Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3287 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 11/02/2020), n.3287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23479/2015 proposto da:

C.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato UGO CARDOSI;

– ricorrente –

contro

L’OSTRICARO DI V.D. & C. S.A.S.

– intimata –

avverso la sentenza n. 11/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/04/201 r.g.n. 37/2012.

Fatto

RILEVATO

1. Che la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto della domanda di C.G. intesa alla condanna de l’Ostricaro s.a.s., al pagamento di somme a titolo di differenze retributive e tfr, rivenienti dal pregresso rapporto di lavoro intrattenuto quale direttore di sala con la società, titolare di attività di ristorazione

2. che il giudice di appello, premessa l’ammissibilità della domanda riconvenzionale della società intesa a far valere la esistenza di un proprio credito nei confronti del C., ha confermato la valutazione di prime cure in ordine alla compensazione del credito vantato dal lavoratore con quello della società nei confronti del dipendente, credito quest’ultimo scaturente dal pagamento delle rate di acquisto di autovettura Mercedes formalmente intestata alla società ma di fatto in uso esclusivo del C. il quale la aveva rivenduta ed incassato il relativo prezzo di acquisto secondo quanto emergente dalla prova orale e documentale;

3. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso C.G. sulla base di quattro motivi; la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo parte ricorrente, deducendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione dell’art. 36 c.p.c., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto ammissibile la domanda riconvenzionale fondata su un titolo del tutto indipendente dal rapporto di lavoro dedotto in causa;

2. che con il secondo motivo, deducendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c., censura la sentenza impugnata per avere compensato il credito azionato dal lavoratore (per tfr, differenze retributive e permessi non goduti) con il credito del datore di lavoro relativo al prezzo di vendita dell’autovettura risultato incassato dal C.. L’errore che ascrive al giudice di appello è di non avere, in sintesi, nel dichiarare l’intervenuta compensazione tra le somme erogate dalla società per l’acquisto dell’autovettura formalmente alla stessa intestata ma in uso esclusivo al ricorrente, tenuto conto della somma di Euro 19.500,00 incassata dal C. al momento della rivendita del veicolo e ciò in quanto lo riteneva proprietario del mezzo e, quindi, titolato all’incasso; la Corte di appello, infatti, pur in assenza di specifica censura sul punto da parte della società, accertato che il credito del lavoratore ammontava a Euro 31.000,00, rilevato l’avvenuto versamento da parte della datrice di lavoro dei ratei di leasing per Euro 13.600,00, aveva ritenuto sussistente anche il diritto alla restituzione della somma di Euro 19.500,00 incassata dal C. all’atto della rivendita del veicolo, procedendo alla relativa sommatoria;

3. che con il terzo motivo, deducendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma , n. 3, violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1241,1243,1414,2697 c.c., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto sussistente la proprietà del mezzo in capo al C., pur in assenza dei presupposti stabiliti in tema di simulazione dall’art. 1414 c.c., ed in contrasto con il regime probatorio di cui all’art. 1417 c.c.. Sotto il primo profilo evidenzia che nell’interposizione fittizia di persona la simulazione richiede come presupposto indispensabile la partecipazione all’accordo simulatorio non solo dell’interposto e dell’interponente ma anche del terzo contraente, circostanza quest’ultima neppure dedotta prima ancora che provata da controparte. Sotto il secondo profilo deduce che la prova della simulazione non avrebbe potuto essere data per testimoni o presunzioni;

4. che con il quarto motivo di ricorso, deducendo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione dell’art. 1246 c.c., n. 3, dell’art. 545 c.p.c., nonchè omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, censura la sentenza impugnata argomentando dal fatto che anche ove il credito di Euro 13,600.00, pari alle somme versate dalla società per il pagamento delle rate di leasing dell’autovettura, dovesse ritenersi fondato, la possibilità di compensazione sarebbe comunque preclusa stante il divieto di cui al combinato disposto dell’art. 1246 c.c. e dell’art. 545 c.p.c.; in questa prospettiva assume l’errore del giudice di appello per avere omesso di verificare se le rate del contratto di leasing dell’autovettura superavano o meno la quota pignorabile dello stipendio; infine, deduce che il pagamento delle rate di leasing era inidoneo alla totale estinzione del credito del C. pari a Euro 31.000,00;

