Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3280 del 12/02/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 3280 Anno 2013
Presidente: CARLEO GIOVANNI
Relatore: FRASCA RAFFAELE

SENTENZA
sul ricorso 26714-2009 proposto da:
TAVAGNACCO LUISA IVGLSU42L57B305D, in proprio e quale
erede accettante con beneficio d’inventario del
defunto marito JOANA ALFEO, elettivamente domiciliata
in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato
2012
1845

BELTRAME ALESSANDRO, con studio in 33011 MANZANO, VIA
ROMA 13 INT. 9 CONDOMINIO ROMA giusta delega in atti;
– ricorrente contro
BANCA CREDITO COOPERATIVO DI MANZANO SOCIETA’

Data pubblicazione: 12/02/2013

COOPERATIVA già S.C.AR.L. 00251640306, elettivamente
domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22, presso lo
studio dell’avvocato BOCCIA FRANCO RAIMONDO, che la
rappresenta e difende uniLamente all’avvocato ALBERTO
FRESCHI giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 509/2008 della CORTE D’APPELLO
di TRIESTE, depositata il 13/12/2008, R.G.N.
417/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/11/2012 daL Consigliere Dott. RAFFAELE
FRASCA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso;

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– controricorrente –

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

§1. Luisa Tavagnaccio, in proprio e nella qualità di erede accettante con beneficio di
inventario del defunto marito Ioan Alfeo ha proposto ricorso per cassazione contro la
Banca di Credito Cooperativo di Marzano avverso la sentenza del 13 dicembre 2008, con
la quale la Corte d’Appello di Trieste ha rigettato l’appello proposto da essa ricorrente e
dal de cuius avverso la sentenza del Tribunale di Udine, che aveva rigettato l’opposizione

proposta da essi appellanti il precetto loro intimato dalla Banca per il pagamento delle
spese giudiziali riconosciute da una sentenza del 2001 dello stesso Tribunale che aveva
dichiarato infondata una querela di falso da loro proposta e che era stata impugnata dinanzi
alla stessa Corte Triestina.
L’opposizione al precetto era stata motivata dalla pretesa carenza di qualità di titolo
esecutivo per le spese della sentenza di rigetto della domanda avente ad oggetto la querela
di falso ed il Tribunale di prime cure l’aveva rigettata sulla scorta della giurisprudenza di
questa Corte che invece riconosce qualità di titolo esecutivo per le spese giudiziali alla
sentenza di rigetto della domanda pur non passata in cosa giudicata.
§2. L’appello della Tavagnaccio e del marito era stato proposto con la critica al detto
orientamento giurisprudenziale e la successiva invocazione, nella comparsa conclusionale
del giudizio di appello, del sopravvenuto venir meno del titolo esecutivo per essere stata la
sentenza d’appello della Corte triestina, che aveva confermato la sentenza fatta valere
come titolo esecutivo, cassata con rinvio da questa Corte con la sentenza n. 20415 del
2006.
La Corte d’Appello di Trieste, nella sentenza impugnata ha ribadito la validità
dell’orientamento di questa Corte e rigettato il motivo su cui originariamente era stato
fondato l’appello, mentre, quanto alla invocazione della sopravvenienza della caducazione
del titolo esecutivo, per un verso ha osservato che trattavasi di argomentazione, da essa
qualificata come “eccezione”, svolta solo nella conclusionale, e, per altro verso, ha
osservato che la sopravvenuta inefficacia del titolo esecutivo era irrilevante nel giudizio,
alla stregua del principio di diritto di cui a Cass. n. 18512 del 2007, espressamente evocato
con la sua riproduzione, anche se senza indicazione della sentenza de qua.
§3. L’intimato ha resistito al ricorso con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

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Est. Cons Raffaele Frasca

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

§1. Il ricorso appare inammissibile, in quanto la ricorrente ha censurato soltanto una
delle due rationes decidendi sulle quali la Corte territoriale ha fondato il rifiuto di
considerare rilevante ai fini della decisione dell’appello la circostanza della sopravvenienza
del venir meno del titolo esecutivo.
Invero, con l’unico motivo di ricorso, deducente “violazione degli art. 336-615
c.p.c.” in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. ed articolato in due censure, si critica la sentenza
impugnata esclusivamente quanto alla ratio decidendi con cui, evocando senza nominarla

Cass. n. 18512 del 2007, ha reputato irrilevante nel giudizio di opposizione la
sopravvenienza, nel giudizio di cognizione nel quale si era formato il titolo esecutivo
precettato, della cassazione della sentenza di appello che aveva confermato la sentenza di
primo grado resa dal Tribunale di Udine e fatta valere come titolo esecutivo.
Il motivo non muove, invece, alcuna censura alla motivazione con cui la Corte
territoriale aveva rilevato che l’introduzione nel giudizio di appello del fatto della detta
sopravvenienza non avrebbe potuto introdursi con la comparsa conclusionale d’appello.
Questa motivazione è espressa dalla sentenza impugnata prima dell’altra censurata,
là dove Essa, riferendosi alla deduzione della sopravvenienza, osserva che <>.
Questa motivazione adombra che, ad avviso della Corte territoriale, la
sopravvenienza non poteva introdursi con la comparsa conclusionale.
Viene allora in rilievo il principio di diritto secondo cui <> (Cass. n. 14740 del 2005), oppure il
principio di diritto – maggioritario nella giurisprudenza di questa Corte, ma che determina
la stesa conseguenza – secondo cui <> (ex multis, così Cass. n. 2108 del 2012).
§2. Non è, pertanto, possibile esaminare la ratio decidendi impugnata, il cui esame,

si sarebbe potuto ritenere che la cassazione, nel giudizio avente ad oggetto la formazione
del titolo esecutivo, della sentenza d’appello confermativa di quella di primo grado del
Tribunale di Udine costituente il titolo esecutivo avesse determinato il venir meno della
pretesa esecutiva minacciata a suo tempo con il precetto.
Queste le ragioni.
Nell’argomentare dell’illustrazione del motivo trova evidentemente l’eco, in modo
che costringe questa Corte ad affrontare la relativa questione siccome sostanzialmente
somministrata dal motivo, l’idea tradizionale che la sentenza di appello che confermi la
sentenza di primo grado immediatamente esecutiva si sostituisca come titolo esecutivo ad
essa e, dunque, rappresenti sempre, una volta che sia intervenuta, il titolo che regge
l’esecuzione e, prima ancora, giustifica l’esistenza della pretesa esecutiva e ciò fin da
quando essa è stata esercitata.
Questa idea è sostenuta da lungo tempo dalla giurisprudenza di questa Corte, che —
nel presupposto tralaticio ed ormai, peraltro, di relativo valore, della natura di
impugnazione devolutiva piena del giudizio di appello — ne rinviene la giustificazione nella
circostanza che alla sentenza d’appello, salvo i casi di inammissibilità, improponibilità ed
improcedibilità dell’appello (e, quindi, quelli in cui l’appello sia definito in rito e non sia
esaminato nel merito con la realizzazione dell’effetto devolutivo di gravame sul merito), si
deve riconoscere l’efficacia di sostituire quella di primo grado, tanto nel caso di riforma
che in quello di conferma di essa in quanto essa si concreta in una nuova decisione sul
merito (si veda Cass. n. 2885 del 1973; n.6438 del 1992; n. 586 del 1999; n. 29205 del
2009; n. 7537 del 2009; adde anche Cass. n. 3977 del 2012, in motivazione; di tale idea
tradizionale sono state consapevoli, sia pure agli effetti di altra questione, anche le Sezioni
Unite nella sentenza n. 4071 del 2010, pur non avendo avuto modo di esaminarne la
fondatezza).

