Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32907 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. I, 13/12/2019, (ud. 09/09/2019, dep. 13/12/2019), n.32907

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23767/2018 proposto da:

D.S., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico, 38

presso lo studio dell’avvocato Roberto Maiorana che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, domiciliato per legge in Roma Via Dei

Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositato il giorno

11/07/2018;

udita la relazione della dal Cons. LUCIA TRIA, nella causa svolta

nella camera di consiglio del 09/09/2019.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. il Tribunale di Roma, con decreto n. 9619/2018 pubblicato il giorno 11 luglio 2018, respinge il ricorso proposto da D.S., cittadino del Gambia, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente ha dichiarato di essere a rischio di subire un grave pericolo per la propria incolumità fisica, in caso di rientro in patria, a causa della propria omosessualità, dopo che il suo compagno era stato imprigionato e torturato per la medesima ragione;

b) il racconto è apparso generico e contraddittorio anche in riferimento alla dichiarata omosessualità e all’arresto del compagno nonchè con riguardo alla tortura di questi;

c) i timori del ricorrente appaiono del tutto soggettivi, visto che egli ha riferito che nemmeno i suoi familiari erano al corrente del suo orientamento sessuale al momento dell’espatrio e la stessa omosessualità appare inattendibile;

d) comunque le circostanze riportate non consentono di concedere lo status di rifugiato nè la protezione sussidiaria, tanto più che in Gambia non vi sono situazioni di violenza indiscriminata o di conflitto armato;

e) in particolare, per lo status di rifugiato non risulta oggettivamente dimostrata la dedotta correlazione dell’espatrio con persecuzioni quali previste dalla Convenzione di Ginevra, mentre deve escludersi la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, avuto riguardo sia alla condizione soggettiva del ricorrente sia a quella dello Stato di origine,nel quyale dopo la deposizione del dittatore J. e la vittoria del Presidente A.B. si è intrapreso un cammino verso la democrazia e anche le persecuzioni contro le persone un tempo discriminate vanno riducendosi;

f) questo vale a maggior ragione per il richiedente che non ha dimostrato di correre rischi specifici e collegati a condizioni di persecuzione individuate e consolidate;

g) infine, non può concedersi la protezione umanitaria perchè non sono state allegate o documentate dal ricorrente particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali o di salute, nè è emersa una situazione di fragilità da riferire ai traumi subiti in Libia ove lo stesso è transitato prima di arrivare in Italia, perchè sul punto il ricorrente ha solo genericamente riferito di aver subito un attacco da parte di bande criminali senza allegare torture o trattamenti inumani oppure documentare lesioni;

3. il ricorso di D.S. domanda la cassazione del suddetto decreto per quattro motivi; il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Sintesi dei motivi.

1. il ricorso è articolato in tre motivi;

2. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 circa la valutazione della prova portata dal ricorrente in merito al proprio orientamento sessuale;

3. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per la mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege del concreto rischio di essere arrestato in caso di ritorno in patria;

4. con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione ed errata applicazione sia del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, “non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario” sia dello stesso D.Lgs. n. 286 cit., art. 19 “che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel Paese d’origine o che vi possa correre gravi rischi”. Si sostiene che, alla luce della situazione socio-economica del Paese di provenienza e dei conseguenti obblighi internazionali e costituzionali assunti dall’Italia di garantire un livello di vita dignitoso e la tutela della persona, la concessione della protezione umanitaria è una misura idonea ad assicurare al ricorrente un adeguato livello di vita per sè e per la propria famiglia mentre, nel Paese d’origine, il ricorrente si troverebbe in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale. Inoltre, la prova della situazione di vulnerabilità del ricorrente e della inadeguatezza delle sue condizioni di vita sarebbe in re ipsa.

Esame dei motivi.

5. il ricorso non è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte;

6. il primo motivo è inammissibile;

6.1. infatti, la deduzione del vizio di violazione di legge, consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione), postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (vedi, per tutte: Cass. 13 marzo 2018, n. 6035);

6.2. nella specie, invece, al di là del formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione del motivo, le censure con esso proposte finiscono con l’esprimere un mero – e, di per sè, inammissibile dissenso rispetto alle motivate valutazioni delle risultanze processuali effettuate dal Tribunale a proposito sia della condizione socio-politica del Gambia sia della condizione personale del ricorrente quale emersa dal suo racconto, sulla base delle risultanze processuali, muovendo dal presupposto della genericità e contraddittorietà del racconto dell’interessato, anche in riferimento alla dichiarata omosessualità e all’arresto del compagno nonchè con riguardo alla tortura di questi;

