Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3289 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 11/02/2020), n.3289

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29778/015 proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio degli avvocati CLAUDIO

SCOGNAMIGLIO e RENATO SCOGNAMIGLIO, che la rappresentano e

difendono;

– ricorrente –

contro

M.M., M.F., M.P., quali eredi di

M.A. e di L.G., a sua volta erede di

M.A.; T.M., MA.ST., nella qualità di

eredi di MA.QU.; F.G.;

S.T.M.M., nella qualità di erede di T.D.;

C.F., C.D.; G.F., B.A.,

B.R., nella qualità di eredi di B.G.F.; tutti

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CAVOUR 325, presso lo studio

dell’avvocato FABIO RAMACCI, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato ROBERTO BROCCO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 11046/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 16/12/2014 R.G.N. 991/2008.

Fatto

RILEVATO

1. Che B.G. ed altri ex dipendenti della Banca Nazionale dell’Agricoltura s.p.a. (da ora BNA) adivano il giudice del lavoro chiedendo la condanna dell’istituto datore di lavoro al pagamento di somme a titolo di risarcimento del danno per la incompleta liquidazione della indennità di anzianità ad essi erogata quale rendimento della polizza assicurativa sulla vita stipulata dalla Banca convenuta con l’INA e le Assicurazioni generali, con contratto risalente al 31 marzo 1942, poi rettificato con la convenzione aggiuntiva del 18 maggio 1946 con la quale la BNA aveva rinunciato a fruire dei rendimenti sui premi da essa corrisposti all’INA e si era obbligata a devolvere il detto rendimento in favore dei dipendenti, al fine di alimentare una polizza suppletiva destinata ad incrementare il capitale maturato a favore dei lavoratori;

2. che il Tribunale accoglieva le domande di alcuni lavoratori e respingeva le domande dei lavoratori assunti dopo il 19.5.1955, ossia dopo che la BNA aveva manifestato al personale la volontà di recedere dalla convenzione aggiuntiva del 1946;

3. che la Corte di Appello di Roma, pronunziando sull’appello di quei dipendenti rimasti soccombenti e sull’appello incidentale della Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. – quale incorporante della BNA – in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglieva l’appello principale (ad eccezione delle posizioni di V., R., P. e Q.) e rigettava l’appello dell’istituto di credito;

4. che questa Corte, con sentenza n. 2894 del 2007, ha accolto “per quanto di ragione” il ricorso avverso la decisione di secondo grado proposto da Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. in conformità del principio di diritto enunciato da Cass. Sez. Un. 8182 del 1993 secondo il quale “I contratti di assicurazione stipulati dal datore di lavoro in relazione al R.D.L. n. 5 del 1942, art. 4, per garantire ai singoli dipendenti un sistema di liquidazione dell’indennità di anzianità superiore al minimo legale, hanno natura di contratti a favore di terzi, rispetto ai quali, però, la facoltà, attribuita dall’art. 1411 c.c., allo stipulante, di revocare o modificare la statuizione prima che il terzo dichiari, nei confronti di entrambe le parti del contratto, di volerne profittare, è preclusa dal fatto che, nei modi suddetti, si introduce una variazione migliorativa del trattamento economico che, una volta accettata, sia pure tacitamente dai lavoratori, impegna alla sua osservanza entrambe le parti dei singoli contratti di lavoro, senza che su tale impegno influisca la proroga o la riapertura dei termini stabiliti, ai fini delle provvidenza in questione, dallo stesso R.D.L. n. 5 del 1942, art. 8. Pertanto, fino all’abrogazione delle norme relative al sistema del Fondo suddetto, operata dalla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 4, l’attuazione di tali provvidenze con contratti di assicurazione corrispondenti, nell’intento delle parti, ai requisiti posti dal R.D.L. n. 5 del 1942, art. 4, implica il persistente assoggettamento dei relativi rapporti a questa disposizione, con la conseguenza – atteso il richiamo ivi formulato al medesimo R.D.L. n. 5 del 1942, art. 2 – della sussistenza dell’obbligo legale del datore di lavoro di adeguare i premi dell’assicurazione ai successivi aumenti delle retribuzioni, indipendentemente dalla circostanza che un obbligo siffatto discenda o meno dallo stesso contratto di assicurazione; mentre è escluso che il datore di lavoro possa revocare la rinuncia agli interessi o rendimenti su detti premi, una volta che essa sia stata da lui effettuata ed accettata dai dipendenti.”;