Est. Con.

Frasca

peraltro, si sarebbe risolto nella costatazione della infondatezza del motivo, in quanto non

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

Ne deriverebbe anzitutto che, se — al di fuori delle indicate pronunce di definizione in
rito dell’appello – si vuole iniziare l’esecuzione dopo la sentenza di conferma di quella di
primo grado già esecutiva, occorrerebbe notificare come titolo esecutivo la sentenza di
appello pur facendo riferimento, evidentemente, a quella di primo grado. Prima ancora,
nell’intimare il precetto si dovrebbe evocare come titolo giustificativo della pretesa
esecutiva la sentenza d’appello in quanto confermativa di quella di primo grado già avente
natura di titolo esecutivo.

Inoltre, l’efficacia sostitutiva della sentenza di appello confermativa nel merito della
sentenza di primo grado comporterebbe anche che, il venir meno della sentenza d’appello
de qua, per effetto di cassazione, si risolverebbe in un difetto sopravvenuto del titolo
esecutivo ah origine, perché se essa aveva sostituito quello originariamente costituito dalla
sentenza di primo grado, il suo venir meno si risolve in carenza, sia pure sopravvenuta, del
titolo fin dal momento in cui si era formato ed era rappresentato dalla sentenza di primo
grado.
Nella fattispecie che si giudica il titolo posto a base dell’esecuzione era un decreto
ingiuntivo, ma l’orientamento qui ricordato troverebbe applicazione anche in questo caso,
nel quale il decreto è stato confermato dalla sentenza di rigetto dell’opposizione ed essa a
sua volta lo è stata dalla sentenza di appello, che poi è stata cassata con rinvio dalla citata
sentenza di Cassazione (prodotta in questa sede legittimamente ai sensi dell’art. 372 c.p.c.
essendo sopravvenuta alle sentenze impugnate).
Per la verità, nella cornice del riferito orientamento, una giurisprudenza di questa
Corte aveva introdotto un oggettivo distinguo, relativo al caso in cui la sentenza di appello
fosse stata parzialmente confermativa di quella di primo grado e parzialmente riformatrice,
sì da riconoscere, sotto il primo aspetto, parzialmente la pretesa esecutiva già riconosciuta
in maggior misura dalla sentenza di primo grado. In tal caso, infatti, valorizzando il
principio espresso nell’art. 653 c.p.c., si era sostenuto che l’esecuzione per la parte
confermata restasse ferma.
Si era, infatti, affermato che <> (Cass. n. 101 del 1985; successivamente: Cass. nn.

2406 del 1986 e 7111 del 1997).
In tal modo, peraltro, risultava introdotta un’evidente incongruenza rispetto alla
logica del principio generale. E’ palese che un’applicazione coerente del principio
all’ipotesi di sentenza di riforma parziale (e, quindi, di conferma parziale) avrebbe dovuto
giustificare che, sostituendosi la sentenza a quella di primo grado ed avvenendo la
sostituzione anche quanto alla forza di titolo esecutivo per la parte di pretesa riconosciuta,
si sarebbe dovuto a rigore escludere che, sia pure per tale parte, la pretesa esecutiva a suo
tempo esercitata sulla base della sentenza di primo grado si potesse continuare a
considerare giustificata e sorretta da titolo esecutivo con essa identificabile. Invero, se il
titolo esecutivo, quando fosse sopravvenuta sentenza d’appello confermativa, era
rappresentato da quest’ultima per effetto del meccanismo sostitutivo, non era dato
comprendere come, nel caso di sentenza parzialmente confermativa, la sostituzione non
dovesse operare nuovamente, sì che la pretesa esecutiva si dovesse individuare nel nuovo
titolo e non più nella sentenza di primo grado, con la conseguenza che il suo attuarsi sulla
base di questa non si sarebbe potuto spiegare.
Non solo: nell’ipotesi di cassazione con rinvio della detta sentenza d’appello per la
parte confermativa si sarebbe dovuto per coerenza, ma in ulteriore contrasto con
l’orientamento generale che si esamina, che esecuzione ed atti esecutivi corrispondenti a
detta parte già compiuti sulla base della sentenza di primo grado potessero restare fermi.
A ben vedere, però, la giurisprudenza appena riferita si rivela come cartina di
tornasole di un’incongruenza della stessa tesi di fondo dell’efficacia sostitutiva della
sentenza confermativa: in effetti se vi è tale efficacia sostitutiva ed alle parole si deve dare
un senso, allora la sostituzione come titolo della sentenza d’appello a quella di primo grado
non può che determinare l’affrancarsi del nuovo titolo da quello che sostituisce. Il che
dovrebbe comportare che la pretesa esecutiva estrinsecatasi sulla base della sentenza di
primo grado dovrebbe sempre considerarsi tamquam non esse!, perché ha avuto luogo sulla
base di un titolo che non c’è più, essendone sopravvenuto uno nuovo. La conseguenza
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Est. ConsRaffaele Frasca

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

paradossale sarebbe che l’esecuzione pregressa, avvenuta sulla base della sentenza di
primo grado, si sarebbe dovuta ritenere automaticamente caducata: questo sarebbe stato
l’effetto dell’attribuzione all’effetto sostitutivo di un valore assoluto.
In realtà, se la sostituzione si intende, invece, come “sostituzione a far tempo dalla
sopravvenienza della sentenza di appello” e non incidente sulla vicenda della pretesa
esecutiva pregressa articolatasi sulla base della sentenza di primo grado, allora, in realtà, si
finisce per predicare non già, agli effetti dell’individuazione del titolo esecutivo, un effetto

riferimento per quella individuazione soltanto alla sentenza d’appello e ciò anche per
l’accaduto prima di essa, bensì qualcosa d’altro, cioè un effetto di sostituzione dal
momento della sopravvenienza, che, per elementare coerenza, non può spiegare effetti per
lo svolgimento pregresso della pretesa esecutiva, bensì soltanto per quello successivo alla
sopravvenienza.
In tale prospettiva e solo in tale prospettiva allora la generalizzazione del principio di
cui all’art. 653 c.p.c. appare coerente.
Ed è sempre seguendo tale prospettiva che va ridiscussa e ridimensionata l’idea che
la cassazione della sentenza d’appello integralmente confermativa debba determinare la
caducazione della pretesa esecutiva e delle sue manifestazioni attuatesi prima di essa,
perché la sentenza cassata ha “sostituito” quella di primo grado esecutiva.
Va cioè considerato l’oggettivo relativismo della pretesa sostituzione.
Relativismo che, del resto, è aumentato nel corso degli anni di vigenza del codice di
rito, in ragione dell’oggettivo attenuarsi di quello che rappresentava la premessa
giustificativa dell’effetto sostitutivo della sentenza confermativa d’appello di merito, cioè
il c.d. carattere devolutivo del giudizio di appello. Carattere, com’è noto, profondamente
inciso dalla riforma di cui alla 1. n. 353 del 1990 con le limitazioni introdotte al regime dei
nova di cui all’art. 345 c.p.c. ed anzi ulteriormente attenuatosi dopo la riforma di cui al d.l.
n. 83del 2012, convertito con modificazioni, in 1. n. 134 del 2012.
L’orientamento tradizionale, dunque, risulta poggiare anche su un concetto tralaticio,
quello dell’effetto devolutivo dell’appello, che ormai la stessa dottrina riconosce del tutto
relativizzato.
§2.1. Le svolte considerazioni giustificano, dunque, la ridiscussione del tema.
E il punto di partenza per la ridiscussione può essere il seguente.
Fermando l’attenzione sull’ipotesi in cui si debba iniziare l’esecuzione dopo sentenza
confermativa per ragioni di merito della sentenza di primo grado già costituente titolo

