Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32816 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 13/12/2019, (ud. 09/10/2019, dep. 13/12/2019), n.32816

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19550-2018 proposto da:

L.V., in proprio ed in qualità di legale rappresentante

ed ex socia della società “Calcolatore di L.V. & C.

sas, B.S.P., elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA

CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentate e difese dall’avvocato SIMONA PAOLA BRACCHI;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5551/19/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 21/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO

RAGONESI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Cremona con sentenza n. 45/13, sez. 1, nel decidere il ricorso proposto da B.S.P. e da L.V. e dalla società Calcolatore di L.V. & C. s.a.s. avverso gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS) e (OMISSIS) relativi ad Irpef, Irap ed Iva 2004 lo accoglieva parzialmente riguardo alla B. e lo rigettava nei confronti di L.V. e della società Calcolatore di L.V. & C. s.a.s..

Avverso detta decisione le contribuenti proponevano appello innanzi alla CTR Lombardia.

Il giudice di seconde cure, con sentenza 5551/2017, accoglieva parzialmente il gravame in relazione alla sospensione delle sanzioni tributarie e lo rigettava nel resto, confermando l’orientamento espresso dal giudice di primo grado.

Avverso la detta sentenza hanno proposto ricorso per Cassazione le contribuenti sulla base di due articolati motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo articolato motivo di ricorso le ricorrenti lamentano in generale l’insufficienza, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione.

In particolare contestano: 1) il difetto di motivazione degli atti di accertamento impugnati; 2) la mancata instaurazione del contraddittorio preventivamente all’emissione dell’avviso di accertamento; 3) la mancata valutazione della responsabilità del rag. La.Ad.; 4) la carenza di motivazione; 5) la rinuncia da parte dei giudici di primo grado ad esercitare i necessari poteri istruttori; 6) il mancato annullamento delle sanzioni.

Con il secondo motivo lamentano che il giudice di seconde cure abbia dato rilevanza all’accertamento del processo verbale della GdF ed all’avviso d’accertamento svolto nei confronti della s.n.c “Il calcolatore di L.V. “.

Esaminando il primo motivo va rilevato che è ormai indiscusso che in seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4. Tale obbligo è violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero essa risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, (Cass. 22598/18).

La rubrica del motivo risulta pertanto del tutto priva di consistenza.

Si osserva, peraltro, che il motivo si articola in realtà in svariate censure tra loro diverse e prospettate sotto diversi profili.

A tale proposito si rammenta che l’articolazione in un singolo motivo di più profili di doglianza costituisce ragione d’inammissibilità quando non è possibile ricondurre tali diversi profili a specifici motivi di impugnazione, dovendo le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d’impugnazione consentiti, prima di decidere su di esse.(Cass. 26790/18).

Nel caso di specie, il motivo in esame si presenta articolato in sei diverse censure tra loro nettamente distinte, alcune delle quali prospettanti vizi di violazione di legge ed altre vizi motivazionali.

Ciò consente a questa Corte di procedere all’esame separato delle singole doglianze.

In primo luogo si rivelano inammissibili le censure di cui ai punti 2 (mancata instaurazione del contraddittorio preventivamente all’emissione dell’avviso di accertamento) e 6 (il mancato annullamento delle sanzioni) dianzi indicati.

La sentenza impugnata ha, infatti, dichiarato inammissibili le censure in questione in quanto, quella relativa alla mancata instaurazione del contraddittorio sarebbe stata proposta per la prima volta in appello, mentre la seconda, relativa alle sanzioni, avrebbe introdotto in appello un elemento nuovo relativo alla mancata motivazione circa i criteri applicati.

Ebbene, il ricorso non censura la dichiarazione di inammissibilità ma ripropone censure di merito del tutto inconferenti rispetto alla pronuncia della Commissione regionale.

Venendo ora all’esame della doglianza di cui al punto 1 del primo motivo, la stessa si articola in tre censure: la prima sub a) deduce la rinuncia dell’Agenzia delle Entrate a motivare adeguatamente ovvero la carenza di motivazione degli avvisi di accertamento onde il mero rinvio all’accertamento non costituirebbe motivazione adeguata da parte della sentenza.