4.1. che la Corte di legittimità ha, quindi, cassato la sentenza di appello demandando al giudice del rinvio un nuovo esame da effettuare secondo il principi sopra richiamati e in particolare ” distinguendo per i lavoratori assunti dopo il febbraio 1955, il diritto a percepire una liquidazione dell’indennità di anzianità calcolata sulla base dei premi annualmente adeguati all’aumento delle retribuzioni (diritto spettante in virtù dell’obbligo legale di adeguamento dei premi facente carico al datore di lavoro), dal diritto a percepire anche gli interessi sui premi annualmente dovuti dal datore di lavoro (diritto che ha fonte esclusivamente contrattuale e non spetta a chi sia stato assunto dopo il 19.2.1955)”;

5. che la Corte di appello di Roma, quale giudice del rinvio, ha condannato la Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. a pagare agli ex dipendenti (o loro eredi), le somme in favore di ciascuno come in dispositivo indicate;

6. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. quale successore universale di Banca Antonveneta s.p.a. sulla base di quattro motivi; gli intimati hanno resistito con tempestivo controricorso; parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo parte ricorrente, deducendo violazione o falsa applicazione degli artt. 392 e 393 c.p.c., censura la sentenza impugnata per avere, in sintesi, ritenuto che una volta tempestivamente riassunto il giudizio davanti al giudice del rinvio da parte del solo M.A., le altre parti ben potevano ritualmente assumere le conclusioni di merito di cui all’art. 394 c.p.c., comma 3, anche mediante comparsa e pur dopo la scadenza per esse del termine annuale previsto dalla legge per la riassunzione stessa;

2. che con il secondo motivo, deducendo nullità della sentenza o del procedimento, censura la sentenza impugnata per avere violato le norme che disciplinano il procedimento di riassunzione;

3. che con il terzo motivo, deducendo violazione o falsa applicazione degli artt. 392 e 393 c.p.c., anche in relazione all’art. 112 c.p.c., censura la sentenza impugnata sotto il profilo della violazione del dictum della sentenza rescindente. Premesso che al giudice del rinvio era stato demandato l’esame delle singole posizioni dei ricorrenti in riassunzione assume che di tale esame non vi era traccia nella motivazione e che, ovviamente, la stessa non poteva essere delegata ad un mero ausiliare del giudice quale è il consulente tecnico d’ufficio;

4. che con il quarto motivo, deducendo nullità della sentenza o del procedimento, censura la sentenza impugnata sul rilievo che la statuizione alla base delle doglianze articolate con il terzo motivo configurava violazione delle norme che disciplinano il procedimento di riassunzione e comportava carenza assoluta di motivazione su un profilo di portata decisiva nell’impianto della sentenza;

5. che preliminarmente deve essere disattesa la eccezione dei controricorrenti di inammissibilità dell’impugnazione per essere il ricorso per cassazione stato notificato in data 16.12.2015 quando già era decorso il termine di sessanta giorni dalla notificazione a mezzo p.e.c., della sentenza del giudice del rinvio, notificazione asseritamente effettuata in data 17.12.2014, al procuratore costituito della Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., come evincibile, fra l’altro, dal certificato in data 23.12.2015 della Cancelleria della Corte d’appello di Roma;

5.1. che occorre premettere che nella memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1. c.p.c., parte ricorrente ha contestato essere pervenuta al domicilio digitale del procuratore la copia notificata della sentenza, evidenziando che tale domicilio neppure era stato dichiarato nell’ambito degli atti del giudizio in relazione alla data di radicamento dello stesso, iniziato nel gennaio 2008;

5.2. che la L. n. 53 del 1994, art. 9, comma 1 bis, per l’ipotesi in cui non si possa procedere al deposito con modalità telematiche dell’atto notificato a norma dell’art. 3 bis, prescrive che l’avvocato estragga copia su supporto analogico del messaggio di posta elettronica certificata, dei suoi allegati e della ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna e ne attesti la conformità ai documenti informatici da cui sono tratte ai sensi del D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23, comma 1;

5.3. che non essendo possibile nel giudizio di cassazione fornire la prova telematica della avvenuta notifica della sentenza impugnata, era necessario, stante la contestazione del ricorrente in merito alla avvenuta notifica del provvedimento (Cass. n. 32231 del 2018), l’attestazione dell’avvocato nei termini indicati dall’art. 9 bis cit.;

5.4. che l’attestazione in atti non risulta conforme alle richiamate prescrizioni in quanto riferita al solo documento rappresentato dalla sentenza e non estesa anche alla copia su supporto analogico delle ricevute di accettazione e consegna all’indirizzo p.e.c. del destinatario;

5.5. che in difetto di prova della rituale notifica della sentenza impugnata è da escludere la tardività del ricorso per cassazione per decorrenza del termine breve di impugnazione ex art. 325 c.p.c., comma 2;

