sarebbe estinto dopo l’interruzione cui il ricorrente ha accennato.

Il Collegio osserva, inoltre, che il ricorrente nemmeno ha esposto se e come l’eccezione di prescrizione venne formulata nel giudizio di primo grado penale e quindi, mantenuta nel giudizio di appello, sicchè, al di là del fatto che la corte di rinvio se ne è occupata, non è chiaro nemmeno se essa se ne sia occupata a ragione, atteso che avrebbe dovuto essere tenuta “viva”.

Comunque, il ricorrente nessuna deduzione fa contro la giusta osservazione della corte di rinvio che il termine di quindici anni rimase interrotto per tutta la durata del processo penale.

A pagina 15, inframmezzandola all’argomentazione di cui si è detto, il ricorrente assume, come unica ragione di contestazione dell’individuazione del termine, che la sentenza impugnata sarebbe carente di motivazione sull’applicabilità di quel termine, perchè non avrebbe specificato in concreto il “fatto” di bancarotta fraudolenta riferibile al Pe.: senonchè tale assunto, che si risolve nella negazione della responsabilità per il reato, è non solo del tutto generico, ma confligge con la stessa circostanza che l’assoluzione del Pe. per il capo G in quanto rilevante ai fini della configurabilità di quel delitto è stata cassata, come si è detto con l’affermazione di quella configurabilità e ciò al di là del fatto che essa è stata ribadita dalla corte di rinvio.

5.6.1. Il motivo è rigettato.

5.7. Il settimo motivo fa valere: “violazione e falsa applicazione dell’art. 2394 c.c., art. 72 legge bancaria (vecchio testo) ed L. Fall., art. 206, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ed art. 360 c.p.c., n. 5 – Omesso esame circa un fatto decisivo”.

Il motivo si fonda su un’eccezione di inammissibilità dell’azione sociale di responsabilità ai sensi dell’art. 2394 c.c. per carenza di autorizzazione ai sensi dell’art. 72 Legge Bancaria vigente ratione temporis che si dice proposta con la comparsa di riassunzione davanti alla corte palermitana e che si prospetta sostenendo che l’autorizzazione prodotta dalla controparte riguardava l’azione ai sensi dell’art. 2393 c.c. e non quella ai sensi dell’art. 2394 c.c..

Il motivo non localizza la comparsa in questo giudizio di legittimità e, pertanto, viola l’art. 366 c.p.c., n..

Al di là di tale rilievo, inoltre, nel riferire il contenuto dell’autorizzazione, che individua in quella rilasciata nel 1991 e che indica prodotta dalla controparte nel suo fascicolo, evoca due suoi passi senza spiegare come e perchè essi vadano intesi nel senso sostenuto.

In ogni caso, trattandosi di eccezione che si assume proposta con l’atto di riassunzione dopo la cassazione penale con rinvio ed essendo il giudizio di rinvio ai sensi dell’art. 622 c.p.p. riconducibile agli artt. 392 c.p.c. e seg. (già citata Cass. n. 17457 del 2007) ed avendo dunque natura “chiusa”, l’eccezione non avrebbe potuto essere proposta e nemmeno avrebbe dovuto essere esaminata come ha fatto invece la corte di rinvio, cui si imputa di averla esaminata senza preoccuparsi di chiarire se era stata rilasciata pure ai sensi dell’art. 2394 c.c..

5.7.1. Il motivo è dichiarato inammissibile.

5.8. L’ottavo motivo – con cui si prospetta “nullità dell’atto di citazione per violazione e falsa applicazione dell’art. 164 c.p.c., comma 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Indeterminatezza della domanda e delle ragioni della stessa” – consta di venti righe, undici delle quali occupate dalla citazione di Cass. n. 23180 del 2006, in cui si lamenta in modo del tutto generico la nullità dell’atto di citazione in riassunzione.

Il motivo è per tale ragione assertorio e inammissibile per assoluta mancanza di specificità (citata Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017).

Lo è ulteriormente perchè nemmeno si dice se la nullità venne eccepita davanti al giudice del rinvio.

5.9. Il nono motivo è inammissibile in ragione della sua stessa intestazione: denuncia, infatti, “violazione e falsa applicazione all(rectius: del)’art. 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – Contraddittoria motivazione”. In tal modo, in disparte la generica invocazione del paradigma dell’art. 132 si pone nella logica del vecchio n. 5 dell’art. 360 c.p.c.. Ed infatti, imputa alla corte di rinvio di avere recepito le risultanze di una perizia del giudizio penale di appello, sostiene del tutto genericamente che essa avrebbe dovuto accertare la diversa responsabilità degli amministratori e dei sindaci e asserisce che i sindaci non avrebbero avuto responsabilità quanto alla mancata restituzione dei titoli Dominion, alla quale il ricorrente sarebbe stato estraneo.

Il motivo risulta inammissibile per la sua assoluta carenza di specificità ed anche perchè basato sull’asserto già evidenziatosi erroneo che essa non fosse addebitabile al ricorrente.

La denuncia di un vizio ai sensi del vecchio n. 5 dell’art. 360 è confermata dall’espressa richiesta finale di acclarare la contraddittorietà della sentenza.

5.10. Il decimo motivo – deducente “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione all’art. 394 c.p.c., comma 3, e artt. 622 e 627 c.p.c.” – prospetta che, avendo la sentenza penale di primo grado condannato il ricorrente in via generica al risarcimento del danno e non avendo la Banca impugnato la statuizione in appello e nemmeno in Cassazione, il giudizio di rinvio disposto ai sensi dell’art. 622 c.p.p. non avrebbe potuto estendersi alla liquidazione del danno.