La doglianza è manifestamente infondata.

La Commissione regionale ha, infatti, in narrativa richiamato dettagliatamente la motivazione sul punto della Commissione provinciale che aveva rilevato che il PVC richiamato dall’avviso di accertamento era molto dettagliato nel riscontro dei fatti e delle procedure e che le ricorrenti avevano avuto piena cognizione di esso in quanto notificato alla legale rappresentante della società ed ha poi aggiunto di condividere siffatta valutazione argomentando ulteriormente sulla correttezza di siffatta pratica alla luce della giurisprudenza di questa Corte.

La motivazione sul punto risulta del tutto adeguata in quanto la censura è stata specificamente esaminata e valutata alla luce della decisione di primo grado e della giurisprudenza di questa Corte.

La seconda censura sub (b) del motivo in esame, che si riferisce ai rapporti tra allegazione dell’atto richiamato e motivazione, è inammissibile.

Anche tale doglianza è stata dichiarata inammissibile dalla Commissione regionale (v. pag 5 della sentenza ricorsa) perchè proposta per la prima volta in appello e la censura in esame non contesta tale pronuncia, ma ripropone la questione sostanziale circa la necessità di una motivazione effettiva dell’atto di accertamento.

Anche la censura sub e) della doglianza sub 1) è inammissibile in quanto del tutto generica e priva di autosufficienza.

Si fa infatti riferimento ad una omessa valutazione di “quanto rappresentato dal contribuente in sede di discussione relativa alla ricordata procedura” senza neppure indicare che cosa fosse stato rappresentato e senza tenere conto che il giudice di appello è tenuto a decide sui motivi di impugnazione tempestivamente proposti con l’atto d’appello e non sulle argomentazioni svolte in sede di discussione.

Venendo alla doglianza n. 3) del primo motivo di ricorso, relativa alla ignorata valutazione in sede di motivazione della responsabilità del rag. La., se ne rileva l’inammissibilità Sul punto la sentenza impugnata, nel richiamare le sentenza di primo grado sul punto, motiva del tutto correttamente sulla base della giurisprudenza di questa Corte secondo cui l’infedeltà del professionista, anche se accertata in sede penale non ha effetto escludente in sede d’imposta rimanendo non dovuti solo gli interessi e le sanzioni.

La doglianza n. 4 del primo motivo di ricorso avanza censure di merito riguardo la carenza di motivazione dell’accertamento che non investono in alcun modo la motivazione della sentenza impugnata e sono quindi inammissibili dovendosi comunque rammentare i sovra indicati limiti alla possibilità attuale di avanzare in sede di legittimità censure alle sentenze di merito sotto il profilo della motivazione.

La doglianza n. 5 del primo motivo di ricorso concerne la rinuncia da parte dei giudici di primo grado ad esercitare i poteri istruttori.

La doglianza è inammissibile.

La stessa infatti è rivolta direttamente nei confronti della sentenza di primo grado e non investe in alcun modo la sentenza di appello che sul punto ha argomentato che, a fronte del mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del soggetto onerato, il giudice tributario non è tenuto ad acquisire d’ufficio le prove.

Infine, venendo all’esame del secondo motivo di ricorso, lo stesso è inammissibile.

In primo luogo, in rubrica non è indicato quale norma di legge si assuma violata nè nel motivo si fa riferimento ad alcuna norma.

In secondo luogo, non è in alcun modo specificato quale sia il punto della sentenza che si intende impugnare nè si fa riferimento a quelle che erano state le doglianze proposte con l’appello.

In terzo luogo, il motivo svolge argomentazioni del tutto generiche in riferimento ad un processo verbale e ad un atto di accertamento, a giudicati, ad atti non resi noti e al carattere indeterminato del credito dell’amministrazione; atti tutti di cui non viene dato alcun riferimento specifico.

Il ricorso va in conclusione rigettato. Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma cit. art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 5000,00 oltre spese prenotate a debito. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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