Est. Cons. Raffaele Frasca

veramente sostitutivo della sentenza confermativa d’appello, cioè tale che si deve fare

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

esecutivo, il Collegio osserva che, con riguardo a tale situazione, sembra, in realtà,
costituire un artificio formale logicamente poco comprensibile il ritenere che il titolo
esecutivo sia rappresentato dalla sentenza di appello confermativa e non piuttosto dalla
combinazione della sentenza di primo grado e di essa, cioè dalla complessiva vicenda per
cui la sentenza di primo grado costituente titolo esecutivo e come tale individuatrice del
diritto per cui si può procedere all’esecuzione vede conservato tale valore dal modo di
essere della sentenza di appello.

Se ci si pone dal punto di vista del giudice dell’esecuzione od anche di quello che, ai
sensi dell’art. 623 c.p.c., sia chiamato, in ragione della impugnazione in sede cognitiva
della sentenza d’appello in cassazione, a provvedere su un’istanza di sospensione
dell’esecutività del titolo (si pensi ad un’istanza di sospensione dell’esecutività proposta ai
sensi dell’art. 373 c.p.c. al giudice d’appello a seguito di ricorso per cassazione quando,
non essendo stata iniziata l’esecuzione sulla base della sentenza di primo grado,
confermata in appello, la si minacci con il precetto o la si inizi in pendenza del ricorso per
cassazione, oppure anche semplicemente perché non si ritiene che la sentenza d’appello
abbia ben giudicato ed il suo tenore faccia emergere ragioni giustificative di una
sospensione dell’esecutività del titolo che non si era ritenuto di spendere, pendente il
giudizio di appello, ai sensi dell’art. 283 c.p.c.), sembra doversi constatare che,
allorquando la sentenza di primo grado avesse avuto natura di titolo esecutivo e quella di
appello l’abbia confermata, l’individuazione del titolo esecutivo non sembra che possa
prescindere dalla considerazione combinata della sentenza di primo grado e della sentenza
di appello confermativa.
In particolare, se ci si pone dal punto di vista del giudice dell’esecuzione, il quale,
una volta investito di un’opposizione a precetto minacciata dopo la sopravvenienza della
sentenza confermativa o di un’opposizione ad una esecuzione iniziata dopo di essa, oppure
anche a prescindere da un’opposizione, qualora sia chiamato a svolgere l’attività inerente
l’esecuzione, come nell’esecuzione per obblighi di fare o non fare, oppure un’attività che
comporti l’individuazione della dimensione della pretesa esecutiva (ai fini, per esempio, di
un’istanza di riduzione del pignoramento o di conversione) oppure ancora debba
comunque individuare l’esistenza del titolo esecutivo ed il suo contenuto, sembra palesarsi
quanto segue: se il relativo scrutinio avvenisse soltanto sulla base della sentenza di appello
confermativa per ragioni di merito di quella di primo grado già costituente titolo esecutivo,
l’individuazione sarebbe ben difficilmente possibile, o comunque lo sarebbe con evidente
difficoltà ed approssimazione, in contrasto con il formalismo che connota il titolo
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Est. ons. Raffaele Frasca

R.g.n. 26714-09 (ucl. 20.11.2012)

esecutivo. Ciò, in quanto, potrebbe accadere talvolta che la sentenza d’appello contenga
una riproduzione del dispositivo della sentenza di primo grado e del suo contenuto
sufficienti a quella individuazione, ma questa evenienza potrebbe molto più
frequentemente non verificarsi. Con la conseguenza che il giudice dell’esecuzione si
potrebbe trovare nell’impossibilità di individuare il titolo e, quindi, la pretesa esecutiva
nella sua consistenza senza ricorrere alla sentenza di primo grado.
Le stesse difficoltà, sia pure in misura minimale, dato che esso è il giudice che ha

formato la sentenza d’appello confermativa, potrebbero darsi per il giudice della
cognizione in sede di impugnazione, cioè per il giudice d’appello investito ai sensi dell’art.
373 c.p.c., se la valutazione a lui rimessa ai fini del potere di cui a tale norma non dovesse
contemplare la pretesa esecutiva siccome risultante dalla combinazione fra la sentenza di
primo grado e quella di appello: è sufficiente osservare che le ragioni dell’istanza di
sospensione dell’esecutività del titolo correlate ai motivi di ricorso per cassazione bene
potrebbero richiedere una valutazione necessariamente combinata della forza di resistenza
ad essi della sentenza d’appello proprio in collegamento con la sentenza di primo grado.
§2.2. Non è men vero, peraltro, che le ragioni che inducono a ravvisare il titolo
esecutivo, dal punto di vista del giudice dell’esecuzione e del giudice della cognizione
d’appello chiamato a provvedere sulla sospensione dell’esecutività della pretesa esecutiva,
nella combinazione della sentenza di primo grado e della sentenza di appello confermativa
nel merito di quella, si configurino anche là dove la sentenza d’appello abbia rigettato in
rito l’appello: è evidente che quei giudici, per fornire l’apprezzamento sull’esistenza ed il
modo di essere della pretesa esecutiva ed esercitare i loro poteri non possono utilizzare
soltanto la sentenza di primo grado, poiché in tanto essa ha visto conservata la sua efficacia
di titolo esecutivo, in quanto è stata “confermata” dalla pronuncia sull’appello in rito.
§2.3. Si deve, dunque, ritenere che tanto nel caso di sentenza d’appello
confermativa della sentenza di primo grado già costituente titolo esecutivo per ragioni
di merito, quanto nel caso di sentenza d’appello di rito che determini la
consolidazione della sentenza di primo grado costituente titolo esecutivo, il titolo
esecutivo, quale atto individuatore della pretesa esecutiva e, quindi, dell’azione
esecutiva sia rappresentato dalla necessaria combinazione fra le due sentenze. Né in
senso contrario, nel caso di decisione sul merito dell’appello, può giuocare il fatto che in
questo caso la sentenza d’appello fornisce una nuova decisione sul merito: poiché essa
conferma quella di primo grado nella sua statuizione e, quindi, in ciò che può assumere la
forza di titolo esecutivo, non è dato comprendere come la circostanza della pronuncia di un
10
Est. Cons. affaele Frasca

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

nuovo giudizio sul merito possa assumere rilievo per la pretesa efficacia sostitutiva come
titolo esecutivo. Ciò che rileva è, viceversa, soltanto che la forza di titolo esecutivo della
sentenza di primo grado risulta confermata e perché tanto si evidenzi si deve fare
riferimento alla sentenza di appello. Il che palesa che il titolo esecutivo risulta ora dalla
combinazione fra i due atti.
Ne deriva che, quando l’art. 479 c.p.c., esige che, salvo diversa disposizione,
l’esecuzione debba essere preceduta dalla notificazione del titolo esecutivo in forma

esecutiva, in entrambe le due situazioni indicate dev’essere intesa nel senso che
occorre notificare come titolo esecutivo sia la sentenza di primo grado che quella
d’appello di essa confermativa per ragioni di merito o di rito, a meno che la prima
non sia stata già notificata alla parte che dovrebbe subire l’esecuzione. Nel qual caso è
sufficiente notificare la sentenza di appello (e all’atto della notificazione e, quindi, nel
precetto si farà riferimento alla pregressa notificazione della sentenza di primo
grado).

