Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3282 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. lav., 11/02/2020, (ud. 12/11/2019, dep. 11/02/2020), n.3282

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11946/2015 proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO PALADIN;

– ricorrente –

contro

T.R., (già titolare di T.R. MONTAGGI INDUSTRIALI di

T.R.), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CHINOTTO 1 Sc. C/14,

presso lo studio dell’avvocato ERMANNO PRASTARO, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ALDO MORELLO;

– controricorrente –

e contro

COMPAGNIA SOCIETA’ REALE MUTUA DI ASSICURAZIONI;

– intimata –

avverso la sentenza n. 502/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 22/10/2014, R.G.N. 981/2011.

Fatto

RILEVATO

che:

La Corte d’Appello di Venezia con sentenza resa pubblica il 22/10/2014 confermava la pronuncia del giudice di prima istanza che aveva respinto la domanda proposta da C.D. nei confronti di T.R. già titolare di T.R. Montaggi Industriali (che aveva ottenuto la chiamata in causa della Società Reale Mutua Assicurazioni), volta a conseguire il risarcimento del danno risentito per effetto dell’infortunio sul lavoro occorsogli in data (OMISSIS) allorquando, impegnato in lavorazioni in quota, era caduto da un ponte mobile.

A fondamento del decisum ed in estrema sintesi, all’esito della ricognizione del quadro probatorio acquisito, la Corte di merito rimarcava che il lavoratore era stato reso edotto adeguatamente sull’uso della cintura anticaduta e del relativo moschettone, oltre che sul rischio specifico di caduta dall’alto connesso al mancato uso degli stessi.

Condivideva il giudizio già espresso dal giudice di prime cure, secondo cui l’obbligo di controllo della parte datoriale non poteva essere inteso in senso così pregnante da far configurare una sorveglianza continua del lavoratore, non potendo essere richiesto al titolare della posizione di garanzia, una persistente attività di verifica dell’utilizzazione dei mezzi di protezione. Concludeva, quindi, che il lavoratore, seppure adeguatamente istruito sull’utilizzo della cintura di sicurezza e nonostante i costanti richiami e la vigilanza sul corretto uso delle misure di protezione antinfortunistiche, come emerso ex actis, il giorno dell’incidente aveva inopinatamente omesso di agganciare alla cesta la cintura anticaduta, pur regolarmente indossata, ponendo in essere una condotta anomala, tale da porsi quale causa esclusiva dell’evento.

Avverso tale decisione C.D. interpone ricorso per cassazione sostenuto da otto motivi, illustrati da memoria ex art. 380 bis c.p.c., ai quali oppone difese la parte intimata. La intimata Società Reale Mutua Assicurazioni non ha svolto attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con i primi tre motivi, denunciando omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, violazione del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 e degli artt. 1218-2087 c.c. (primo motivo), violazione e falsa applicazione degli artt. 414-416 c.p.c., art. 112 c.p.c., D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 e dei contratti ed accordi collettivi nazionali di lavoro (secondo motivo) nonchè violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1370 e D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4 (terzo motivo), il ricorrente si duole che la Corte di merito, contravvenendo alle regole codicistiche che disciplinano l’ermeneutica contrattuale, non abbia adeguatamente valutato il contenuto dello scritto in data 14/1/1997, con il quale egli aveva dichiarato di essere stato reso edotto in ordine alla adozione delle essenziali misure antinfortunistiche in relazione alle lavorazioni in quota; da tale scritto, infatti, non risultava che detto obbligo di informazione del lavoratore fosse stato assolto anteriormente o contestualmente alla consegna della dotazione antinfortunistica di cui allo scritto. Attesa l’incertezza in ordine alla volontà ivi espressa, illegittimamente il giudice del gravame non aveva adottato nell’èsercizio della attività esegetica demandata, una interpretazione favorevole al lavoratore.