6.3. ma, per consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, il D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (vedi, per tutte: Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340), cosa che qui non avviene;

7. anche il secondo motivo è inammissibile, per analoghe ragioni;

7.1. secondo il consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, il richiamato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e, in particolare, la disposizione di cui alla lett. c) di esso – su cui si appuntano le censure del ricorrente – deve essere interpretato in conformità con la fonte UE di cui è attuazione (artt. 9 e 15, lett. c, delle direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di giustizia UE (vedi, in tal senso, di recente: Cass. 31 maggio 2018, n. 13858; Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064; Cass. 9 gennaio 2019, n. 284);

7.2. secondo tali indicazioni: “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, lett. c), della direttiva, per il fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel Paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (vedi CGUE: (sentenza 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, punti 33-35 e 43; sentenza 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12, punto 30);

7.3. è stato, al riguardo, specificato che, come precisato dalla Corte di Giustizia UE (nelle citate sentenze e nella sentenza della Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, punto 36), i rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un Paese di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definire come “danno grave” (v. Considerando n. 26 della direttiva n. 2011/95/UE);

7.4. infatti, la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), postula, in realtà, da un lato, la sussistenza di una situazione configurabile come “conflitto armato” (inteso come scontro tra le forze governative di uno Stato ed uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati) e, dall’altro, una conseguente violenza generalizzata idonea a comportare una minaccia “grave e individuale alla vita o alla persona di un civile” – quale è il richiedente – derivante da quella violenza;

7.5. nel decreto attualmente impugnato il Tribunale – con un apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede se sorretto da congrua motivazione, come accade nella specie (vedi, fra le tante: Cass. n. 14006/18; n. 32064/18; Cass. 2 maggio 2019, n. 11561, quest’ultima relativa ad un giudizio analogo al presente) – ha escluso la ricorrenza di tutte le ipotesi di cui al citato art. 14, ivi compresa quella prevista nella lett. c) di tale articolo;

7.6. a tale conclusione il Giudice del merito è pervenuto sul rilevo secondo cui in Gambia, la situazione generale è in via di miglioramento dopo la sconfitta del dittatore J., sicchè pur riscontrandosi elementi di instabilità la situazione non è così critica da determinare l’applicazione dell’art. 14, lett. c, cit., nè dal racconto del ricorrente è emersa una situazione di pericolo individuale;

7.7. nel presente ricorso le suddette affermazioni non risultano contestate in modo specifico e ci si limita a sostenere che le attuali condizioni sociopolitiche del Paese di origine sarebbero sufficienti per la concessione della protezione sussidiaria, così esprimendosi un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e invocando, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse;

7.8. di qui l’inammissibilità del terzo motivo, in quanto anche in questo caso la deduzione del vizio di violazione di legge è impropria perchè si risolve in una critica che investe la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (vedi, per tutte: Cass. 13 marzo 2018, n. 6035);

8. anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile;

8.1. infatti le deduzioni del ricorrente in materia di protezione umanitaria risultano del tutto generiche e non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, tanto che dal ricorso non si riesce a individuare la speciale condizione di vulnerabilità che affliggerebbe il ricorrente e che il giudice di merito avrebbe trascurato di considerare, perchè nel ricorso si fa esclusivo riferimento all’inadeguatezza delle condizioni di vita in Gambia;

8.2. nulla di utile si riferisce con specifico riguardo a D.S., limitandosi a fare riferimento a sue generiche esigenze di salute ed alimentari;

8.3. ne consegue che non risulta impugnata la ratio decidendi posta a base del rigetto della domanda di protezione umanitaria, rappresentata dalla rilevata mancanza di allegazioni o documenti da parte del ricorrente di particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali o di salute e dalla mancata emersione dagli atti di causa di una situazione di fragilità da riferire ai traumi subiti in Libia ove lo stesso è transitato prima di arrivare in Italia;

8.4. nel presente motivo questa affermazione – che costituisce una ratio decidendi idonea da sola a sorreggere il decreto sul punto – non viene attinta dalle censure formulate le quali, invece, si indirizzano inammissibilmente su altri argomenti, che risultano privi di specifica attinenza con tale statuizione centrale nella sentenza di appello impugnata;

8.5. tale omessa impugnazione rende di per sè inammissibile, per difetto di interesse, la relativa censura, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

Conclusioni.

9. in sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

10. le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

11. si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate Euro 2100,00 (duemilacento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 9 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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