Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32899 del 19/12/2018

Cassazione civile sez. II, 19/12/2018, (ud. 14/06/2018, dep. 19/12/2018), n.32899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21897/2014 proposto da:

A.F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ILLIRIA, 19, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA ZAINA,

rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO BARBATELLI;

– ricorrente –

contro

M.G., rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI NOTO;

– controricorrente –

e contro

C.P., L.A., CONDOMINIO VIA (OMISSIS) in persona

dell’Amministratore;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2619/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 24/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/06/2018 dal Consigliere ELISA PICARONI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TRONCONE Fulvio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il ricorso ha ad oggetto la sentenza definitiva della Corte d’appello di Napoli, depositata il 24 giugno 2013, che ha riformato il capo 3) della sentenza del Tribunale di Napoli n. 9176 del 2006, resa nella causa promossa nel 2003 da M.G. nei confronti di C.P., L.A., A.F.G. e del Condominio di (OMISSIS).

1.1. L’attore M., proprietario dell’appartamento posto al quinto piano del fabbricato di (OMISSIS), con alcuni vani al sesto piano ed annessa terrazza a livello, propose domanda di accertamento dell’abusività delle opere realizzate dai coniugi C.- L. nell’appartamento – già di loro proprietà e poi venduto all’ A. – posto al sesto piano del civico (OMISSIS), con terrazza a livello, confinante con quella dell’attore, nonchè di condanna alla riduzione dei luoghi allo stato esistente nel 1992, oltre al risarcimento dei danni causati dalle infiltrazioni d’acqua piovana provenienti dal lastrico solare di proprietà condominiale. In particolare, l’attore aveva denunciato la trasformazione di una piccola finestra in balcone, la sostituzione della ringhiera prospiciente la strada con un manufatto in muratura che facilitava il passaggio nella sua proprietà, la realizzazione di una canna fumaria a ridosso del muro di confine, la trasformazione del solaio di copertura in solaio di calpestio e la realizzazione di ulteriori opere “addossate al muro di sua esclusiva preprietà”.

I coniugi C.- L. si opposero alla pretesa, chiedendo in ogni caso di essere manlevati dall’ A. il quale, a sua volta, formulò domanda di garanzia nei confronti di essi venditori. Il Condominio concluse per il rigetto della domanda risarcitoria, sull’assunto che le infiltrazioni fossero state causate dalle opere realizzate dai coniugi C.- L..

1.2. Per quanto ancora di rilievo in questa sede, il Tribunale condannò i coniugi C.- L. a pagare all’attore M. la somma di Euro 21.253 oltre interessi legali, a titolo di risarcimento danni per infiltrazioni d’acqua e per il sovraccarico del muro divisorio, nonchè alla restituzione di Euro 6.000 oltre interessi all’avente causa A., a titolo di riduzione del prezzo dell’immobile, e rigettò le ulteriori pretese.

2. La Corte d’appello ha parzialmente riformato la decisione.

2.1. Accertato a mezzo di supplemento di CTU che la parte finale del muro divisorio tra i due edifici, interessata dai lavori in contestazione, era di proprietà esclusiva del fabbricato posto al civico 38, la Corte ha condannato i convenuti alla demolizione del manufatto ivi realizzato ed ha rideterminato l’importo dovuto dai coniugi C.- L. all’ A. in ragione del minor valore dell’immobile, aggiungendovi le spese di demolizione.

3. A.F.G. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di quattro motivi. Resiste M.G. con controricorso. Non hanno svolto difese in questa sede C.P., L.A. e il Condominio di (OMISSIS). Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è infondato.

1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., art. 2697 c.c., in comb. disp. con gli artt. 112 e 115 c.p.c., e contesta la novità della domanda di demolizione del manufatto appoggiato al muro divisorio, che era stata specificamente formulata soltanto in appello.

2. Con il secondo motivo è denunciato omesso esame circa un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, e si contesta che la Corte d’appello non avrebbe motivato le ragioni che l’hanno indotta a disporre il supplemento di CTU, limitandosi a richiamare un atto di parte (perizia dott. S.). La sentenza sarebbe pertanto nulla, argomentando a contrario da Cass. Sez. U 01/08/2012, n. 3719.

3. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto prospettano questioni connesse, sono infondati.

3.1. Nell’incipit della sentenza impugnata, la Corte d’appello individua il thema decidendum residuato in esito alla sentenza non definitiva n. 2863 del 2009 nella domanda di demolizione del manufatto appoggiato al muro divisorio, rigettata dal Tribunale, e nella consequenziale domanda di riduzione del prezzo, formulata dall’ A. nei confronti dei danti causa.

Trattasi di attività di interpretazione e qualificazione della domanda che, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte regolatrice, non è condizionata dalle formule lessicali utilizzate dalle parti nella formulazione della domanda, in quanto il giudice deve tenere conto del contenuto sostanziale della pretesa, come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio, e dal provvedimento in concreto richiesto (giurisprudenza costante, ex plurimis, Cass. Sez. U 21/02/2000, n. 27; Cass. 20/10/2005, n. 20322; Cass. 18/03/2014, n. 6226). Nella specie, peraltro, l’operazione ermeneutica non era complessa poichè l’attore M., sin dalla citazione introduttiva, aveva chiesto l’eliminazione di una pluralità di opere realizzate dai coniugi C.- L. nel corso di lavori di ristrutturazione dell’immobile di loro proprietà e la riduzione in pristino delle opere che avevano modificato i luoghi, lamentando l’esistenza di opere addossate al muro di sua esclusiva proprietà (pagg. 4 e 5 atto di citazione), e chiedendo, tra l’altro, il ripristino dello stato dei luoghi (pag. 6 atto di citazione). Dall’esame della sentenza di primo grado, riportata in ricorso (pag. 11 e 12) si trae la conferma che il tema dell’appartenenza del muro divisorio facesse parte del dibattito processuale.