2. I motivi, che possono congiuntamente trattarsi siccome connessi, non sono fondati.

E’ infatti consolidato il dictum di questa Corte secondo cui, in tema di interpretazione degli atti unilaterali – regolati, ai sensi dell’art. 1324 c.c., alla stregua dei contratti – vale il principio in base al quale la interpretazione della volontà negoziale della parte che ha posto in essere il negozio, compiuta dal giudice del merito, non è soggetta al sindacato di legittimità quando sia stata condotta secondo le regole di ermeneutica fissate dagli artt. 1362 c.c. e segg. e sia congruamente motivata (vedi Cass. 7/5/2004 n. 8713, Cass. 30/5/2018 n. 13667).

Nell’ottica descritta si è altresì affermato che nell’espletamento della attività ermeneutica, l’elemento letterale assume funzione fondamentale nella ricerca della reale o effettiva volontà delle parti e deve essere verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, coordinando tra loro le singole clausole come previsto dall’art. 1363 c.c. (in tali sensi, vedi Cass. 26/2/2009 n. 4670, Cass. 8/6/2018 n. 14882).

Nella specie la Corte di merito, in coerenza coi ricordati insegnamenti – che riconoscono rilievo prevalente al criterio letterale nella interpretazione del contratto così come degli atti unilaterali secondo i limiti innanzi enunciati ha proceduto alla disamina dello scritto, datato 14/1/1997, che recava quale indicazione dell’oggetto “dichiarazione di presa in consegna di protezione individuale (DPI)”, e dava atto della ricezione da parte del C., di alcune dotazioni fra le quali la cintura antinfortunistica.

Nel proprio incedere argomentativo la Corte distrettuale ha inoltre rimarcato come il documento sottoscritto dal lavoratore rendesse conto della circostanza che erano state a lui impartite, all’atto della assunzione, le istruzioni sul corretto uso dei DPI oggetto di consegna, nonchè le informazioni inerenti ai rischi per la sicurezza e la salute derivanti dal mancato uso degli stessi, con la precisazione che non erano neanche state enunciate da parte ricorrente in atto introduttivo, le prescrizioni che il datore avrebbe omesso di fornirgli e sulle quali non fosse stato formato.

La riportata statuizione, logicamente congrua e giuridicamente corretta, per quanto sinora detto, non può reputarsi inficiata dalle argomentazioni di parte ricorrente la quale, con le formulate doglianze, mira essenzialmente a prospettare una lettura alternativa a quella svolta nella decisione impugnata, non ammissibile in questa sede di legittimità.

3. Con le ulteriori censure il lavoratore denuncia violazione e falsa applicazione di legge, lamentando che:

a) il giudice del gravame sia pervenuto all’accertamento della assunzione di una condotta abnorme da parte del lavoratore, tralasciando di considerare che l’eventuale concorso colposo del lavoratore non fa venir meno la responsabilità datoriale conseguente alla violazione dell’obbligo di sicurezza ex artt. 2087 e 1218 c.c. (quarto motivo);

b) abbia omesso di individuare ed applicare tutte le norme di cui al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, tralasciando di verificare se il datore di lavoro avesse effettivamente svolto un’attività di assiduo controllo sul corretto funzionamento dei macchinari, attuato anche mediante predisposizione di strumenti automatici di blocco della salita in caso di mancato allaccio della cintura (quinto motivo).

Il ricorrente deduce altresì che “dalla mancata prova da parte del datore di lavoro di tale adempimento, consegue l’accoglimento della domanda di risarcimento proposta dal lavoratore ex art. 2087 c.c.” (sesto motivo); che la volontarietà del comportamento posto in essere dal dipendente, non era stata ritualmente allegata dalla parte datoriale (settimo motivo); che erroneamente l’elevata qualifica e l’anzianità professionale del ricorrente, erano stati ritenuti elementi idonei a qualificare in termini di abnormità la condotta del lavoratore(ottavo motivo).

4. Le censure, che possono congiuntamente trattarsi per presupporre la soluzione di questioni giuridiche connesse, vanno disattese per le ragioni di seguito esposte.

Il compendio delle riportate doglianze sottopone allo scrutinio della Corte la tematica della natura della responsabilità del datore di lavoro per inadempimento dell’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 c.c..