5. che il primo motivo di ricorso è infondato. La sentenza impugnata ha affermato che la domanda di accertamento del credito opposto in compensazione pacificamente rientrava nella competenza del giudice adito, ai sensi dell’art. 36 c.p.c., in quanto fondata su un titolo appartenente alla causa come mezzo di eccezione. Premesso che la natura di mezzo di eccezione del titolo dedotto in compensazione, idonea a radicare, ai sensi dell’art. 36 c.p.c., la competenza del giudice della causa principale anche per la causa riconvenzionale, non è stata specificamente censurata dalla società ricorrente che ha incentrato le proprie difese sull’assenza di connessione oggettiva tra i due titoli in quanto scaturenti da rapporti indipendenti fra loro, la decisione sul punto risulta conforme alla giurisprudenza di legittimità secondo la quale la relazione di dipendenza della domanda riconvenzionale “dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione”, comportante, ai sensi dell’art. 36 c.p.c. – purchè la riconvenzionale non ecceda la competenza per materia o valore del giudice adito – la trattazione simultanea delle cause, deve essere intesa, non già come identità della “causa petendi” (richiedendo, appunto, la norma un rapporto di mera dipendenza), ma come comunanza della situazione o del rapporto giuridico dal quale traggono fondamento le contrapposte pretese delle parti, ovvero come comunanza della situazione o del rapporto giuridico sul quale si fonda la riconvenzionale, con quello posto a base di una eccezione, sì da delinearsi una connessione oggettiva qualificata della domanda riconvenzionale con l’azione o con l’eccezione proposta (Cass. n. 312 del 2003, Cass. 14520 del 2002, Cass. n. 9656 del 1999);

6. che il secondo motivo di ricorso è inammissibile. La sentenza impugnata ha ritenuto provato il credito opposto in compensazione dalla datrice di lavoro rappresentato dal pagamento da parte della società del prezzo dell’autovettura, formalmente intestata alla prima ma in uso esclusivo al C., per un importo complessivo di Euro 33.000,00 a fronte di un credito del lavoratore pari a Euro 31.000,00; il riferimento alla documentazione relativa al pagamento delle rate di leasing nonchè all’assegno incassato per la vendita della vettura dal C., così come alle deposizioni testimoniali, è stato utilizzato, nella economia della motivazione, in funzione di prova della vicenda dalla quale sarebbe scaturito il credito vantato dalla datrice di lavoro. La censura del ricorrente non coglie, quindi, nel segno laddove ritiene che il giudice di appello avrebbe ritenuto sussistente il diritto della società alla restituzione delle somme incassate dal C. per la vendita dell’autovettura; la decisione non contiene, infatti, alcuna affermazione in tal senso; la verifica della misura del credito vantato in compensazione dalla datrice di lavoro è frutto, infatti, di accertamento autonomo (v. pag. 2, sesto capoverso) che prescinde dall’importo versato dal terzo per l’acquisto dell’autovettura. Tanto è sufficiente a determinare la inammissibilità, per difetto di pertinenza con le ragioni della decisione, del motivo in esame, risultandone assorbito l’ulteriore profilo di inammissibilità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, scaturente dalla mancata trascrizione degli atti rilevanti al fine della verifica, sulla base della sola lettura del ricorso per cassazione, del denunziato error in procedendo per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunziato (Cass. n. 11738 del 2016, Cass. n. 12664 del 2012, Cass. n. 4840 del 2006);

7. che il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono inammissibili. La questione della esistenza e della prova di un accordo simulatorio e dei limiti della relativa prova, non è stata specificamente affrontata dal giudice di appellotil quale ai fini della verifica della esistenza del credito opposto in compensazione ha ritenuto sufficiente la prova del pagamento da parte della società del prezzo di un’ autovettura in uso esclusivo al C. e della quale questi, in sostanza, aveva disposto uti dominus incassando il relativo prezzo di vendita; analogamente la questione dei limiti alla possibilità di compensazione dei crediti da lavoro, in base al combinato disposto dell’art. 1246 c.c., n. 3 e dell’art. 545 c.p.c., non è stata in alcun modo trattata dal giudice di merito;

7.1. che secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte qualora una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità, per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 3845 del 2018, Cass. n. 1435 del 2013, Cass. n. 20518 del 2008 Cass. n. 22540 del 2006);

7.2. che parte ricorrente si è sottratta agli oneri prescritti al fine della valida censura della decisione in quanto non ha allegato di avere sollevato la relativa questione nei gradi di merito nè, tanto meno, dedotto se ed in che termini la stessa era stata comunque affrontata dal giudice di merito;

8. che alle considerazioni che precedono segue il rigetto del ricorso e che non si fa luogo al regolamento delle spese di lite non avendo l’intimata svolto attività difensiva;

9. che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che non sussistono – allo stato – i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 1, comma 1 bis, sempre che l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato non risulta revocata dal giudice competente (Cass. 02/09/2014 n. 18523).

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla spese.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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