Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32906 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. I, 13/12/2019, (ud. 09/09/2019, dep. 13/12/2019), n.32906

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23766/2018 proposto da:

A.K., elettivamente domiciliato in Roma Viale Angelico, 38

presso lo studio dell’avvocato Roberto Maiorana che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, domiciliato per legge in Roma Via Dei

Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale Dello Stato che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 13/07/2018;

udita la relazione della dal Cons. LUCIA TRIA9771/2018 del TRIBUNALE

di ROMA, depositata il causa svolta nella camera di consiglio del

09/09/2019.

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. il Tribunale di Roma, con decreto n. 9771/2018 pubblicato il 13 luglio 2018, respinge il ricorso proposto da A.K., cittadino nigeriano proveniente da (OMISSIS), avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. il Tribunale, per quel che qui interessa, precisa che:

a) il richiedente ha dichiarato di essere (OMISSIS) e di aver lasciato la Nigeria per evitare di prendere il posto del padre, che era sacerdote di un culto tradizionale, e per sottrarsi alle minacce e alle percosse dei componenti della sua comunità che volevano punirlo per essersi rifiutato di prendere il posto del padre, dalla cui casa era stato cacciato;

b) la Commissione territoriale ha ritenuto non credibile, perchè generico e inattendibile, il racconto del richiedente, che nelle audizioni ha dimostrato di avere una conoscenza superficiale sia della religione (OMISSIS) sia del culto tradizionale del padre e comunque privo di riscontri con le fonti consultate;

c) comunque le circostanze riportate non consentono di concedere lo status di rifugiato nè la protezione sussidiaria, tanto più che in (OMISSIS) non vi sono situazioni di violenza indiscriminata o di conflitto armato;

d) in particolare, per lo status di rifugiato non risulta oggettivamente dimostrata la dedotta correlazione dell’espatrio con persecuzioni quali previste dalla Convenzione di Ginevra, mentre deve escludersi la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, avuto riguardo sia alla condizione soggettiva del ricorrente sia a quella dello Stato di Edo da cui proviene, come si è detto;

e) anche se la situazione della Nigeria è difficile, però il ricorrente non ha allegato o dimostrato circostanze di propria particolare vulnerabilità, per ragioni di salute, traumi pregressi o problematiche riscontratesi durante il viaggio o la permanenza in Libia che possano rilevare per la protezione umanitaria;

f) pertanto, la vicenda personale del ricorrente non può valere per dimostrare una situazione di rischio in caso di rimpatrio, sicchè anche se fossero stati allegati e dimostrati elementi decisivi di integrazione lavorativa in Italia – cosa che non è avvenuta, il che impedisce la concessione della protezione umanitaria – comunque, la mancata dimostrazione del suddetto rischio esclude in ogni caso l’accoglimento della domanda di protezione internazionale;

3. il ricorso di A.K. domanda la cassazione del suddetto decreto per due motivi; il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Sintesi dei motivi.

1. il ricorso è articolato in due motivi;

2. con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14 per la “mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragione delle attuali condizioni socio-politiche del Paese di origine”, nelle quali ogni persona è in pericolo e la Polizia e il sistema giudiziario non garantiscono il rispetto dei diritti umani;

3. con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione ed errata applicazione sia del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, “non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario” sia dello stesso D.Lgs. n. 286 cit., art. 19 “che vieta l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel Paese d’origine o che vi possa correre gravi rischi”, con omessa applicazione dell’art. 10 Cost. e dell’art. 3 CEDU. Si sostiene che, alla luce della situazione socio-economica del Paese di provenienza e dei conseguenti obblighi internazionali e costituzionali assunti dall’Italia di garantire un livello di vita dignitoso e la tutela della persona, la concessione della protezione umanitaria è una misura idonea ad assicurare al ricorrente un adeguato livello di vita per sè e per la propria famiglia mentre, nel Paese d’origine, il ricorrente si troverebbe in una situazione di estrema difficoltà economica e sociale. Inoltre, la prova della situazione di vulnerabilità del ricorrente e della inadeguatezza delle sue condizioni di vita sarebbe in re ipsa.

Esame dei motivi.

4. il ricorso non è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte;

5. il primo motivo è inammissibile;

5.1. secondo il consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, il richiamato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e, in particolare, la disposizione di cui alla lett. c) di esso – su cui si appuntano le censure del ricorrente – deve essere interpretato in conformità con la fonte UE di cui è attuazione (artt. 9 e 15, lett. c, delle direttive 2004/83/CE e 2011/95/UE), in coerenza con le indicazioni ermeneutiche fornite dalla Corte di giustizia UE (vedi, in tal senso, di recente: Cass. 31 maggio 2018, n. 13858; Cass. 12 dicembre 2018, n. 32064; Cass. 9 gennaio 2019, n. 284);