§3. Una volta chiarito che la pretesa esecutiva, quando sia stata riconosciuta dalla
sentenza di primo grado e questa sia stata confermata per ragioni di rito o di merito in
appello è certamente identificata dalla combinazione fra le due sentenze, si può passare ad
esaminare la questione posta dal motivo, che involge quella più generale del riflesso sulla
pretesa esecutiva e gradatamente sull’esecuzione con cui essa, in ipotesi sia stata esercitata,
della sentenza della Corte di cassazione che disponga la cassazione della sentenza di
appello

de qua.

Nella prospettazione di cui al motivo la sopravvenienza della sentenza di questa
Corte e la cassazione della sentenza d’appello nel giudizio in cui è sub iudice il titolo
esecutivo, avrebbe determinato la caducazione di esso e dell’esecuzione.
Al riguardo, assume rilievo innanzitutto la disposizione del secondo comma dell’art.
336 c.p.c., correttamente evocata dal motivo.
Questa disposizione, per quanto interessa, stabilisce che <>.
Ai fini del ricorso in esame interessa, peraltro, focalizzare l’attenzione anzitutto
sull’ipotesi di cassazione con rinvio ai sensi dell’art. 383, primo comma, c.p.c. al giudice
d’appello.

Se detta disposizione, con riferimento alla cassazione con rinvio al giudice d’appello
di una sentenza di conferma nel merito o in rito della sentenza di primo grado costituente
già titolo esecutivo, si applica alla pretesa esecutiva correlata al processo in cui è avvenuta
11

Est. C s. Raffaele Frasca

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

la cassazione e, quindi, agli atti con cui essa si è manifestata, occorre individuare se ed
entro quali limiti tali atti possano considerarsi dipendenti dalla sentenza cassata e prima
ancora come la cassazione con rinvio, in quanto riguardante la sentenza d’appello, incida
sulla stessa pretesa esecutiva.
In proposito ritiene il Collegio che si debba distinguere fra due situazioni.
§3.1. Se l’esecuzione forzata sia stata iniziata in forza della sentenza di appello
confermativa (per ragioni di rito o di merito) di quella di primo grado pur già titolo

ritenersi che tutta l’esecuzione sia da considerare una sequenza provvedimentale e di atti
dipendenti dalla sentenza d’appello cassata e che, quindi, tutta l’esecuzione debba cadere.
Non si potrebbe in diverso senso sostenere che, essendo l’esecuzione iniziata si sulla
base della sentenza d’appello confermativa ma in relazione all’essere già il titolo esecutivo
rappresentato dalla sentenza di primo grado, questa dipendenza in realtà non vi sia, perché
la legittimazione all’esecuzione dipendeva dalla forza esecutiva della sentenza di primo
grado e solo formalmente dalla conferma da parte della sentenza d’appello. Una simile
conclusione collide con le sopra esposte considerazioni sull’individuazione del titolo
esecutivo nella combinazione fra la sentenza di primo grado e la sentenza di appello e
trascura di considerare che l’esecuzione si è iniziata facendo valere, come si doveva
necessariamente e, fra l’altro, per scelta del titolare della pretesa esecutiva, proprio tale
combinazione. Non è senza rilievo che l’art. 373 c.p.c. continua ad alludere all’esecuzione

[rectius, all’esecutività] della sentenza d’appello, così mostrando di considerare che
riguardo alla pretesa esecutiva essa ha rilievo nonostante l’immediata esecutività della
sentenza di primo grado, sancita dall’art. 282 c.p.e. dopo la novella della I. n. 353 del 1990.
Ad una conclusione opposta rispetto a quella enunciata, d’altro canto, non potrebbe
indurre la circostanza che nel processo d’appello fosse stata richiesta la sospensione
dell’esecutività del titolo ai sensi dell’art. 283 c.p.c. ed essa fosse stata negata oppure non
fosse stata richiesta, oppure ancora fosse stata concessa.
Con riferimento all’ipotesi in cui l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado
confermata non fosse stata sospesa ai sensi dell’art. 283 c.p.c., o per rigetto o per mancanza
della relativa istanza, la situazione relativa all’esistenza della pretesa esecutiva sarebbe
stata comunque regolata dalla sentenza di appello, la quale nel primo caso, non
diversamente da quando al provvedimento cautelare positivo segua la sentenza di merito
favorevole, avrebbe assorbito il provvedimento di negazione della sospensione
dell’esecutività della sentenza di primo grado, di modo che nemmeno vi sarebbe bisogno di

Est. Con. Raffaele Frasca

esecutivo (perché il titolare del titolo abbia preferito aspettare l’esito dell’appello), deve

R.g.n. 26714-09 (u.d. 20.11.2012)

considerarlo caducato ai sensi dell’art. 336, secondo comma, c.p.c. come dipendente dalla
sentenza d’appello cassata. Nel secondo caso, la mancanza di provvedimento sulla
sospensione non escluderebbe che la situazione di esistenza del titolo esecutivo sulla base
della sentenza di primo grado sarebbe stata sempre sostituita da quella di combinazione fra
essa e la sentenza d’appello cassata sulla base della quale l’esecuzione sia stata iniziata.
Con riguardo all’ipotesi in cui l’esecutività della sentenza di primo grado fosse stata
sospesa ai sensi dell’art. 283 c.p.c. si dovrebbe, poi, osservare che, una volta sopravvenuta