La natura contrattuale della responsabilità incombente sul datore di lavoro in relazione al disposto dell’art. 2087 c.c., è ormai da tempo consolidata. L’incorporazione dell’obbligo di sicurezza all’interno della struttura del rapporto obbligatorio è indubbiamente fonte di obblighi positivi del datore, il quale è tenuto a predisporre un ambiente ed una organizzazione di lavoro idonei alla protezione del bene fondamentale della salute, funzionale alla stessa esigibilità della prestazione lavorativa, con la conseguenza che è possibile per il prestatore di eccepirne l’inadempimento e rifiutare la prestazione pericolosa (art. 1460 c.c.).

Alla luce della sua formulazione “aperta”, la giurisprudenza consolidata è concorde nell’assegnare all’art. 2087 c.c., il ruolo di norma di chiusura del sistema di prevenzione, operante cioè anche in assenza di specifiche regole d’esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l’omessa predisposizione di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l’integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale e della maggiore o minore possibilità di venire a conoscenza e di indagare sull’esistenza di fattori di rischio in un determinato momento storico (v., tra le tante, Cass. 14/1/2005, n. 644; Cass. 1/2/2008, n. 2491; Cass. 3/8/2012, n. 13956; Cass. 8/10/2018, n. 24742).

Tuttavia, pur valorizzando la “funzione dinamica” che va attribuita alla disposizione di cui all’art. 2087 c.c., in quanto norma diretta a spingere l’imprenditore ad attuare, nell’organizzazione del lavoro, un’efficace attività di prevenzione attraverso la continua e permanente ricerca delle misure suggerite dall’esperienza e dalla tecnica più aggiornata al fine di garantire, nel migliore dei modi possibili, la sicurezza dei luoghi di lavoro, è stato condivisibilmente riconosciuto che la responsabilità datoriale non è suscettibile di essere ampliata fino al punto da comprendere, sotto il profilo meramente oggettivo, ogni ipotesi di lesione dell’integrità psicofisica dei dipendenti e di correlativo pericolo.

5. L’art. 2087 c.c., non configura infatti un’ipotesi di responsabilità oggettiva (vedi sul punto ex plurimis, Cass. 23/5/2019 n. 14066, Cass. 29/3/2019 n. 14066), essendone elemento costitutivo la colpa, intesa quale difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore.

Nè può desumersi dall’indicata disposizione un obbligo assoluto in capo al datore di lavoro di rispettare ogni cautela possibile e diretta adò evitare qualsiasi danno al fine di garantire così un ambiente di lavoro a “rischio zero” quando di per sè il pericolo di una lavorazione o di un’attrezzatura non sia eliminabile, neanche potendosi ragionevolmente pretendere l’adozione di strumenti atti a fronteggiare qualsiasi evenienza che sia fonte di pericolo per l’integrità psicofisica del lavoratore, ciò in quanto, ove applicabile, avrebbe come conseguenza l’ascrivibilità al datore di lavoro di qualunque evento lesivo, pur se imprevedibile ed inevitabile.

Come più volte ribadito dalla giurisprudenza di questa Corte (v. Cass. 15/6/2016, n. 12347; Cass. 10/6/2016, n. 11981) non si può automaticamente presupporre, dal semplice verificarsi del danno, l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate, ma è necessario, piuttosto, che la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto.

6. In tal senso non può sottacersi che anche per la violazione del D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 4, lett. c), (che obbliga datori di lavoro, dirigenti e preposti a “disporre ed esigere che i singoli lavoratori osservino le norme di sicurezza ed usino i mezzi di protezione messi a loro disposizione”, e postula la prioritaria dimostrazione della relativa condotta omissiva, l’assolvimento degli obblighi imposti da tale norma, deve essere verificato con riguardo alle peculiari caratteristiche dell’impresa, ai tipi di lavorazione ivi effettuati, all’entità del personale e ai diversi gradi di rischio.