3.2. Neppure sussistono i vizi denunciati con il secondo mezzo. La motivazione della decisione di disporre il supplemento di CTU si ricava agevolmente dall’esame della sentenza impugnata, nella parte in cui è richiamato dettagliatamente lo svolgimento del giudizio.

Con il primo motivo di appello incidentale, il M. aveva censurato il rigetto della domanda di demolizione del manufatto appoggiato al muro divisorio, contestando che quest’ultimo fosse comune, sulla base dei rilievi formulati dal consulente di parte (dott. S.), secondo cui il piano di calpestio dell’originario lastrico di copertura dell’appartamento di proprietà C.- L. si trovava ad un quota inferiore di circa 2,80 metri rispetto all’attuale terrazza. Con l’ordinanza coeva alla sentenza non definitiva in data 5 ottobre 2009, la stessa Corte ha disposto consulenza suppletiva a chiarimenti per accertare l’altezza degli edifici.

Così evidenziate le ragioni del supplemento di attività istruttoria, che valgono anche a giustificare la protrazione del giudizio nella prospettiva della ragionevole durata, la decisione finalizzata alla più approfondita conoscenza degli elementi tecnici necessari ai fini della decisione non è sindacabile in sede di legittimità.

4. Con il terzo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione dell’art. 880 c.c., nonchè omesso esame di fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, e si contesta l’accertamento della proprietà del muro divisorio in capo al M., quale condomino dell’edificio situato al civico n. 38, nella parte in cui il muro sopravanza in altezza l’edificio posto al civico n. 41, ove è ubicato l’immobile di proprietà A., già C.- L..

4.1. Il motivo è infondato sotto tutti i profili prospettati.

Previo accertamento che i due edifici tra i quali è collocato il muro non presentano eguale altezza, la Corte d’appello ha ritenuto correttamente che non vi sia comunione del muro a partire dal punto in cui uno degli edifici inizia ad essere più alto dell’altro. Come evidenziato dalle pronunce di questa Corte regolatrice sul tema (ex plurimis, Cass. 10/03/2006, n. 5261; Cass. 08/08/1979, n. 4629), i limiti di operatività della presunzione di comunione del muro divisorio tra edifici sono determinati dallo stesso art. 880 c.c., (secondo periodo del primo comma) con l’espresso riferimento “al punto i cui uno degli edifici comincia ad essere più alto”, nel senso che, in ipotesi che uno dei due edifici sia più alto rispetto all’altro, la presunzione suddetta opera sino al punto in cui le altezze dei due edifici combaciano. Giuridicamente corretta è dunque la conclusione della Corte d’appello, secondo cui – per l’altezza maggiore – il muro è di proprietà del Condominio del civico 38.

5. Con il quarto motivo è denunciato omesso esame circa un punto decisivo, e si lamenta che la Corte d’appello non avrebbe dato conto delle contestazioni mosse dall’ A. al supplemento di CTU, avuto riguardo al metodo di indagine utilizzato per stabilire l’altezza dei fabbricati, e avrebbe fatto proprie acriticamente le risultanze della CTU.

5.1. Il motivo è inammissibile.

In disparte il rilievo che il fatto decisivo in assunto pretermesso dalla Corte d’appello è indicato ora nelle osservazioni del consulente tecnico di parte, come riportate alle pagine 60-63 del ricorso, ora nelle stesse risultanze della CTU, sulle quali mancherebbe un “sia pur minimo approfondimento” (pag. 64 del ricorso), si osserva che la decisione della Corte d’appello è basata sull’accertamento effettuato nell’indagine supplementare, dal quale è emerso che, trascurata la lieve differenza di altezza degli edifici dovuta alla inclinazione della strada su cui gli stessi sorgono, “prima dell’intervento edilizio realizzato dai coniugi C.- L.” le sommità degli edifici non erano allo stesso livello, esistendo tra gli stessi una differenza di mt. 1,40, “sicchè il vecchio lastrico solare, già in uso ai coniugi C.- L.”, risultava sottoposto di mt. 1,40 rispetto all’ultimo solaio di proprietà M..

A fronte di tale rilievo, che chiarisce tra l’altro le ragioni dell’adesione alla CTU suppletiva, non si ravvisa la decisività delle osservazioni del consulente di parte A. con le quali si contestava l’erroneità della comparazione istituita tra i piani di calpestio dei terrazzi al livello anzichè tra le sommità degli edifici.

La carenza di decisività del fatto non esaminato, da intendersi come inidoneità del fatto stesso – ove esaminato ad incrinare la plausibilità delle conclusioni cui è pervenuta la sentenza rispetto a premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario (ex plurimis, Cass. Sez. U 07/04/2014, n. 8053), rende inammissibile la denuncia di vizio di motivazione secondo il paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, applicabile ratione temporis al presente ricorso.

6. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2018

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