la sentenza di conferma della sentenza di primo grado, il relativo provvedimento sarebbe
stato già travolto e legittimamente la pretesa esecutiva sarebbe stata esercitata sempre sulla
base della combinazione fra la sentenza di primo grado e quella di appello.
§3.2. Va rilevato, per completezza, che la cassazione della sentenza d’appello con
rinvio travolge anche il precetto intimato sulla base della combinazione della sentenza di
primo grado esecutiva e di quella d’appello confermativa e ciò ancorché, in ipotesi, la
cassazione intervenga su una situazione in cui al precetto era seguita un’opposizione e non
aveva avuto corso l’esecuzione, essendo rimasta sospesa l’efficacia del precetto, ai sensi
del secondo comma dell’art. 481 c.p.c. Invero, in tal caso la pretesa esecutiva minacciata
con il detto precetto lo è stata in forza di quella combinazione, cioè sulla base del titolo
esecutivo siccome individuato da essa.
§3.3. Si deve, inoltre notare che, qualora la sentenza di cassazione abbia disposto
una cassazione con rimessione al primo giudice ai sensi dell’art. 383, terzo comma, c.p.c.,
la caducazione del precetto e degli atti esecutivi compiuti dopo la sentenza d’appello
confermativa si giustifica in non diversa guisa ed a firtiori, perché, come si dirà di
seguito, cade la stessa pretesa esecutiva ab origine, venendo meno anche la sentenza di
primo grado.
§3.4. A diverse considerazioni — questa volta rilevanti ai fini dello scrutinio del
motivo — si presta, invece, il caso in cui l’esecuzione forzata sia stata iniziata sulla base
della sentenza di primo grado (o del decreto riguardo al quale un’opposizione a decreto
ingiuntivo sia stata rigettata), non sia, quindi, intervenuta – o perché non chiesta, o perché
la relativa istanza sia stata rigettata – una sospensione ai sensi dell’art. 283 c.p.c., e, quindi,
sia intervenuta conferma in rito o in merito della sentenza di primo grado da parte di quella
d’appello.
In proposito, si deve ritenere che, nel caso di successiva cassazione di quest’ultima
con rinvio al giudice d’appello, l’applicazione del criterio di cui all’art. 336, secondo
comma, una volta che si condivida l’idea che la sopravvenienza della sentenza di conferma
13
Est. C

ele Frasca

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

della sentenza esecutiva di primo grado non determina, ai fini dell’individuazione del titolo
esecutivo, l’assorbimento della sentenza di primo grado in essa, ma un fenomeno di
combinazione fra i due provvedimenti, impone innanzitutto di ritenere che, poiché la
norma prevede l’estensione della cassazione e, quindi, della caducazione della sentenza
d’appello ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza cassata, l’esecuzione come
sequenza di atti già compiuti e, quindi, la sua legittimità fino al momento della sentenza
d’appello cassata non sia incisa dall’effetto estensivo della cassazione.

Se si ritenesse che la cassazione estenda i suoi effetti all’esecuzione quanto agli atti
compiuti fino al momento della sentenza d’appello riformata, si avrebbe che essi
verrebbero cadueati pur non essendosi basati — legittimamente – sulla dimensione assunta
dalla pretesa esecutiva a far tempo dalla pronuncia di quella sentenza, bensì soltanto sulla
forza esecutiva della sentenza di primo grado.
Infatti, sia l’esecuzione come tale, sia gli atti ed i provvedimenti con cui essa si è
sviluppata prima della sentenza d’appello cassata non possono essere ritenuti logicamente
e giuridicamente dipendenti da essa. Essi potrebbero essere incisi soltanto, ai sensi dell’art.
336, secondo comma, c.p.c., se, a seguito del giudizio di rinvio, la nuova sentenza emessa
in sede di appello dal giudice del rinvio riformasse la sentenza di primo grado ed in tal
caso, totalmente per il caso di riforma totale e parzialmente per il caso di riforma parziale.
Va considerato, d’altro canto, che eventuali ragioni giustificative della cassazione
che lasciassero intravedere la prospettiva che il giudice d’appello in sede di rinvio non
potrà confermare la sentenza di primo grado, non sono in alcun modo supposte come
direttamente incidenti sulla sentenza di primo grado e sulla sua forza esecutiva, perché la
relazione di dipendenza è indicata dalla detta norma con riguardo alla sentenza cassata e
non alle ragioni della cassazione. Onde, quelle ragioni, quanto all’incidenza sulla sentenza
di primo grado, sono affidate alla cognizione del giudice del rinvio e, per quanto attiene
alla loro incidenza su di essa come titolo esecutivo trovano il loro naturale terreno di
disciplina ai sensi dell’art. 283 c.p.c., come si avrà modo di spiegare in prosieguo.
§3.4.1. Un discorso non dissimile si dovrebbe fare se, al momento della sentenza
d’appello cassata, riguardo alla pretesa esecutiva era stato già intimato soltanto il precetto
ed esso era stato opposto, con gli effetti dell’art. 481, secondo comma, c.p.c.: si vuol dire,
cioè che il precetto, non essendo atto dipendente dalla sentenza cassata, non può restare
travolto ai sensi del secondo comma dell’art. 336 c.p.c.
§3.5. Si pone a questo punto un ulteriore problema, che riguarda il caso in cui, dopo
la sentenza d’appello confermativa e prima della sua riforma, l’esecuzione anteriormente
14
Est. Cdns.$affaele Frasca

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

iniziata sulla base della sentenza di primo grado abbia visto svolgersi atti esecutivi
ulteriori.
Riguardo ad essi si deve ritenere che, trattandosi di atti retti dalla pretesa esecutiva
siccome risultante dalla combinazione fra la sentenza di primo grado e quella d’appello,
cioè dalla forza del titolo esecutivo emergente dalla loro combinazione, si abbia una loro
dipendenza dalla sentenza d’appello agli effetti dell’art. 336, secondo comma, c.p.c. E
dunque si deve affermare che sia giustificato che essi debbano dal giudice dell’esecuzione

reputarsi automaticamente caducati, di modo che l’esecuzione resti posta nel nulla quanto a
quegli atti, ma si conservi per quelli anteriori, con la conseguenza in buona sostanza di una
regressione del processo esecutivo allo stato in cui si trovava al momento della
sopravvenienza della sentenza d’appello cassata.
Non si può, invece, desumere dall’art. 336, secondo comma, c.p.c., l’ulteriore
conseguenza del venir meno della pretesa esecutiva, sia pure sulla base della sentenza di
primo grado, sì che l’esecuzione, salva quanto agli atti compiuti sino alla sentenza
d’appello riformata, non possa riprendere, in quanto non ancora esaurita, fintanto che
sopravvenga la nuova decisione del giudice di rinvio in ipotesi confermativa della sentenza
di primo grado all’esito della cognizione di rinvio.
Occorre considerare che l’art. 394, primo comma, c.p.c. dice che nel giudizio di
rinvio <> e che il secondo comma della stessa norma dice che <>. A sua volta l’art. 393 c.p.c. ricollega l’estinzione
dell’intero giudizio soltanto alla mancata riassunzione tempestiva oppure alla
sopravvenienza di altra causa estintiva, così mostrando che in mancanza di tali evenienze,
dovute ad inattività delle parti nel proseguire il giudizio di rinvio, gli svolgimenti del grado
anteriore alla sentenza cassata e, quindi, anche il suo prodotto, cioè la stessa sentenza di
primo grado, non risultano scomparsi dal mondo giuridico per effetto della pronuncia della
sentenza d’appello cassata. La cognizione del giudice di rinvio di grado di appello si
svolge, infatti, pur nei limiti segnati dal rinvio, sempre come giudizio sulla sentenza di
primo grado nei limiti di quanto è stato devoluto in grado di appello sul punto o sui punti,
più o meno ampi, oggetto del rinvio. Le stesse Sezioni Unite, nella già citata sentenza n.
4071 del 2010, nel ricordare (paragrafo 5. della motivazione) la tesi tradizionale
dell’efficacia sostitutiva della sentenza confermativa d’appello rispetto a quella di primo
grado, lo hanno fatto solo in funzione dell’esclusione di una sopravvivenza della sentenza
15
Est. Cons Rae1e Frasca

