Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 32798 del 19/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 19/12/2018, (ud. 28/06/2018, dep. 19/12/2018), n.32798

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 24296/2012 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

contro

– ricorrente –

T.C., rappresentato e difeso dall’avv. Giovanni Botti,

elettivamente domiciliato in Roma, via Cicerone n. 44, presso lo

studio dell’avv. Massimo Salusti.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia-Romagna, sezione n. 4, n. 40/04/2012, pronunciata il 30

marzo 2012, depositata il 31 maggio 2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 giugno

2018 dal Consigliere Riccardo Guida.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il 4 marzo 2008 T.C., socio accomandatario della Astur di T. dr. Claudio & C., chiese il rimborso di Euro 17.634,59, oltre accessori, versato, secondo il metodo della tassazione separata, con applicazione dell’aliquota del 34,20%, anzichè di quella agevolata del 24,40%.

Addusse che la società, nel 2004, aveva aderito al concordato preventivo fiscale biennale, D.L. n. 269 del 2003, ex art. 33e riferì che, lo stesso anno, l’ente commerciale aveva ricevuto un’indennità di cessazione del mandato di agenzia di Euro 482.543,00 (assoggettata alla ritenuta del 20%), suscettibile, a suo giudizio, di tassazione agevolata, ai sensi del D.L. cit., art. 33, comma 7, quale reddito d’impresa maturato nelle annualità precedenti.

L’Ufficio negò il rimborso escludendo che l’indennità di cessazione del mandato di agenzia costituisse un reddito d’impresa.

In primo grado, l’impugnazione, da parte del contribuente, del diniego di rimborso venne respinta; la decisione è stata riformata dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna (hínc: CTR) con la sentenza in epigrafe.

Il giudice d’appello, delineata la disciplina del concordato preventivo fiscale (biennale) per il periodo d’imposta 2004, ha riconosciuto il diritto al rimborso sul presupposto che il concordato fiscale, cui aveva aderito la società, dovesse essere applicato alla fattispecie in esame; inoltre, ha compensato le spese processuali per la complessità della materia.

Per la cassazione ricorre, con un motivo, l’Agenzia delle entrate; il contribuente resiste con controricorso.

Il Procuratore Generale Fimiani Pasquale ha depositato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

a. Preliminarmente, osserva la Corte che va disattesa l’eccezione del contribuente di inammissibilità o improcedibile del ricorso perchè la censura dell’Ufficio, di inapplicabilità della disciplina del concordato fiscale al reddito dal medesimo percepito, in quanto non qualificabile come reddito d’impresa, sarebbe proposta, per la prima volta, nel giudizio di legittimità.

La doglianza non soddisfa il principio dell’autosufficienza, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, poichè, in difetto della riproduzione, nel corpo del controricorso, dei passi saliente degli atti difensivi dell’Amministrazione finanziaria relativi ai giudizi di merito, la Corte non è posta nella condizione di valutare se l’unico rilievo dell’Ufficio (enucleato nel motivo di ricorso per cassazione) sia stato o meno dedotto, in precedenza, dinanzi alle Commissioni tributarie territoriali.

1. Unico motivo di ricorso: “Violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, art. 33, comma 7, convertito nella L. n. 326 del 2003 e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 56, comma 3, lett. a), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

Si deduce la violazione, da parte della CTR, del D.L. n. 269 del 2003 cit., art. 33, comma 7, secondo cui, per il periodo d’imposta oggetto di concordato, sul reddito d’impresa (o di lavoro autonomo) dichiarato che eccede quello relativo al periodo d’imposta in corso al 1^ gennaio 2001, l’imposta è determinata separatamente con l’aliquota del 23%.

