Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32802 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. III, 13/12/2019, (ud. 05/11/2019, dep. 13/12/2019), n.32802

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5113/2018 proposto da:

METALFLANGE IMMOBILIARE DI M.G. & C. SAS, in persona

del legale rappresentante M.G., domiciliata ex lege in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata

e difesa dall’avvocato PAOLO CASADEI;

– ricorrente –

contro

BANCA MARCHE SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1073/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 11/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

05/11/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’infondatezza del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Metalflange Immobiliare S.a.s. di M.G. ricorre, formulando un solo motivo, illustrato con memoria, per la cassazione della sentenza n. 1073/2017 della Corte d’Appello di Ancona, depositata l’11 luglio 2017.

Resiste con controricorso, corredato di memoria, Purple SPV S.r.l. e per essa, quale mandataria, la CERVED CREDIT MANAGEMENT S.p.A..

La ricorrente proponeva opposizione, dinanzi al Tribunale di Pesaro, al decreto n. 558/2011, con cui le veniva ingiunto di pagare Euro 1.542.456,87, oltre agli interessi ed alle spese di procedura, alla Banca delle Marche S.p.A., chiedendo che fosse dichiarata la nullità del decreto ingiuntivo per indeterminatezza, invalidità e/o inefficacia delle fideiussioni rilasciate a favore dell’istituto di credito e, in via subordinata, l’annullamento delle fideiussioni ex art. 1394 c.c..

Il Tribunale adito confermava il provvedimento opposto, ritenendo provato il credito della banca ingiungente nei confronti dell’ingiunta, obbligata a titolo di fideiussore in virtù di contratti ritenuti validi ed efficaci in quanto riconducibili all’oggetto sociale della garante, in difetto di limitazioni opponibili a terzi.

La sentenza veniva impugnata dall’odierna ricorrente chiedendo, in primo luogo, la rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., comma 2 – atteso che la sentenza era stata emessa il 23 aprile 2015, il giorno successivo a quello di precisazione delle conclusioni, successivamente depositata in formato cartaceo il 29 aprile 2015, data nella quale risultava pubblicata. La cancelleria, in contrasto con la normativa vigente, non aveva provveduto a redigere una copia informatica della sentenza, come risultava da estratto polisweb da cui si evinceva che il provvedimento non era consultabile telematicamente e non aveva comunicato in alcun modo la sentenza in violazione dell’art. 133 c.p.c., come modificato dal D.L. n. 179 del 2012, art. 45, comma 1, lett. b), convertito con modifiche dalla L. n. 221 del 2012. Solo dopo un anno la cancelleria aveva inviato biglietto di cancelleria tramite pec in data 8 marzo 2016 e successivamente aveva provveduto ad inserire la sentenza nel fascicolo telematico. Nella sostanza la cancelleria aveva adempiuto ai suoi obblighi a distanza di un anno dagli incombenti omessi, quando ormai era decorso il termine di decadenza di cui all’art. 327 c.p.c.; in aggiunta, la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata ex art. 283 c.p.c., la revoca del decreto ingiuntivo, l’accertamento dell’invalidità o dell’inefficacia delle fideiussioni rilasciate a favore della banca, stante l’assenza del potere rappresentativo in capo a colui che le aveva sottoscritte e, in subordine, l’annullamento ex art. 1394 c.c., delle fideiussioni, stante il conflitto di interessi del sottoscrittore, e la riforma del capo relativo alle spese.

La Nuova Banca delle Marche S.p.A. subentrata a Banca delle Marche S.p.A. chiedeva la conferma della sentenza impugnata, adducendo, tra l’altro, l’inoperatività dell’istituto della rimessione ex art. 153 c.p.c., comma 2, perchè previsto per la fase istruttoria e non per quella dell’impugnazione, la tardività dell’appello ex art. 327 c.p.c., la prova del credito ingiunto basata sulla 34 ricevute bancarie insolute, l’assenza dell’ipotizzato conflitto di interessi, l’assenza di limiti al potere rappresentativo dei soci accomandatari, la prescrizione dell’azione e l’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 283 c.p.c..

La Corte d’appello, con la sentenza oggetto dell’odierna impugnata, ai fini che qui interessano, respingeva la richiesta di rimessione in termini, ritenendo, in applicazione della pronuncia n. 17704/2010 e della n. 5946/2017 di questa Corte, che il termine di decadenza di cui all’art. 327 c.p.c., decorresse dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, indipendentemente dalla comunicazione da parte del cancelliere.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con un unico motivo la società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o, in subordine ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio rappresentato dal mancato deposito della sentenza nel fascicolo telematico.

