Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32887 del 19/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 19/12/2018, (ud. 07/11/2018, dep. 19/12/2018), n.32887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17799-2013 proposto da:

M.A., G.M., GA.MA.,

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato

SERGIO LALLI, giusta delega in atti;

– ricorrenti –

contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA

D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE, ANTONINO SGROI e LELIO MARITATO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1033/2012 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 27/12/2012, R.G.N. 274/2012.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Genova, con sentenza n. 1033/2012, ha riformato la pronuncia del Tribunale di Massa con cui era stata annullata la cartella esattoriale notificata dall’I.N.P.S. nei riguardi di M.A., G.M. e Ga.Ma., quali eredi di g.m. e per debiti contributivi già afferenti al de cuius;

la Corte territoriale, dopo avere respinto un’eccezione di nullità del procedimento per omessa notificazione del titolo agli eredi, riteneva l’infondatezza dell’eccezione di prescrizione sollevata, in quanto le posizioni portate nei DM 10, inerenti a crediti sorti prima del gennaio 1996 e quindi sottratti alla riduzione del termine a quinquennale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3 erano soggette a prescrizione decennale, così come a medesimo termine prescrizionale erano soggetti i crediti portati nei decreti ingiuntivi, in quanto afferenti a titolo parificabile a sentenza di condanna e quindi soggetto alla disciplina di cui all’art. 2953 c.c., a nulla valendo che l’I.N.P.S., in primo grado, avesse fatto riferimento ai crediti di cui a quei decreti ingiuntivi come soggetti a prescrizione quinquennale, trattandosi di questione di diritto;

pertanto la notificazione del precetto agli eredi in data 1.10.2007, valeva, secondo la Corte di merito, ad interrompere la prescrizione per i crediti di cui ai decreti ingiuntivi notificati il 13.10.1997 ed il 6.10.1998, mentre, per i crediti riconnessi a titoli di formazione anteriore, la prescrizione non era parimenti maturata in quanto i termini prescrizionali erano poi da aversi per interrotti in ragione delle ritenute sulla pensione praticate dall’I.N.P.S. verso il de cuius, tra il 1997 ed il 2005, integrando esse atti negoziali con cui si manifestava la volontà di recuperare il credito ed avendo specularmente, la mancata opposizione del g. a tali ritenute, valenza di riconoscimento tacito di debito, fattispecie entrambe idonee ad interrompere la prescrizione, poi come detto ulteriormente interrotta, verso gli eredi, nel 2007 e quindi tempestivamente rispetto al maturare di ogni prescrizione;

avverso la sentenza gli eredi G. hanno proposto ricorso per cassazione con due motivi, resistiti dall’I.N.P.S. con controricorso, in proprio e quale procuratore speciale della società di cartolarizzazione S.C.C.I. s.p.a.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con il primo motivo è affermata la nullità della sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4) in ragione della violazione dell’art. 112 c.p.c., sotto il profilo della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per avere la Corte ritenuto la prescrizione decennale rispetto ai crediti portati nei decreti ingiuntivi per i quali l’ente in primo grado aveva fatto riferimento ad una prescrizione quinquennale;

il motivo è infondato;

se anche, a fronte dell’eccezione di prescrizione sollevata dagli eredi G., l’I.N.P.S., resistendo, avesse fatto riferimento al relativo termine, secondo quanto affermano i ricorrenti, come di misura quinquennale, ciò non toglie che del tutto legittimamente il giudice potesse respingere l’eccezione sulla base della ritenuta misura decennale dello stesso, trattandosi di questio iuris, certamente non disponibile attraverso la manifestazione delle opinioni giuridiche delle parti; il giudice ha quindi pronunciato secondo diritto (sostanziale) sull’eccezione di prescrizione sollevata dagli opponenti e non vi è stata alcuna violazione dell’art. 112 c.p.c.;

con il secondo motivo i ricorrenti adducono la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 2944 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che la mancata opposizione del g. alle ritenute eseguite sulla sua pensione per il recupero del credito contributivo I.N.P.S. potesse valere come riconoscimento di debito;

il motivo è inammissibile;

la Corte d’Appello, come si è già detto, ha impostato una duplice ratio decidendi nell’attribuire alle ritenute sulla pensione effetto interruttivo della prescrizione, individuando in esse, dal lato attivo del credito, un esercizio del diritto idoneo alla messa in mora (art. 2943 c.c., comma 3) protrattosi di mese in mese fino all’aprile 2005, e ravvisando, dal lato passivo, nella mancata opposizione del debitore a tali ritenute una forma parimenti protratta di ricognizione del diritto altrui (art. 2944 c.c.);

la censura in questa sede è tuttavia formulata con riferimento soltanto alla seconda fattispecie, sicchè l’altra ratio decidendi, palesemente idonea a determinare di per sè stessa l’effetto interruttivo, resta consolidata;

vale quindi il più volte ribadito principio per cui “ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza” (Cass. 18 aprile 2017, n. 9752; Cass. 3 novembre 2011, n. 22753);

alla reiezione del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rifondere all’I.N.P.S. le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2018

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