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

di primo grado ai fini del giudicato per il caso di mancata riassunzione dopo rinvio o di
estinzione del giudizio di rinvio.
In pratica dalla norma dell’art. 393 c.p.c. si può trarre solo la conseguenza che la
sentenza di primo grado non rivive, ma meglio sarebbe dire che viene meno, se il giudizio
di rinvio non viene riassunto o si estingue. Non si può trarre la conseguenza che quella
sentenza si deve ritenere già dissolta a seguito della sentenza confermativa di appello.
Questa ulteriore implicazione non ha alcun fondamento nell’art. 393 c.p.c., che è norma

che regola le conseguenze di un’inattività ai fini del o comunque della morte del processo
di rinvio per un fenomeno di estinzione.
Mettendo insieme questi dati e segnatamente quelli emergenti dal primo e secondo
comma dell’art. 394 c.p.c., si deve allora ritenere che la restituzione delle parti nella
posizione processuale che avevano nel giudizio in cui venne pronunciata la sentenza
cassata (salvo per il caso di estinzione) debba comportare che la loro situazione, quanto
all’esistenza della idoneità di titolo esecutivo nella sentenza di primo grado ritornata sub

iudice nel giudizio di rinvio, torni ad essere quella consentita e supposta dall’art. 283 c.p.c.
Con la conseguenza che al titolo esecutivo costituito dalla sentenza di primo grado non
potrebbe essere negata una ipotetica idoneità a giustificare una ripresa dell’esecuzione dal
momento in cui, per effetto di quella caducazione è regredita, a condizione, però, che il
soggetto passivo dell’esecuzione non ottenga dal giudice del rinvio la sospensione
dell’esecutività ai sensi dell’art. 283 c.p.c. Sospensione che, naturalmente, sarà gestita dal
giudice del rinvio, oltre che sulla base di quanto specificamente prevede la stessa norma
(nella prospettiva dell’insolvenza di una delle parti), valutando, evidentemente, la forza di
resistenza che la cassazione della sentenza di appello pregressa e, quindi, le ragioni per cui
è stata disposta, possono o non possono attribuire alla prospettiva riconosciuta con forza
esecutiva dalla sentenza di primo grado.
Se, dunque, il giudice del rinvio non provveda positivamente ai sensi dell’art. 283 in
tutto od in parte, l’esecuzione, rimasta salva per gli atti anteriori alla sentenza cassata,
potrebbe continuare. In caso contrario, cioè se vi sia stata sospensione ai sensi dell’art. 283
c.p.c. da parte del giudice del rinvio, il giudice dell’esecuzione dovrebbe, in via
consequenziale, sospendere l’esecuzione, in tutto od in pare, conformandosi a quanto
disposto positivamente ai sensi dell’art. 283 c.p.c. dal giudice dell’esecutività del titolo.
Va rilevato che in tal modo si fornisce una soluzione che, in un ordinamento che
assegna alla sentenza di primo grado forza di titolo esecutivo (art. 282 c.p.c.) e, nel caso di
appello, prevede che questa forza possa essere incisa dal giudice dell’appello attraverso
16
Est. Co s. Raffaele Frasca

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

una valutazione sommaria e cautelare ai sensi dell’art. 283 c.p.c., allorquando detta forza
sia stata confermata dalla sentenza di appello e quest’ultima sia poi stata cassata con rinvio
ad un giudice sempre d’appello, di modo che sia necessario un nuovo giudizio di appello
sia pure nei limiti segnati dal rinvio, non considera la cassazione, ancorché espressione di
cognizione piena, come automaticamente determinativa del venir meno della tutela
esecutiva, bensì come attributiva al giudice del rinvio, del potere cautelare di stabilire se le
ragioni della cassazione giustifichino che essa non si debba più ulteriormente svolgere o

possa eventualmente esserlo solo in parte.
La soluzione per cui, cassata la sentenza d’appello confermativa di quella di primo
grado esecutiva, lo svolgimento della pretesa esecutiva e, quindi, l’esecuzione ove
introdotta, cadrebbero automaticamente risulta, invece, incoerente non solo perché basata
sull’equivoco del carattere sostitutivo della sentenza confermativa di appello, ma anche
perché comporterebbe che la tutela esecutiva già dispiegatasi venga meno senza ed a
prescindere da alcun controllo sull’incidenza delle ragioni della cassazione in ordine alla
possibilità che essa possa in tutto od in parte, all’esito del giudizio di rinvio, essere
giustificata. Ne seguirebbe l’automatico sacrificio di un’attività giurisdizionale esecutiva
già estrinsecatasi, la quale magari a posteriori, all’esito del giudizio di rinvio, potrebbe
risultare a posteriori avere avuto corretta attuazione in tutto od in parte, perché all’esito del
tenore che avrà la sentenza del giudice di rinvio risulterà che, se fosse stata conservata, lo
sarebbe stata giustificatamente, in tutto od in parte. Lo spreco di attività giurisdizionale che
se ne evidenzierebbe non appare conforme ai principi del giusto processo, che non possono
non riguardare anche la tutela esecutiva.
Né si dica che la soluzione tradizionale è giustificata dal fatto che chi esegue la
sentenza di primo grado lo fa a suo rischio e pericolo e, dunque, è giusto che, se pure detta
sentenza sia stata confermata dalla sentenza di appello, quando questa viene cassata risulta
giustificato, per il principio della c.d. parità di trattamento di cui al secondo comma
dell’alt. 111: invero, la soluzione tradizionale proprio e perché annette alla cassazione, al
di là di una chiara scelta legislativa ed anzi in presenza degli argomenti che si è cercato di
individuare, un effetto automatico di blocco ed anzi di retroattiva caducazione dello
svolgimento della pretesa esecutiva e, quindi, dell’attività giurisdizionale esecutiva, pur
provvisoriamente svoltasi, senza un vaglio del giudice del rinvio circa la sua
giustificazione alla luce delle ragioni della disposta cassazione, risulta inidonea ad
assicurare quel principio.

17
Est. Co s. Raffaele Frasca

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

§3.6. E’ opportuno domandarsi se la soluzione tradizionale e quella qui proposta
ricevano rispettivamente una qualche giustificazione e una qualche smentita dalla
disciplina dell’art. 389 c.p.c.
Questa norma viene tradizionalmente interpretata dalla giurisprudenza di questa
Corte nel senso che il diritto al ripristino, alle restituzioni e ad ottenere ogni altra
conseguenza della cassazione è diritto che può essere fatto valere senza subire effetto
pregiudicante dal giudizio di rinvio, salvi gli esiti di esso che, prima della sua definizione,

