Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32808 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 13/12/2019, (ud. 09/10/2019, dep. 13/12/2019), n.32808

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MOCCI Mauro – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4663-2018 proposto da:

F.V., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato SIMONE LABONIA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 9297/4/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata

il 07/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 09/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. VITTORIO

RAGONESI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione tributaria provinciale di Salerno, con sentenza n. 3458/15, sez. 15, rigettava il ricorso proposto da F.V. avverso l’avviso di accertamento (OMISSIS) per irpef 2009.

Avverso detta decisione la contribuente proponeva appello, innanzi alla CTR Campania – sez. dist. Salerno – sostenendo che l’atto di compravendita posto alla base dell’accertamento simulava in realtà una donazione.

Il giudice di seconde cure, con sentenza 9297/2017, rigettava l’impugnazione confermando l’orientamento espresso dal giudice di primo grado.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente sulla base di due motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

La causa è stata discussa in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce l’erronea valutazione delle prove (artt. 115 e 116 c.p.c., art. 2697 c.c.), nonchè delle presunzioni art. 2727 e 2729 c.c.), in ordine alla natura simulata dell’atto di compravendita che sarebbe in realtà stato una donazione in relazione alla quale non vi sarebbe stato versamento del prezzo e da ciò si sarebbe dovuto ritenere che la somma indicata come prezzo non sarebbe stata in realtà nelle disponibilità economiche della ricorrente. Inoltre, si duole che la sentenza impugnata non abbia tenuto conto del contesto familiare della vicenda perchè l’amministratore della società venditrice dell’immobile era il nonno della ricorrente.

Con il secondo motivo di ricorso contesta la parte della sentenza che fa riferimento ai limiti del potere deliberativo degli organi sociali della società venditrice.

Il due motivi possono essere esaminati congiuntamente e gli stessi sono manifestamente infondati e per certi versi inammissibili.

Come già esposto nella sentenza impugnata, questa Corte, in analoga fattispecie, relativa ad una compravendita avvenuta in ambito familiare, di cui si asseriva la simulazione poichè il prezzo pagato tramite assegno bancario non sarebbe stato mai pagato, ha già avuto occasione di affermare che “invero, in materia di simulazione negoziale, specie con riguardo al pagamento del prezzo, la prova negativa costituita dalla documentazione bancaria è di per sè stessa inidonea a dimostrare la diversa causa negoziale sottostante al tipo formalizzato, atteso che le risultanze degli estratti conto non hanno alcuna attinenza certa e causalmente efficiente rispetto all’adempimento dell’obbligazione del prezzo, nel negozio, simulato come oneroso che si assume celarne uno gratuito, atteso che la provvista necessaria all’adempimento del prezzo può provenire dalle tante altre fonti, e può avere come sua destinazione tanti altri canali, non esauribili – nè quelle ne questi – in quelli bancari. (Cass. 8665/02; Cass. 21143/16; Cass. 17487/16).

A tale giurisprudenza questo Collegio ritiene di dover dare necessariamente seguito con la conseguenza che risulta del tutto adeguata la motivazione della Commissione regionale circa il fatto che non può ritenersi provata la natura simulata del negozio.

In particolare appare corretto il riferimento alla circostanza che il pagamento potrebbe essere avvenuto attraverso canali diversi da quelli bancari.

Quanto poi ai rapporti familiari della ricorrente con il titolare dell’intera partecipazione sociale della società venditrice ( F.R. padre della ricorrente) e con l’amministratore unico ( F.A.), evidenziati in particolare con la memoria, si osserva che la rilevanza degli stessi è stata implicitamente disattesa dalla Commissione regionale laddove ha evidenziato la natura societaria dell’alienante escludendo, quindi, che le scelte di quest’ultima potessero essere predeterminate da esigenze di carattere familiare in grado di limitare il potere deliberativo degli organi sociali.

In tal senso va infatti interpretata l’argomentazione motivazionale oggetto di impugnazione con il secondo motivo, che altrimenti non avrebbe alcuna giustificazione nel contesto argomentativo in cui risulta inserita.

Trattasi di valutazione di merito non sindacabile in questa sede di legittimità.

Il ricorso va in conclusione respinto. Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 4500,00 oltre spese prenotate a debito. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, il 9 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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