Ciò non comporta, peraltro, sempre ed in ogni caso, una sorveglianza ininterrotta o la costante presenza fisica del controllore accanto al lavoratore, ma può anche sostanziarsi in una vigilanza generica, seppure continua ed efficace, intesa ad assicurare nei limiti dell’umana efficienza, che i lavoratori seguano le disposizioni di sicurezza impartite ed utilizzino gli strumenti di protezione prescritti (vedi Cass. 26/11/1994 n. 10066).

7. Orbene, nello specifico, s’impone l’evidenza del fatto che la Corte di merito non si sia discostata dagli enunciati principi, laddove ha verificato, con puntuale accertamento in fatto, l’osservanza,da parte datoriale, di tutte le cautele possibili atte a prevenire l’eventus damni.

Gli accertamenti compiuti dalla Corte distrettuale, conformi agli approdi ai quali era pervenuto anche il giudice di prima istanza, convergono univocamente nel definire come effettiva la fornitura da parte datoriale, a mezzo dei suoi preposti, dei necessari mezzi di protezione, così come reale l’addestramento in ordine all’uso degli stessi e la vigilanza in ordine al rispetto delle istruzioni impartite, avendo il responsabile della sicurezza della società convenuta, costantemente provveduto a richiamare i dipendenti ad un uso corretto delle misure di protezione antinfortunistiche.

In tale prospettiva la Corte ha anche rimarcato come “l’obbligo di controllo del datore di lavoro non può essere tale da far configurare una sorveglianza continua del lavoratore, non potendo essere richiesto al titolare della posizione di garanzia una persistente attività di costante verifica dell’utilizzo dello strumento di sicurezza”; era emerso infatti che il ricorrente in occasione dell’infortunio, nonostante indossasse la cintura a disposizione, avesse omesso di agganciarla al cestello, riuscendo ad eludere il controllo del responsabile per la sicurezza che in quel momento era presente e stava lavorando a terra.

Sotto altro versante, le acquisizioni probatorie avevano consentito di acclarare la conformità della cintura di cui era corredato il cestello per i lavori in quota, alle norme di protezione – assente qualsivoglia anomalia strutturale della cintura stessa – cui faceva riscontro altresì “la conformità ai requisiti di sicurezza del macchinario utilizzato dal C. al momento del sinistro”, confermata dalla perizia svolta dalla Procura della Repubblica di Livorno nel corso del procedimento penale instaurato nei confronti del T..

8. Conclusivamente, tale essendo il quadro probatorio delineato nel corso del giudizio di merito, immune da censure è da ritenersi la decisione della Corte territoriale che ha reputato insussistente la responsabilità del datore nella causazione del sinistro, in un contesto in cui è limpidamente emersa per quanto sinora detto – la fornitura da parte datoriale, dei necessari mezzi di protezione) non disgiunta dalla allegazione di istruzioni sull’uso degli stessi e dall’esercizio costante di una attività di vigilanza sul rispetto delle istruzioni impartite, attuata mediante il responsabile della sicurezza.

Nel contesto descritto di puntuale assolvimento da parte datoriale; di tutti gli obblighi previsti dalla legge, la condotta del lavoratore – il quale aveva omesso di agganciare alla cesta la cintura di sicurezza anticaduta (che pure indossava), nonostante i continui richiami ad un uso corretto delle misure di protezione antinfortunistica e la persistente, effettiva attività di vigilanza espletata dal personale addetto attestata delle univoche dichiarazioni testimoniali acquisite – aveva assunto il carattere dell’assoluta imprevedibilità, inopinabilità ed esorbitanza rispetto ai procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, sì da porsi quale causa esclusiva dell’evento.

Le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte di merito, sorrette da congrua motivazione e conformi a diritto, per quanto sinora detto, si sottraggono, dunque, alle censure all’esame.

9. Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese inerenti al presente giudizio di legittimità seguono il principio della soccombenza, liquidate come da dispositivo in favore del controricorrente T.R..

Nessuna statuizione va invece emessa nei confronti della Società Reale Mutua Assicurazioni che non ha svolto attività difensiva.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 12 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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