La tesi della ricorrente è che, indipendentemente dalle comunicazioni di cancelleria, quando il giudice non redige la sentenza tramite la consolle del magistrato la cancelleria debba provvedere a scansionare gli atti cartacei in formato informatico compatibile con il sistema, sottoscriverli digitalmente e associarli al corrispondente evento del Sicid o del Siecic, e depositarli nel fascicolo informatico non oltre il giorno successivo al loro invio da parte del giudice.

Il motivo è infondato.

Il giudice a quo ha fatto applicazione di principi di diritto più volte applicati da questa Corte, espressamente richiamati e posti a base della decisione assunta, dai quali non vi è ragione per discostarsi.

Il termine per impugnare una sentenza decorre dalla data di suo deposito in cancelleria, quando la sentenza viene redatta materialmente dal Giudice ed è consegnata completa al cancelliere; la data di deposito in cancelleria è anche la data in cui la sentenza è considerata pubblicata, in base all’interpretazione letterale dell’art. 133 c.p.c.; quindi, non è possibile distinguere tra la data di deposito della sentenza in cancelleria (cioè la materiale consegna della stessa al cancelliere) e la data in cui il cancelliere la pubblica – o, come in questo caso, la inserisce nel fascicolo informatico – per cui i termini per impugnare decorrono dalla data di “deposito” della sentenza, essendo quello del deposito un elemento essenziale per l’esistenza dell’atto (Cass. 22/05/2004, n. 9863).

Tanto premesso, ritiene la Corte che non fosse venuto meno l’obbligo per la parte di rispettare, ai fini della proposizione dell’impugnazione, il termine fissato dall’art. 327 c.p.c., decorrente dalla pubblicazione della sentenza, essendo tale termine del tutto emancipato dall’obbligo di comunicazione alle parti da parte della cancelleria, così come da altri adempimenti gravanti sul cancelliere.

La decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta per errore di diritto; tale errore sussiste, in particolare, allorchè la parte decaduta dall’impugnazione per l’avvenuto decorso del termine di cui all’art. 327 c.p.c., si dolga della non tempestiva comunicazione della sentenza da parte della cancelleria, posto che il termine di cui all’art. 327 c.p.c., decorre dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, e non dall’omessa comunicazione da parte del cancelliere, non ravvisandosi in tale regime delle impugnazioni alcun dubbio di costituzionalità (Cass. 29/07/2004, n. 17704).

Va, inoltre, osservato che qualora la parte sia costituita in giudizio a mezzo di un avvocato, rientra nei compiti professionali di questi il dovere di attivarsi e verificare, qualora non abbia ricevuto comunicazioni di cancelleria in una fase processuale in cui ne era destinatario, se a causa di un mancato adempimento di cancelleria siano state svolte attività processuali a sua insaputa (Cass. 08/03/ 2017, n. 5946).

L’ampiezza del termine impugnatorio consente al soccombente di informarsi tempestivamente della decisione che lo riguarda, facendo uso della diligenza dovuta “in rebus suis”. Del resto, quando ha voluto, il legislatore ha espressamente attribuito rilievo processuale alla comunicazione del provvedimento ad opera della cancelleria, quale adempimento da cui decorre il termine di decadenza per il gravame (cfr. la L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 62; art. 348-ter c.p.c., comma 3; L. Fall., art. 18, comma 13). Il carattere derogatorio e speciale di tali disposizioni risulta anche dal nuovo testo dell’art. 133 c.p.c., comma 2, secondo cui “la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c.”. Deve, pertanto, ribadirsi che il termine di impugnazione è stabilito a pena di decadenza e decorre “in ogni caso” dalla pubblicazione della sentenza mediante deposito in cancelleria, senza che rilevi l’omessa comunicazione da parte del cancelliere, a carico del quale può dar luogo solo ad una sanzione disciplinare. Per di più, la decadenza da un termine processuale, ivi compreso quello per impugnare, non può ritenersi incolpevole e giustificare, quindi, la rimessione in termini, ove sia avvenuta (come nella specie) per errore di diritto.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese sono liquidate come da dispositivo e seguono la soccombenza.

Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico della società ricorrente l’obbligo di pagamento del doppio del contributo unificato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese in favore della controparte, liquidandole in Euro 15.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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