5.10.1. Il motivo è infondato alla luce del già ricordato (e riportato supra sub 2.2.2. principio di diritto – che supera Cass. n. 417 del 1996 invocata dal ricorrente – enunciato da Cass. n. 15182 del 2017.

5.11. Con un undicesimo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, lamentandosi la condanna alle spese: poichè la doglianza è articolata come res sperata quale conseguenza della cassazione della sentenza sulla base dei pregressi motivi, si è in realtà in presenza di un “non motivo”, dato che la caducazione della statuizione sulle spese, ove la sentenza fosse cassata, come non lo è, conseguirebbe ai sensi dell’art. 336 c.p.c., comma 1.

5.12. Conclusivamente, il ricorso del Pe. è rigettato.

Esame del ricorso degli eredi Mi..

6. Il ricorso degli eredi Mi. prospetta sette motivi.

6.1. Con il primo motivo si denuncia “violazione dell’art. 392 c.p.c. come modificato dalla L. 18 giugno 2009, art. 46, comma 21 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”.

Vi si deduce che all’atto di riassunzione successivo alla cassazione ai sensi dell’art. 622 c.p.p. sarebbe stato applicabile il termine di tre mesi introdotto dalla L. n. 69 del 2009 in sostituzione di quello di sei mesi.

La tesi è sostenuta sulla base dell’argomento che il giudizio di rinvio ai sensi dell’art. 622 c.p.p. non sarebbe prosecuzione di quello introdotto davanti al giudice penale, di modo che, ai sensi della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, il giudizio introdotto in riassunzione davanti alla corte palermitana si dovrebbe considerare un giudizio instaurato dopo l’entrata in vigore della detta legge.

Ne conseguirebbe che la riassunzione sarebbe stata tardiva con conseguente estinzione del giudizio.

6.1.1. Il motivo è manifestamente infondato.

Già si è evocato sopra, sub 5.7. il principio di diritto per cui il giudizio di rinvio a seguito della cassazione ai sensi dell’art. 622 c.p.p. è riconducibile agli artt. 392 c.p.c. e segg..

E poichè il giudizio di rinvio di cui agli artt. 392 e segg. è una prosecuzione dei gradi precedenti di merito, non è dubitabile che la prosecuzione davanti al giudice civile del giudizio a seguito di cassazione ai sensi dell’art. 622 c.p.p.nient’altro è che la prosecuzione dell’originaria azione civile articolata nel processo penale, sicchè non può considerarsi, agli effetti della norma transitoria della L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, un giudizio instaurato dopo l’entrata in vigore di essa il giudizio riassunto a seguito di una cassazione ai sensi dell’art. 622 c.p.p. in relazione ad un’azione civile introdotta nel processo penale prima di quell’entrata in vigore. Ne consegue che la riassunzione di tale giudizio dinanzi al giudice d’appello soggiace al termine di un anno previsto dall’art. 392, comma 1, nel testo anteriore alla sostituzione operata dalla L. n. 69 del 2009, art. 46, comma 21.

6.2. Il secondo motivo fa valere “nullità della sentenza per violazione dell’art. 392 c.p.c. in relazione agli artt. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.

Il motivo pone la questione posta dalla prima censura del primo motivo del ricorso Ca. ed è privo di fondamento per le ragioni indicate a proposito di esso sopra sub 3.1.1.

6.3. Il terzo motivo deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 2393 c.c., art. 2941 c.c., n. 7, art. 2945 c.c., n. 3 ed L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 125. Prescrizione dell’azione sociale di responsabilità”.

Il motivo critica la sentenza impugnata là dove ha ritenuto applicabile il termine di prescrizione quinquennale, ma lo fa con un’affermazione che è palesemente erronea, posto che pretende di desumere il regime prescrizionale sulla base dell’assoluzione del de cuius in forza della sentenza penale di appello, obliterando che la Cassazione penale dispositiva del rinvio ha annullato quell’assoluzione agli effetti civili e ritenuto a quegli effetti fondata l’imputazione per bancarotta fraudolenta, come correttamente ha rilevato la sentenza impugnata alle pagine 8-9.

6.4. Il quarto motivo prospetta “violazione dell’art. 2394 c.c. ed art. 72 legge bancaria (vecchio testo) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ed art. 360 c.p.c., n. 5 – Omesso esame circa un fatto decisivo”.

Il motivo pone una questione simile a quella oggetto del settimo motivo del ricorso Pe. ed è inammissibile per le stesse ragioni enunciate a proposito di esso sub 5.7.

6.5. Il quinto motivo fa valere “nullità dell’atto di citazione per violazione e falsa applicazione dell’art. 164 c.p.c., comma 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Indeterminatezza della domanda e delle ragioni della stessa”.

Prospetta la stessa questione posta dall’ottavo motivo del ricorso Pe. ed ha struttura simile ad esso.

Merita la stessa valutazione di inammissibilità formulata sopra sub 5.8.

6.6. Il sesto ed il settimo motivo presentano la stessa intestazione e illustrazione del nono e del decimo motivo del ricorso Pe. e meritano la stessa sorte sopra enunciata.

7. Conclusivamente tutti i ricorsi debbono essere rigettati.

8. Ricorrono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione tenuto conto della complessità delle questioni esaminate e considerando che il regime processuale del potere di compensazione va correlato alla disciplina vigente all’inizio dell’azione civile nel processo penale.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte di ognuna delle parti ricorrenti dei cinque ricorsi riuniti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 16 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2018

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