possano comportare il suo venir meno.
La norma si occupa di tale diritto con riferimento ad esigenze insorte direttamente
per effetto della caducazione della sentenza cassata, cioè riguarda prestazioni eseguite in
adempimento della sentenza cassata. Dunque non assume rilievo con riferimento
all’attuazione della pretesa esecutiva che sia avvenuta sulla base della sentenza di primo
grado.
Così come, per intendersi, l’art. 389 c.p.c. riguarda un’esecuzione spontanea della
decisione di appello cassata e non un’esecuzione spontanea che fosse avvenuta sulla base
della sentenza di primo grado confermata da quella decisione, deve ritenersi che quando sia
avvenuta l’esecuzione forzata la norma rilevi solo se si tratti di esecuzione fondata sulla
sentenza cassata e non sulla sentenza di primo grado. Onde la ricostruzione proposta non
collide con la tradizionale esegesi dell’art. 389, anche considerando che si è detto che gli
atti esecutivi compiuti dopo la sentenza cassata sono travolti ai sensi dell’art. 336, secondo
comma, c.p.c. e, dunque, riguardo ad essi non v’è nemmeno bisogno di configurare la
pretesa ai sensi dell’art. 389 c.p.c.
§3.7. Piuttosto è da fare a questo punto una precisazione che appare necessaria per
bilanciare le tutele contrapposte nella logica interpretativa qui sostenuta.
La precisazione è in questo senso.
Occorre ritenere che il potere di sospensione ai sensi dell’art. 283 del giudice di
rinvio, concernendo anche l’esecutività della sentenza di primo grado, si presta ad essere
utilizzato anche quando l’esecuzione sia già compiuta sulla base di essa e, dunque, in
funzione di possibile rimozione degli effetti già verificatisi per il tramite dell’esecuzione e
non caducati ai sensi dell’art. 336, secondo comma, c.p.c.
E’ vero che, a seguito della novella di cui alla 1. n. 353 del 1990 dall’ambito dell’art.
283 è scomparso ogni riferimento all’ipotesi della revoca della provvisoria esecutività della
sentenza di primo grado, ma non sembra che a tale scomparsa possa attribuirsi il
significato di escludere che il giudice d’appello, potendo intervenire sull’esecutività, ormai
18
Est. Con.. Raffaele Frasca

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

ex lege della sentenza di primo grado, non possa e non debba farlo in modo tale da
assicurare parità delle armi fra chi ha ottenuto la sentenza di primo grado ed è abilitato
all’esecuzione e chi dovrebbe subirla. Tale parità sarebbe negata, con indubbio problema di
costituzionalità, ove non si ritenesse che il potere di sospensione dell’esecutività nell’art.
283 c.p.c. significhi potere di intervento del giudice d’appello non solo prima che
l’esecuzione sia avvenuta, ma anche quando essa sia avvenuta e si sia esaurita, con
possibilità di rimuoverne gli effetti, oppure, se essa sia in corso e non si sia compiuta con

la possibilità di rimuovere gli effetti verificatisi. Ritenere che se l’esecuzione è compiuta il
potere di sospensione dell’esecutività non possa esercitarsi per così dire con effetto
retroattivo e, allo stesso modo, che, se l’esecuzione è in corso, non possa esercitarsi con
effetto parimenti retroattivo di quella parte dell’attività esecutiva già compiuta, non sembra
una soluzione rispettosa dell’art. 111, secondo comma, Cost. in punto di parità delle armi,
perché se è vero che l’immediata esecutività della sentenza di primo grado si basa su una
già espletata cognizione piena, tuttavia, essa è pur sempre espressione di una tutela lata

sensu provvisoria ed anticipata e, dunque, se si consente che tale tutela sia ridiscutibile
davanti al giudice dell’appello, che può scrutinare le doglianze proposte con l’appello, la
discussione deve poter implicare che gli effetti dell’immediata esecutività siano disponibili
dal potere decisionale del giudice d’appello nella loro integralità. D’altro canto,
dipendendo la circostanza dell’esaurimento dell’esecuzione o la sua avvenuta parziale
realizzazione da mere circostanze di fatto, non è possibile che esse individuino il potere del
giudice di cui all’art. 283 c.p.c.
Discende da quanto osservato che allora il sistema come sopra ricostruito consente al
giudice di rinvio di eventualmente, attraverso il potere di cui all’art. 283 c.p.c., sospendere
l’esecutività della sentenza di primo grado in modo pieno, cioè con effetti di rimozione
dell’esecuzione già avvenuta, piuttosto che con riferimento alla sola possibilità che essa
possa proseguire. Ciò, evidentemente, allorquando le ragioni della cassazione suggeriscano
una prognosi del giudizio di rinvio tale che l’esito del giudizio comporterà un accertamento
del modo di essere della situazione del tutto sfavorevole a chi aveva eseguito.
Va avvertito che l’esegesi prospettata dell’art. 283 c.p.c. appare in prospettiva ancora
più giustificata alla luce della modificazione profonda del giudizio di appello operata dal
d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni, in 1. n. 134 del 2012.
§3.8. Per ragioni di completezza va considerata l’ipotesi in cui la cassazione della
sentenza d’appello confermativa di quella di primo grado costituente titolo esecutivo sia
stata disposta con rimessione al primo giudice ai sensi del terzo comma dell’art. 383 c.p.c.
19
Est. Cons. R&ftaele Frasca

R.g.rt. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

In tal caso, la cassazione, comportando la regressione del processo al primo grado e,
quindi, il venir meno anche della sentenza di primo grado oltre che di quella di appello,
determina effetti caducatori dell’esecuzione ab origine, quale che fosse il momento in cui
sia stata iniziata, perché è il titolo esecutivo che in ogni caso risente dell’efficacia della
cassazione (e la stessa cosa dicasi se sia stato intimato il precetto e l’esecuzione non abbia
avuto corso).
§3.9. I principi di diritto che si debbono affermare sono, dunque, i seguenti:

a) <>.
b) <>.
e) <>;
d) <>.
Va pure enunciato l’ulteriore principio secondo cui il potere di cui all’art. 283
c.p.c., quando alla sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado,
comprende anche la possibilità che il giudice dell’appello sospenda l’esecutività con
effetti non solo de futuro, ma anche di rimozione dell’esecuzione già compiuta o per la
parte già eseguita.

§4. Poiché nella fattispecie ricorre il caso sub b), il motivo sarebbe stato infondato.
Si tratterebbe a questo punto di vedere se e come le vicende del titolo esecutivo così
ricostruite reagiscano e debbano essere considerate dal giudice dell’opposizione al precetto
o all’esecuzione.
Ma l’inammissibilità del ricorso rende inutile queste ulteriori considerazioni.
Nel caso

sub e),

essendovi caducazione del precetto o dell’esecuzione

rispettivamente intimato ed iniziata sulla base della combinazione quale titolo esecutivo
della sentenza di primo grado e di quella di appello, il giudice dell’opposizione al precetto
o all’esecuzione dovrà considerare come fatto sopravvenuto la caducazione del titolo
esecutivo risultante da quella combinazione e, quindi, del precetto e dell’esecuzione e
dovrà definire il giudizio accogliendo per tale ragione l’opposizione e dichiarando
inesistente ab origine il diritto di procedere all’esecuzione esercitato sulla base di quella
combinazione.
Analogamente accadrà nei casi sub d), visto che il titolo esecutivo rappresentato dalla
sentenza di primo grado è rimosso.
Con riferimento ai casi sub a) e b), si debbono, invece, svolgere le seguenti
considerazioni.
Nel giudizio di opposizione all’esecuzione iniziata sulla base della sentenza di primo
grado (o, come nella specie, del decreto ingiuntivo), la situazione della sopravvenienza
della cassazione con rinvio della sentenza di conferma di quella di primo grado, giustifica,
alla stregua della ricostruzione sopra prospettata soltanto la dichiarazione dell’illegittimità
dell’esecuzione a partire dal momento della pronuncia della sentenza di appello, perché
detti atti sono stati posti in essere sulla base della combinazione fra la sentenza di primo
grado e la sentenza stessa d’appello e, venendo meno quest’ultima, sono caducati in base a
nesso di dipendenza per effetto della sua cassazione. Detta sopravvenienza, invece, é
inidonea ad incidere sulla esistenza del diritto di procedere all’esecuzione e, quindi, di
compiere i suoi atti fino a quel momento, il che è avvenuto sulla base della sentenza di
21
Est. Cons.