5.2. secondo tali indicazioni: “l’esistenza di un conflitto armato interno potrà portare alla concessione della protezione sussidiaria solamente nella misura in cui si ritenga eccezionalmente che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 15, lett. c) della direttiva, per il fatto che il grado di violenza indiscriminata che li caratterizza raggiunge un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nel Paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia” (vedi CGUE: (sentenza 17 febbraio 2009, Elgafaji, C-465/07, punti 33-35 e 43; sentenza 30 gennaio 2014, Diakitè, C-285/12, punto 30);

5.3. è stato, al riguardo, specificato che, come precisato dalla Corte di Giustizia UE (nelle citate sentenze e nella sentenza della Grande Sezione, 18 dicembre 2014, C-542/13, punto 36), i rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un Paese di norma non costituiscono di per sè una minaccia individuale da definire come “danno grave” (v. Considerando n. 26 della direttiva n. 2011/95/UE);

5.4. infatti, la nozione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), postula, in realtà, da un lato, la sussistenza di una situazione configurabile come “conflitto armato” (inteso come scontro tra le forze governative di uno Stato ed uno o più gruppi armati o tra due o più gruppi armati) e, dall’altro, una conseguente violenza generalizzata idonea a comportare una minaccia “grave e individuale alla vita o alla persona di un civile” – quale è il richiedente – derivante da quella violenza;

5.5. nel decreto attualmente impugnato il Tribunale – con un apprezzamento di fatto incensurabile in questa sede se sorretto da congrua motivazione, come accade nella specie (vedi, fra le tante: Cass. n. 14006/18; n. 32064/18; Cass. 2 maggio 2019, n. 11561, quest’ultima relativa ad un giudizio analogo al presente) – ha escluso la ricorrenza di tutte le ipotesi di cui al citato art. 14, ivi compresa quella prevista nella lett. c) di tale articolo;

5.6. a tale conclusione il Giudice del merito, è pervenuto sul duplice rilievo della non credibilità del racconto del ricorrente – perchè generico, inattendibile comunque privo di riscontri con le fonti consultate – nonchè dell’insussistenza dei presupposti per la concessione della protezione sussidiaria, avuto riguardo sia alla condizione soggettiva del ricorrente sia a quella dello Stato di Edo da cui proviene, come si è detto;

5.7. nel presente ricorso le suddette affermazioni non risultano contestate in modo specifico e ci si limita a sostenere che le attuali condizioni sociopolitiche del Paese di origine sarebbero sufficienti per la concessione della protezione sussidiaria, così esprimendosi un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e invocando, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse;

5.8. di qui l’inammissibilità del terzo motivo, in quanto la deduzione del vizio di violazione di legge, consistente nella erronea riconduzione del fatto materiale nella fattispecie legale deputata a dettarne la disciplina (cd. vizio di sussunzione), postula che l’accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicchè è estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito (vedi, per tutte: Cass. 13 marzo 2018, n. 6035);

6. anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile;

6.1. infatti le deduzioni del ricorrente in materia di protezione umanitaria risultano del tutto generiche e non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, tanto che dal ricorso non si riesce a individuare la speciale condizione di vulnerabilità che affliggerebbe il ricorrente e che il giudice di merito avrebbe trascurato di considerare, perchè nel ricorso si fa esclusivo riferimento all’inadeguatezza delle condizioni di vita in Nigeria;

6.2. nulla di utile si riferisce con specifico riguardo a A.K., di cui ci si limita a riferire che egli non è particolarmente vulnerabile in Italia ma lo diventerebbe se fosse rimpatriato in Nigeria;

6.3. ne consegue che non risulta impugnata la ratio decidendi posta a base del rigetto della domanda di protezione umanitaria, rappresentata dalla rilevata mancanza di allegazioni o documenti da parte del ricorrente di particolari condizioni di vulnerabilità per motivi personali o di salute e dalla mancata emersione dagli atti di causa di una situazione di fragilità da riferire ai traumi subiti nei Paesi ove lo stesso è transitato prima di arrivare in Italia;

6.4. nel presente motivo questa affermazione – che costituisce una ratio decidendi idonea da sola a sorreggere il decreto sul punto – non viene attinta dalle censure formulate le quali, invece, si indirizzano inammissibilmente su altri argomenti, che risultano privi di specifica attinenza con tale statuizione centrale nella sentenza di appello impugnata;

6.5. tale omessa impugnazione rende di per sè inammissibile, per difetto di interesse, la relativa censura, essendo la statuizione non censurata divenuta definitiva e quindi non potendosi più produrre in nessun caso il relativo annullamento (vedi, al riguardo: Cass. 7 novembre 2005, n. 21490; Cass. 26 marzo 2010, n. 7375; Cass. 7 settembre 2017, n. 20910; Cass. 3 maggio 2019, n. 11706);

Conclusioni.

7. In sintesi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

5. le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza;

6. si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento dell’importo previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate Euro 2100,00 (duemilacento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima civile, il 9 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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