Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32800 del 13/12/2019

Cassazione civile sez. III, 13/12/2019, (ud. 04/11/2019, dep. 13/12/2019), n.32800

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5647/2018 proposto da:

S.D., M.M., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA 4, presso lo studio dell’avvocato

FABRIZIO IMBARDELLI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIACOMO

LOMBARDI;

– ricorrenti –

contro

FALLIMENTO S.D. titolare dell’impresa individuale AGRICOLA

COMMERCIALE ESSICAZIONI CEREALI DI S.D., in persona del

Curatore Dott.ssa MA.VA., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA LUIGI LUCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato DANIELE

MANCA BITTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

STEFANO SANTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 864/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 16/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/11/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

Fatto

RITENUTO

che:

1. M.M. e S.D., quest’ultimo già titolare dell’impresa individuale “Agricola Commerciale Essiccazione Cereali di D.S.” ricorrono, affidandosi a due motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Brescia che aveva confermato la pronuncia del Tribunale con la quale era stata accolta l’azione revocatoria ordinaria, esperita dal curatore del Fallimento S.D., per la dichiarazione di inefficacia, nei confronti della massa fallimentare, del fondo patrimoniale da loro costituito nel quale erano stati conferiti alcuni beni immobili.

2. La parte intimata ha resistito con controricorso e memorie.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, i ricorrenti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducono la violazione dell’art. 183 c.p.c.: lamentano, al riguardo, la tardiva acquisizione al processo della relazione del 6.6.2013 prodotta (in tesi, tardivamente) dal curatore del fallimento, depositata contestalmente all’espletamento dell’interrogatorio libero.

1.1. Deducono, in ragione di ciò, anche la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto, senza tale “documento”, la motivazione sarebbe risultata, in tesi, del tutto priva di contenuto: infatti, soltanto con riferimento alla illegittima acquisizione della relazione del curatore fallimentare erano stati riconosciuti i presupposti (anche cronologici) legittimanti l’azione revocatoria, visto che la sussistenza dell’esposizione debitoria portata nella cartella esattoriale notificata si fondava sul mancato riconoscimento per l’anno 2003 dell’IVA “a credito” e la conseguente impossibilità di compensare il debito tributario dell’azienda.

1.2. Il motivo è inammissibile.

1.3. In primis, la censura difetta di autosufficienza: infatti, non è dato rinvenire nel corpo del ricorso il contenuto completo dell’atto (meramente indicato come “memoria del curatore in merito all’assenza di documentazione contabile IVA”), visto che esso non è stato trascritto e non è stata neanche indicata la sede processuale dove rinvenirlo (cfr. al riguardo Cass. SU 22726/2011; Cass. 195/2016; Cass. 11599/2019; Cass. 13625/2019)

1.4. Inoltre, la critica proposta non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata: la Corte d’Appello, infatti, da una parte ha precisato, con motivazione coerente e logica, che la relazione contestata, altro non era che una precisazione scritta delle argomentazioni illustrate dal curatore in sede di interrogatorio libero ed ha escluso, pertanto che potesse essere qualificato come un documento soggetto alle preclusioni previste dall’art. 183 c.p.c.; e, dall’altra, ha compiutamente motivato in ordine alla valutazione delle altre emergenze istruttorie, affermando che il contenuto di tale “memoria” trovava riscontro sia nell’esame della cartella esattoriale che portava il credito vantato dall’erario (debiti 2004, riferibili quindi ai redditi 2003), sia nell’informativa dell’Agenzia delle Entrate acquisita ex art. 213 c.p.c., certamente idonea a consolidare la prova delle emergenze tributarie a carico del contribuente.

La motivazione, pertanto, è fondata non solo e non tanto sul contenuto dell’atto contestato, ma soprattutto sulle ò restanti evidenze processuali, oggetto di autonoma valutazione, sufficiente a sostenere la decisione impugnata, anche in termini di prova presuntiva sulla “scientia damni”.

2. Con il secondo motivo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 c.c., con riferimento alla valutazione delle risultanze processuali: lamentano l’erroneità della sentenza in relazione alla individuazione del momento in cui è venuta ad esistere l’obbligazione tributaria verso Equitalia ed in cui era emersa la consapevolezza del S. di sottrarre beni ai creditori.

2.1. Anche tale censura è inammissibile.

I ricorrenti, infatti, continuano a dolersi della erronea valutazione delle risultanze processuali, censurando la motivazione che aveva ritenuto sussistente sia il consilium fraudis che l’eventus damni con riferimento alla contestata relazione del curatore e che non avrebbe posto a fondamento della decisione le prove ritualmente dedotte dalle parti: in tal modo, tuttavia, si limitano a contrapporre la propria tesi difensiva all’articolato percorso argomentativo della Corte territoriale chiedendo una rivalutazione di merito delle emergenze processuali già compiutamente esaminate, soprattutto in relazione alla nodale questione secondo cui, pacifica la comunicazione relativa al credito IVA per l’anno 2004, dalla dichiarazione dell’Agenzia delle Entrate (oltre che dalla relazione del curatore) risultava l’omessa presentazione della dichiarazione IVA per i redditi dell’anno 2003, con la conseguenza che emergeva un debito ben superiore al credito, antecedente alla costituzione del fondo patrimoniale, di cui il S. non poteva non essere consapevole: la censura proposta, oltre a svilupparsi su un non consentito percorso fattuale, prende le mosse dalla erronea convinzione che l’insorgenza del debito tributario dovrebbe essere ricondotta alla data della presentazione della dichiarazione IVA (che, in tesi, non essendo stata presentata, non esisterebbe), dovendo invece essere riferita alla data di scadenza del termine per la dichiarazione così come correttamente affermato dai giudici d’appello.

3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello cui è tenuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 4 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 dicembre 2019

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