Frasca

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

primo grado. Invero, è ancora questione sub iudice che la forza esecutiva della sentenza di
primo grado possa essere confermata in tutto od in parte, rispettivamente se l’appello sia
rigettato o rigettato parzialmente, oppure negata con la riforma della sentenza di primo
grado, nel qual caso il diritto di procedere all’esecuzione risulterebbe venuto meno del
tutto ab origine.
Ne segue che, in punto di riflessi dell’esposta ricostruzione sul giudizio di

nella specie, del decreto ingiuntivo), si deve ritenere che il giudice di tale opposizione,
davanti al quale venga fatta constare la sopravvenienza della cassazione della sentenza di
conferma della sentenza di primo grado, si viene a trovare comunque in una situazione
nella quale deve prendere atto che l’esecuzione è avvenuta senza titolo per gli atti compiuti
successivamente alla sentenza di appello, giacché essi erano retti anche da essa, e che,
viceversa, essa risulta compiuta sulla base di un titolo che è tuttora sub iudice per i
provvedimenti e gli atti precedenti, di modo che — in mancanza di sospensione ai sensi
dell’art. 283 c.p.c. – l’esecuzione potrebbe riprendere parendo dall’ultimo di essi.
Riguardo agli atti precedenti è rilevante l’esito del giudizio di rinvio che il giudice di
appello deve rendere ed è rilevante l’autorità della sentenza della Corte di cassazione che
ha disposto la cassazione per come, con il principio di diritto o comunque il vincolo
imposto al giudice di rinvio, inciderà sulla cognizione del giudice di rinvio riguardo alla
sentenza di primo grado.
Prima della decisione del giudice di rinvio, se esso non disponga la sospensione ai
sensi dell’art. 283 c.p.c., l’esecuzione può riprendere dall’ultimo degli atti venuti meno per
effetto della cassazione della sentenza d’appello.
Fintanto che quel giudizio non venga reso, il titolo esecutivo in base al quale
l’esecuzione era avvenuta conserva, in sostanza, la sua efficacia giustificativa degli atti
precedenti ed anzi, se non sia adottata sospensione, giustifica la possibile ripresa
dell’esecuzione.
Si verifica, allora, una situazione nella quale su una parte della controversia, cioè
quella relativa all’esistenza del diritto di procedere all’esecuzione dopo la sentenza
d’appello cassata, può essere resa sentenza avente ad oggetto un accertamento nel senso
della dichiarazione che l’esecuzione per la parte svoltasi dopo la sentenza di appello è
avvenuta senza titolo.

Est. Corì.s. Raffaele Frasca

opposizione all’esecuzione introdotta sulla base della sentenza di primo grado (o, come

R.g.n. 26714-09 (ud. 20.11.2012)

Sull’altra parte, quella sul se il diritto esistesse prima di detta sentenza e, quindi, se
l’esecuzione fino ad allora compiuta è stata o meno legittima, il giudice dell’opposizione
deve prendere atto che detto diritto non è venuto meno, pur se si trova sub iudice.
Assume a questo punto rilievo la circostanza che il giudice di rinvio abbia o non
abbia sospeso l’esecutività del titolo rappresentato dalla sentenza di primo grado ai sensi
dell’art. 283 c.p.c.
Se l’abbia sospesa, sembrerebbe che il giudice dell’opposizione dovrebbe definire il

giudizio accogliendo l’opposizione e dichiarando che il diritto di procedere all’esecuzione
non esiste allo stato in ragione della sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, fermi
restando gli atti esecutivi compiuti prima della sentenza cassata.
Se la sospensione, invece, sia stata negata o non sia stata richiesta, il giudice
dovrebbe rendere una decisione con cui dovrebbe rigettare l’opposizione, dichiarando allo
stato l’esistenza del diritto di procedere all’esecuzione.
Non sembra praticabile, invece, un’opzione interpretativa per cui il giudice
dell’opposizione, dato che è ancora sub iudice in sede cognitiva il giudizio sull’esistenza
del titolo, dovrebbe sospendere ai sensi dell’art. 295 c.p.c. o, più verosimilmente, ai sensi
dell’art. 337, secondo comma, c.p.c., dato che il preteso giudizio pregiudicante pende in
grado di appello: invero, poiché l’art. 623 c.p.c. distingue il potere cautelare di sospensione
dell’efficacia esecutiva del titolo e quello di sospensione dell’esecuzione e costruisce il
giudizio di opposizione all’esecuzione come giudizio che, salvo i casi di titoli esecutivi
negoziali, non è diretto a controllare l’esistenza del titolo siccome dipendente dalla
cognizione in cui esso si è formato ed è sub iudice, si deve ritenere che in esso le vicende
del titolo in sede cognitiva possano essere dedotte via via, a misura che si verificano, come
fatti giustificativi della decisione sul diritto di procedere all’esecuzione per come si
atteggino nel processo di cognizione in cui il titolo è sub iudice, ma senza che il giudizio di
opposizione possa essere sospeso in attesa della definizione del giudizio cognitivo. Il
giudice dell’opposizione all’esecuzione è, infatti, chiamato a decidere sul se il diritto di
procedere all’esecuzione esista in base al titolo esecutivo e, dunque, considerando il suo
modo di essere, se sub iudice, nel momento in cui tale diritto è contestato e sulla base delle
sopravvenienze che si verificano finché egli decide. Egli è chiamato a dire se l’esecuzione
in quel momento può o non può aver corso. Sicché, il legislatore suppone che la sua
decisione, quando il titolo esecutivo è ancora sub iudice e provvisorio, perché oggetto di
contesa nel giudizio di cognizione in cui si è formato, debba essere resa tenendo conto
dell’effetto che al titolo è riconosciuto in quel giudizio nel momento in cui il giudice
23
Est. Consi Re1e Frasca

R.g.n. 26714-09 (ad. 20.11.2012)

dell’opposizione all’esecuzione rende la sua decisione. Non è sostenibile che quel giudice
debba attendere l’esito del giudizio di cognizione relativo alla formazione del titolo sula
base dei un rapporto di pregiudizialità, perché tale rapporto di pregiudizialità non sussiste,
nel senso che la decisione che il giudice dell’opposizione è chiamato a rendere non
suppone che il giudizio cognitivo sulla formazione del titolo si esaurisca, ma concerne
l’esistenza del diritto di procedere all’esecuzione, oltre che fino da quando essa è stata
minacciata o iniziata, nel momento in cui rende la decisione. E ciò proprio perché tale

azionabile sulla cui formazione il relativo procedimento di cognizione non sia più sub
iudice.
§5. Conclusivamente il ricorso è dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del d.m. n.
140 del 2012.
P. Q. M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente nella duplice
qualità alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in €
milleottocento, di cui duecento per esborsi, oltre accessori come per legge.
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il 20 novembre

A

decisione concerne l’esistenza di un titolo esecutivo azionabile e non di un titolo esecutivo

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