6. che il primo ed il secondo motivo di ricorso, trattati congiuntamente per connessione, sono infondati alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, alla quale si ritiene di dare continuità, secondo la quale l’onere della riassunzione del giudizio di rinvio non implica che vi debbano provvedere, separatamente e distintamente, tutte le parti interessate alla prosecuzione, tenuto conto del carattere non impugnatorio, ma di mero impulso, dell’atto di riassunzione e del litisconsorzio necessario processuale nel giudizio di rinvio fra le stesse parti di quello di cassazione, con la conseguenza che, una volta avvenuta la detta riassunzione ad opera di una delle parti, le altre possono ritualmente assumere le conclusioni di merito di cui all’art. 394 c.p.c., comma 3, anche mediante comparsa e pur dopo la scadenza per esse del termine annuale previsto per la medesima riassunzione (Cass. n. 5741 del 2019, Cass. n. 538 del 2000);

7. che il terzo ed il quarto motivo di ricorso, trattati congiuntamente per connessione, sono infondati. Il giudice del rinvio, richiamato il principio della sentenza rescindente, ha proceduto alla quantificazione delle somme oggetto di pretesa dei ricorrenti facendo riferimento, quanto alla posizione di M.A., agli esiti della consulenza tecnica d’ufficio disposta in seconde cure e quanto agli altri ricorrenti, ad eccezione di A.A., alla consulenza tecnica d’ufficio del giudizio di primo grado, dando atto che la stessa era stata espletata “sulla base di un quesito sostanzialmente coincidente con i principi giuridici poi affermati dalla S.C.”; in merito alla posizione di A.A. ha osservato che la quantificazione era stata effettuata sulla base di un conteggio prodotto dalla ricorrente medesima, non contestato da controparte ed elaborato sulla base degli stessi criteri utilizzati dal ctu di seconde cure;

7.1. che, pertanto, al contrario di quanto assume l’odierna ricorrente, il giudice del rinvio ha proceduto alle differenziazione delle singole posizioni degli ex dipendenti ed alla quantificazione del relativo credito sulla base dei conteggi elaborati dal ctu e, per la ricorrente A., elaborati dalla parte medesima, previa verifica della conformità del criterio utilizzato al principio affermato dalla sentenza rescindente;

7.2. che non sussiste quindi il denunziato vizio di attività del giudice del rinvio, dovendosi altresì escludere, alla stregua della consolidata giurisprudenza di questa Corte, che incorra nel vizio di carenza di motivazione la sentenza che recepisca “per relationem” le conclusioni e i passi salienti di una relazione di consulenza tecnica d’ufficio di cui dichiari di condividere il merito (Cass. n. 4352 del 2019, Cass. n. 15147 del 2018, Cass. n. 10222 del 2009);

8. che in base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto;

9. che le spese di lite sono regolate secondo soccombenza e liquidate nell’importo di Euro 8.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge;

9.1. che non sussistono, infatti, i presupposti per la liquidazione dei compensi professionali nella misura di Euro 51.175,80 di cui alla nota spese depositata dal procuratore dei controricorrenti. La controversia, di valore indeterminabile, in relazione ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, non presenta alcuna particolare complessità sia alla luce del limitato numero dei motivi del ricorso (quattro, dei quali il quarto sostanzialmente sovrapponibile al terzo) sia alla luce del fatto che i primi due motivi investono una questione giuridica ripetutamente scrutinata da questa Corte la quale sul punto è pervenuta ad approdi assolutamente consolidati. Gli ulteriori motivi, dei quali, come detto, il quarto sostanzialmente sovrapponibile al terzo, non offrono particolari difficoltà di difesa in relazione alla questione giuridica prospettata in quanto si limitano a dedurre la violazione del dictum della sentenza rescindente in termini poco argomentati e con riguardo al solo profilo della non delegabilità al consulente tecnico d’ufficio dell’accertamento demandato dal giudice di legittimità, profilo anche questo manifestamente infondato alla luce della giurisprudenza richiamata al paragrafo 7.2.;

9.2. che neppure si ritiene di riconoscere l’aumento D.M. n. 55 del 2014, ex art. 4, comma 2, per l’assistenza a più soggetti aventi la medesima posizione processuale. In coerenza con quanto affermato da questa Corte in relazione ad analoghe previsioni contenute in tabelle forensi previgenti deve, infatti, escludersi che la disposizione in esame comporti l’introduzione di un minimo inderogabile della tariffa, venendo in rilievo l’esercizio di un potere discrezionale del giudice, senza che lo stesso sia vincolato all’aumento del venti per cento ogni qualvolta si verifichi l’ipotesi in essa considerata (Cass. n. 2254 del 2007, Cass. n. 2649 del 1994);

9.3. che nel caso di specie non si ravvisa alcuna specifica ragione per fare luogo a tale aumento considerato il tenore delle difese articolate nel controricorso alla stregua delle quali è da escludere che il numero delle parti processuali si sia tradotto in un attività difensiva più complessa e articolata di quella richiesta in caso di unico soggetto controricorrente;

10. che sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 8.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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