Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32857 del 19/12/2018

Cassazione civile sez. I, 19/12/2018, (ud. 15/11/2018, dep. 19/12/2018), n.32857

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

su ricorso n. 27147/2017 proposto da:

D.S., elettivamente domiciliato in Avellino Via Salvatore

Pescatori 60 presso lo studio dell’Avv.to Luigi Natale che lo

rappresenta e difende per procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso l’ordinanza n.9232/2017 del TRIBUNALE DI NAPOLI, in data

18/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/11/2018 dal consigliere MARINA MELONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

Capasso Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Napoli sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 18/10/2017, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Caserta in ordine alle istanze avanzate da D.S. nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento della protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dal Senegal, aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Napoli di essere fuggito dal proprio paese in quanto maltrattato e perseguitato a causa della sua omosessualità dopo essere stato scoperto durante uno scambio di effusioni in luogo pubblico con un amico. Si era allontanato da casa e dopo essere transitato dal Mali e dalla Libia era arrivato in Italia.

Avverso il decreto del Tribunale di Napoli ha proposto ricorso per cassazione K.S. affidato a quattro motivi. Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27, comma 1 bis, come modificato dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13; D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3 e 5in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Napoli ha rigettato la domanda di riconoscimento basandosi su un giudizio di scarsa credibilità delle dichiarazioni rese dal ricorrente e respinto la domanda senza attivare il potere istruttorio officioso di cui dispone.

Il motivo è infondato e deve essere respinto.

Il Tribunale di Napoli ha confermato il provvedimento della Commissione Territoriale ritenendo non credibili le affermazioni del ricorrente in quanto incoerenti, inattendibili e scarsamente credibili. La sentenza impugnata ha dato conto diffusamente ed esaurientemente delle ragioni per le quali ritiene non credibile il racconto del ricorrente.

Il motivo di ricorso, pur rubricato sotto il solo profilo della violazione di legge (art. 360 c.p.c., n. 3), contiene in realtà una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento circa l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente.

A tal riguardo occorre osservare che il legislatore ha ritenuto di affidare la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo non alla mera opinione del giudice ma ha previsto una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiersi non sulla base della mera mancanza di riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e, inoltre, tenendo conto “della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente” (di cui all’art. 5, comma 3, lett. c) D.Lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’età, “non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento, sicchè è compito dell’autorità amministrativa e del giudice dell’impugnazione di decisioni negative della Commissione territoriale, svolgere un ruolo attivo nell’istruzione della domanda” (Cass. ord. 26921/2017).

Alla luce di quanto sopra appare evidente che Il dovere del giudice di considerare veritiero il racconto del ricorrente anche se non suffragato da prove richiede pur sempre che le dichiarazioni rese dal richiedente asilo siano “considerate coerenti e plausibili” (art. 3, comma 5, lett. C) e che il racconto del richiedente sia in generale “attendibile” (art. 3, comma 5, lett. E). La difficoltà di provare adeguatamente i fatti accaduti prevista espressamente dal legislatore nel citato art. 3, comma 5 non impone certo al giudice di ritenere attendibile un racconto che, secondo una prudente e ragionevole valutazione, sia incredibile e fantasioso anche perchè i criteri legali di valutazione della credibilità di cui all’art. 5, comma 3 sono categorie ampie ed aperte che lasciano ampio margine di valutazione al giudice chiamato ad esaminare il caso concreto secondo i criteri generali, basti pensare ai concetti di coerenza, plausibilità (lett. c) e attendibilità (lett. e) che richiedono senz’altro un’attività valutativa discrezionale.

Quanto poi al dovere di cooperazione istruttoria del Giudice, questa Corte ha già avuto modo di chiarire che: “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori.” (Cass. sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018).

Pertanto la Corte territoriale non ha violato i suddetti principi, nè è venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 7, 8 e 11, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Napoli, negando la sussistenza dei presupposti non ha riconosciuto lo status di rifugiato.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14,lett. C) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Napoli, nonostante il rischio di danno grave alla persona al quale si troverebbe esposto in caso di rientro e le violenze subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione sussidiaria al ricorrente.

Il secondo e terzo motivo sono infondati e devono essere respinti.

Il giudice territoriale ha poi ampiamente e diffusamente esaminato la situazione socio-politica del Senegal escludendo i presupposti e le condizioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 ed 8 per concedere il riconoscimento dello status di rifugiato.

In ordine alla condizione di omosessualità occorre premettere che questa Corte si è già espressa con Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15981 del 20/09/2012 affermando che “Ai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza per cui l’omosessualità sia considerata un reato dall’ordinamento giuridico del Paese di provenienza (nella specie, Senegal) è rilevante, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione richiesta; devono, pertanto, essere acquisite le prove, necessarie al fine di acclamare la circostanza della omosessualità del richiedente, la condizione dei cittadini omosessuali nella società del Paese di provenienza e lo stato della relativa legislazione, nel rispetto del criterio direttivo della normativa comunitaria e italiana in materia di istruzione ed esame delle domande di protezione internazionale.”

Nella fattispecie tuttavia la mancanza di credibilità delle vicende narrate dal ricorrente come ampiamente motivato dal giudice di merito non ha consentito la concessione della richiesta protezione mancando alla base ogni prova di appartenenza ad un “particolare gruppo sociale”, quello di omosessuale, sottoposto agli atti di persecuzione di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 ed 8 od oggetto di minaccia grave D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14.

In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria il Giudice ha correttamente ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva che l’assenza di situazioni di violenza indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine escludano il diritto alla protezione sussidiaria.

Le censure di cui al secondo e terzo motivo si risolvono in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012 (v.Cass., sez. un., n. 8053/2014).

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5,comma 6 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale di Napoli, nonostante il rischio al quale si troverebbe esposto il ricorrente in caso di rientro e le violenze da lui subite non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria.

Il quarto motivo di ricorso è infondato e deve essere respinto. In ordine ai motivi di carattere umanitario oppure risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato Italiano (art. 5, comma 6, cit.), in costanza dei quali lo straniero risulta titolare di un diritto soggettivo al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari (Cass., sez. un., n. 19393/2009 e Cass., sez. un., n. 5059/2017), al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria, incombe sul giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine.

La valutazione delle “violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani” deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente e deve quindi tener conto anche delle sue allegazioni e dell’attendibilità del suo racconto, il cui apprezzamento costituisce una tipica valutazione di merito da riferirsi alla persona del richiedente, “perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti in contrasto col parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 cit., art. 5, comma 6, che nel predisporre uno strumento duttile quale il permesso umanitario, demanda al giudice la verifica della sussistenza dei “seri motivi” attraverso un esame concreto ed effettivo di tutte le peculiarità rilevanti del singolo caso” (Cass. n. 4455 del 2018).

Nella specie, la Corte territoriale non ha violato i suddetti principi, nè è venuta meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati in quanto non credibili non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali.

Per quanto sopra deve essere rigettato il ricorso proposto in ordine a tutti i motivi con condanna alle spese del giudizio di legittimità.

Non ricorrono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1 quater essendo il ricorrente stato ammesso al gratuito patrocinio a carico dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso in ordine a tutti i motivi proposti. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima della Corte di Cassazione, il 15 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2018

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