Nell’ottica erariale, la CTR ha erroneamente ritenuto che l’indennità di cessazione del mandato di agenzia, percepita, nel 2004, dalla società (di cui il contribuente era socio al 50%), fosse un reddito d’impresa, con conseguente applicazione dell’aliquota agevolata prevista dal concordato preventivo, laddove, invece, la stessa indennità, non qualificabile come reddito d’impresa, era tassabile, separatamente, come reddito dei soci, secondo l’aliquota ordinaria.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 56, comma 3, lett. a), come modificato dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1, in vigore dal 1^ gennaio 2004, ha espressamente stabilito che non concorrono alla formazione del reddito d’impresa: “a) le indennità per la cessazione di rapporti di agenzia delle persone fisiche e delle società di persone;”.

Nella specie, in base alla prospettazione difensiva dell’Agenzia delle entrate, essendo pacifico che la suddetta indennità è stata percepita nel 2004, ed esclusa la sua natura di reddito d’impresa, in virtù dell’art. 56 cit., comma 3, lett. a), essa doveva essere tassata separatamente, con aliquota ordinaria, non potendosi applicare l’aliquota agevolata riconosciuta alla società aderente al concordato fiscale.

1.1. Il motivo è infondato.

Costituisce un accertamento in fatto, insuscettibile di essere posto in discussione in sede di legittimità, quello secondo cui, come si esprime la CTR: “il reddito percepito nell’anno 2004 riguarda la quota societaria del contribuente relativa ad una serie di provvigioni maturate negli anni precedenti dalla società Astur di T.C. & C. s.a.s., a seguito di mandato di agenzia.” (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata).

Posto che il reddito della cui tassazione si discute – vale a dire, l’indennità di cessazione del mandato di agenzia – a prescindere dal fatto che sia stato riscosso nel 2004, è maturato nelle annualità precedenti, esso è senz’altro qualificabile come reddito d’impresa.

Difatti, la corretta esegesi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 56, comma 3, lett. a), come modificato dal D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1, postula che la norma abbia escluso che tale tipologia di ricavo sia sussumibile alla categoria dei redditi d’impresa, a cominciare dagli introiti maturati, a quel titolo, dal 1^ gennaio 2004, data di entrata in vigore della novella normativa.

Non sarebbe legittimo, a giudizio della Corte, affermare che l’esclusione dell’anzidetta indennità dai redditi d’impresa delle società di persone sia applicabile, retroattivamente, anche a quelli maturati nei periodi d’imposta anteriori al 2004, poichè una simile opzione ermeneutica comporterebbe la violazione del divieto di efficacia retroattiva delle disposizioni tributarie, sancito dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, comma 1.

Altrettanto ingiustificata sarebbe la qualificazione della nuova disposizione come norma interpretativa, in assenza dei rigidi presupposti stabiliti dallo Statuto dei diritti del contribuente, art. 1, comma 2, in virtù del quale l’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica.

S’intende dare continuità all’insegnamento della Corte che, al riguardo, ha affermato che: “In tema di efficacia nel tempo di norme tributarie, in base alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3 (cosiddetto Statuto del contribuente), il quale ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi stabilito dall’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, va esclusa l’applicazione retroattiva delle medesime salvo che questa sia espressamente prevista.” (Cass. 9/12/2009, n. 25722; in senso conf.: Cass. 8/06/2018, n. 14981).

Ricondotta, quindi, l’indennità in questione all’interno della categoria dei redditi d’impresa della società, essa era senz’altro assoggettabile alla tassazione agevolata prevista dal concordato fiscale, sicchè il contribuente aveva pieno titolo per chiedere al Fisco (che, dal canto suo, ha erroneamente disatteso l’istanza) il rimborso del credito d’imposta conseguente all’applicazione dell’aliquota ridotta del 23%, in virtù dell’adesione al concordato fiscale da parte della società di persone, di cui egli era socio al 50%.

2. Le considerazioni che precedono comportano il rigetto del ricorso.

3. Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

condanna l’Agenzia delle entrate a pagare al contribuente le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00, a titolo di compenso, oltre al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 dicembre 2018

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